La storia degli struffoli ed i possibili abbinamenti con il vino
di Annito Abate
Se ancora non sono pronti … beh, siete proprio in ritardo sulla tabella di marcia! Στρόγγυλος, gli “Stroggulos” (che in Greco significa “di forma tondeggiante”) sembra essere l’etimologia più probabile del famosissimo “dolcetto fritto” che, col tempo, ha preso il nome di “Struffoli”.
Come sempre le tradizioni si perdono nella notte dei tempi fondendo storia e leggenda, “stemperandosi” per arrivare fino a noi avvolte da magiche deformazioni semantiche, conservandone però la fragranza del fascino ed un delicato mistero.
La storia, ma non la più lontana, di queste dorate palline mielate prende sostanza attorno al ‘600 nelle cucine degli antichi monasteri dove le suore preparavano questa prelibatezza per ringraziare le nobili famiglie della carità ricevuta durante l’anno.
La derivazione più antica sembra discendere dai “loukoumades” (λουκουμάδες), cioè “ghiottonerie”, soffici palline di farina, zucchero, uova e lievito, fritte e condite con miele, cannella e granella di nocciole. La lievitazione diventa la differenza più grande con la versione “approdata” poi sulle coste partenopee che ha scambiato la morbidezza con una maggiore tenacia e croccantezza dovuta all’assenza di questo “fungo della crescita”.
I Greci, infatti, al tempo di Partenope, portano lo “struffolo” agli abitanti del Golfo di Napoli che ne deformano le Elleniche parole “strongoulos” (arrotondato) e “pristòs” (tagliato) ma non il significato: pallina rotonda tagliata, diventato pure “strangolapre(ve)te”, gli gnocchetti compatti per “strozzare” i golosi prelati.
Si è associato, per assonanza, il nome anche all’atto dello “strofinare la pasta”, arrotolata in cilindrica fattura prima di essere “mozzata” in sferiche formelle.
I più “cannaruti” hanno inteso con “strofinamento” l’azione compiuta dalle mielate perle sotto il palato.
Pensando anche ad una delle meravigliose ed antiche maniere di insaporire e friggere i cibi questo dolce natalizio viene fatto derivare da un particolare tipo di grasso; immagino l’intensità di sapore degli struffoli fritti nello strutto che contrasta con la delicata dolcezza di un aromatico miele di montagna.
Anche la forma ha saputo giocare il suo ruolo, andando a stimolare la fantasia dei popoli nella propagazione regionale di questa tradizionale e gradevole preparazione.
Nella dorsale geografica Marche-Abruzzo-Molise e qualche zona del Lazio questo dolce si chiama “cicerchiata”, in Basilicata e Calabria “cicerata”, in Puglia, a Taranto e provincia, “sannacchiudere”, a Lecce addirittura “purceduzzi”, porcellini dolci. Nella Tuscia, regione intorno a Viterbo, gli struffoli sono le frittelle di pasta soffice e leggera che in altre zone sono dette “castagnole“.
La forma è sostanza per lo “strufolo”(che in Sicilia perde una “f”): le dolci palline, fragranti e piacevoli, possono essere “adagiate” nei piatti di portata in vario modo, ad esempio a ciambella, lasciando un buco al centro o nelle configurazioni più diverse, basta prendere la precauzione di avere le mani umide per evitare la collosa azione del prodotto delle api.
In alcune zone gli struffoli sono piccolissimi derivando questa tradizione dall’esigenza di confezionare questo dolce in stecche per rallegrare il Natale soprattutto ai bambini, era “il torrone dei poveri” in quanto quello “vero” era composto da ingredienti considerati troppo costosi.
«A fa ‘e struffoli è nu sfizio» recita l’incipit della filastrocca campana dedicata a questo dolce tipico.
Nell’ultima settimana tutto diventa più frenetico per poi chetarsi, magicamente, nella notte di Natale dove ognuno “sfodererà” le sue “armi” più lucenti. Corsa ai regali? Chissà quest’anno! La “nostrana” pressione fiscale ha sconsigliato, infatti, l’uso di “spudorate somme di denaro” per gli acquisti dei natalizi presenti. Gli italiani sanno, forse (e sottolineo forse) rinunciare al “pacchetto sotto l’albero” ma non possono proprio evitare le tradizioni culinarie.
Con giorni di anticipo si rispolverano i vecchi ricettari, nelle pagine qualche foglio logoro ed ingiallito, forse una ricetta dettata dalla nonna o da qualche amabile zia; dalla suocera non credo, tradizionalmente da quelle parti potrebbero non albergare “cose” troppo dolci … ovviamente si scherza.
Si ripetono i procedimenti, gli ingredienti, le dosi giuste, quelle che poi fanno la vera differenza. Il segreto degli struffoli sta nella buona frittura che deve avvenire, rigorosamente, in olio extravergine di oliva abbondante e ben caldo; quello che deve venir fuori sono delle aromatiche palline che hanno conservato una delicatissima untuosità che sarà dimenticata durante il procedimento di mescola a caldo nel miele (millefiori o acacia per la delicatezza) per poi essere ricordata dai sensi in combinazione armonica con gli altri ingredienti durante l’assaggio.
Come tutti i “pezzi da 90”, questo antico dolce ha una miriade di ricette che differiscono, a volte, per un’inezia: il liquore nell’impasto, il tipo di agrumi grattugiati, la presenza o meno dei canditi, la cromaticità ed i sapori della decorazione di superficie (rossi “diavulilli”, bianchi e argentati confettini cannellini).
I più “veraci” sono pronti a combattere contro chi evita di considerare come fondamentale la zucca candita (la “cocozzata”), da comprare in pezzi grossi e da tagliare solo al momento della guarnizione finale.
E’ l’ornamento l’ultimo atto della preparazione prima delle “ritmiche rapine dei giorni di festa”, una costante quanto cauta erosione del “dorato e croccante monte rugoso”, ad opera dei bambini (giustificati) e degli adulti di famiglia (meno giustificati ma compresi), entrambi temerari incursionisti che riescono a sfidare le ire delle “cuoche” in transito da e verso le cucine.
Nell’antichità nella pasta si addizionavano misture di fermentati vari aromatizzati, sostituiti nei monasteri con più delicati elisir di infusi; con il tempo si sono imposti liquori e distillati, mia madre, ad esempio, utilizza nell’impasto un mix di grappa e liquore strega con una grattugiata di buccia di arancia e limone, altri adoperano un aromatico anice mantenendosi, nel contempo, su note più “acidule e citrine” escludendo, quindi, il “portogallo”.
A questo dolce, abbastanza strutturato ed aromatico, si potrà abbinare, ovviamente per concordanza, un vino con evidente residuo zuccherino, tendenzialmente morbido, ottenuto da uve prevalentemente appassite ed i cui profumi ricordano quelli della squisita preparazione: una “intesa” più internazionale può avvenire con il francese Vin de paille del Jura o nazionale con il veneto Recioto di Soave; un abbinamento, cosiddetto di territorio, si potrà avere con vitigni campani nelle migliori declinazioni passite, falanghina o fiano, per citare i più “adatti”.
Per 100 gr. di struffoli si possono ingurgitare anche 500 Kcal ed è allora il caso di vedere come va a finire la tradizionale filastrocca scritta in onore di cotanti lodevoli “strongoulos pristòs” moderni: «Comme dice? “Mamma mia, stanne troppi ccalurie, so’ pesante, fanno male?”, Si va buò, ma è Natale!»
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