La Table d’Aki: l’abito non fa il monaco a Parigi
di Albert Sapere
Otto tavoli molto piccoli sedici posti al massimo. Un faretto che cade a piombo su ogni tavolino e altri due illuminano la cucina, tutti legati da un filo rosso che parte dal centro della sala.
Trentacinque/quaranta metri quadrati in tutto: cucina, sala, lavastoviglie, cantina, servizi e tutto quello che ci può essere in un ristorante. La prima sensazione entrando è stata quella di aver sprecato una cena parigina. Spazi stretti, servizio con una sola persona in sala, carta dei vini più che minimal.
Il mio pensiero correva già a tutti gli odori sgradevoli che a serata avviata avrebbero affollato lo spazio, perché si mangia praticamente con la cucina di fianco, senza alcun vetro e solo il signor Akihiro Horikoshi ai fornelli.
Qui finisce la prima parte della serata, quella dei cattivi pensieri, dei preconcetti che possono nascere appena entrati nel ristorante. Nello stesso momento si apre la seconda parte dell’esperienza. Inizia la cena degli ospiti che erano arrivati prima di noi, nessun odore sgradevole, addirittura nessun rumore proviene dalla cucina.
Arriva il nostro piatto, scampo e finocchi. La cottura dello scampo è a regola d’arte, il finocchio cotto ma ancora integro nella sua croccantezza, una bisque e un ristretto di finocchi che sapeva di liquirizia terminano e allungano la sensazione di dolcezza dello scampo.
Escono man mano i piatti per tutti i tavoli, con una regolarità impressionante. La mia attenzione è sempre più rivolta alla cucina, nel guardare questo artigiano che non alza mai lo sguardo dal suo lavoro, che non da segni di nessuna emozione, concentrato come un chirurgo durante un’operazione a cuore aperto.
Secondo piatto le Saint-Jacques con i porri. Non sono proprio il mio cibo preferito, ma anche qui mai dire mai. Cottura perfetta del mollusco, la crema di porri è leggerissima molto intensa nelle sensazioni palatali, un tocco di pepe allunga ulteriormente il gusto, la parte tenera dei porri tagliata finemente contrasta con la texture della Saint-Jacques e provvede a fornire al piatto una piacevolissima sensazione vegetale.
Non resisto più seduto, mi alzo una, due, tre volte e mi affaccio sulla piccola cucina. Vedere lavorare Akihiro è uno spettacolo, sembra di assistere ad un cambio gomme di una formula uno, solo che c’è una persona a fare tutto il lavoro.
Portata principale della serata: branzino e purè di sedano rapa. Il Branzino è tagliato con la precisione con cui si taglia un diamante, sodo nelle carni cottura millimetrica, il purè è soffice senza l’ombra di grumi, come salsa un fondo di pesce che dona un gusto di umami molto deciso, un piatto complesso e buono.
Ho avuto vergogna di chiederlo, ma avrei fatto almeno un paio di bis.
Per finire dacquoise con crema alla vaniglia, classico e ben fatto, quei dolci che anche a chi come me non piace lo zucchero a fine pasto non può non apprezzare, vista anche la leggerezza della cena.
Una cucina chirurgica e semplice.
Chirurgica nella scelta della materia prima, nel taglio del pesce, nelle cotture e anche nel modo di lavorare di Akihiro.
Semplice apparentemente, nella semplicità di chi conosce tecniche, materie prime e il miglior modo per valorizzarla, libero dallo stupire per il gusto di stupire e lontano da sovrastrutture.
Due menu di 52 o 62 euro, conto su foglietto di carta a quadretti
Lezione della serata: l’abito non fa il monaco.
La Table d’aki
49 Rue Vaneau 75007 Paris
Tel 01 45 44 34 48
Aperto a pranzo e cena, chiuso domenica e lunedì
Prenotazione obbligataria
Fermata della metropolitana consigliata Vaneau
Pagina Facebook (https://www.facebook.com/pages/La-table-dAki/257986667627595?fref=ts
2 Commenti
I commenti sono chiusi.
Albert. a leggere mi sembra che il confronto, pur con le differenze di cucina, tra Chateaubriand e Table d’Aki sia impietoso.
Finisce come una famosa finale di Coppa dei Campione ad Atene Milan – Barcellona 4-0. Ovviamente il Milan e’ Akihiro e il super favorito Barca e’ Inaki