La storia Carlo Hassan, il signor Charleston: la storia di un ristorante dove sono passati tutti, compresi 5 presidenti della Repubblica
di Nino Aiello*
Carlo Hassan non è mai cambiato, è sempre lo stesso incredibile personaggio conosciuto all’inizio degli anni Settanta, quando fui condotto al Charleston da Angelina De Pace Calabrese, una nobildonna palermitana che si divertiva, ogni tanto, a invitare suo nipote e qualche amico “a colazione” in quello che era un autentico tempio della gastronomia, un luogo mitico.
È sempre lo stesso questo “old boy” di 81 anni, vitale, veloce di pensiero, intelligente, di fortissima e indomita personalità, perfetto nella memoria e nei ricordi, attivo e impegnatissimo anche adesso che gli altri sono fermi. Lui no, tiene le fila – da orgogliosissimo presidente – dell’elitaria A.M.I.R.A. (Associazione Maître Italiani Ristoranti e Alberghi), parla con tutti, programma attività (“la pandemia finirà”), telefona nel mondo – dove è conosciutissimo – forte pure della conoscenza fluente di inglese, francese e arabo. Questo grande professionista con infinito uso di mondo (ha conosciuto tutti e da tutti è stato apprezzato per la classe, l’efficienza, la riservatez za), che ha interpretato se stesso in alcuni film, ha mantenuto l’elegante aplomb di una vita. E da “signor Charleston” ne è consapevole e fiero.
Sei nato in Libia e nel 1951 avevi 12 anni; i tuoi decidono però di trasferirsi in Sicilia proprio quell’anno, perché?
“Era stato appena fondato il Regno Unito di Libia, gli ex colonizzatori italiani non erano visti bene, tirava una brutta aria. I miei scelgono di spostarsi in Sicilia: il clima è molto simile, abbiamo delle conoscenze: si rivelerà una scelta molto felice”.
Passa qualche anno e ti metti in movimento.
“Ero attratto dal mondo della ristorazione, dai locali eleganti e signorili. Non esistono ancora le scuole alberghiere, bisogna andare sul campo. Faccio qualche esperienza tra Palace e Villa Igea. Sono molto giovane, energico, voglio fare carriera e sono sicuro di potere riuscire. A questo punto ride e pronuncia una sua battuta assai famosa: sono di pelle scura ma di idee chiare”.
Comincia così una carriera di primissimo rango.
“Occorre dotarsi di una preparazione professionale adeguata, di spessore internazionale. Mi trasferisco al Grand Hotel di Rimini, quello immortalato da Fellini, un mito dell’hôtellerie mondiale. Quale commis di sala resterò a lungo fra quegli ambienti meravigliosi, entusiasta e innamorato del mio lavoro: imparo velocemente, sono apprezzato e mi faccio il mio romanzo di formazione nella bellezza, fra clienti facoltosi e raffinati di tutto il mondo”.
Ritorni quindi a Palermo, in quella che sarà per sempre la città da te più amata.
“Hai ragione, adoro Palermo e la Sicilia con tutto il cuore, qui ho avuto ogni cosa – affetto, famiglia, figli, onori – e ho ricambiato dando tutto me stesso, da cittadino esemplare e professionista di una certa considerazione internazionale. Mi sento un ambasciatore della Sicilia”.
Nel 1967 apre i battenti il Charleston, a Piazzale Ungheria: tu sei uno dei protagonisti quale maitre d’hotel, quello che i clienti incontrano per primo, il biglietto da visita.
“Mi inserisco in un progetto imprenditoriale di molte ambizioni con personaggi come Angelo Ingrao, Nino Glorioso, Rosario Guddo, Nino Ferro, Francesco Sammarco, Nino Tantillo. Vogliamo dotare la capitale dell’Isola di un prestigioso ristorante, elegante e raffinato – di stile Liberty – con una grande cucina che possa attirare siciliani e stranieri di passaggio”.
Come sceglieste la linea gastronomica e quale fu la reazione dell’utenza?
“Cominciarono a venire tutti, aristocratici e borghesi, intellettuali e professionisti di successo. La haute straniera ne fece un punto di riferimento. Merito di una offerta ampia che prevedeva piatti della cucina internazionale, pietanze classiche siciliane ed espressioni della migliore cuisine francese. Qualche esempio: Risotto allo Champagne, Tournedos “alla Rossini”, Crêpes Suzette. Inventammo anche qualcosa di originale, pronti in ogni caso a soddisfare qualsiasi esigenza, forti della nostra preparazione senza confini. La città ebbe il suo ristorante importante: si veniva per incontrarsi, fare affari, parlare di politica, rilassarsi e mangiare e bere benissimo”.
Due anni dopo la sede estiva, alle Terrazze di Mondello.
“Fu una scelta lungimirante, bisognava avere qualcosa sul mare. La grande bellezza della location ci aprì nuovi orizzonti e attirò altra clientela, pure quella che andava per mare: attraccavano e venivano da noi, trovavano eleganza e finezza, panorami a perdita d’occhio fra cielo e onde, i pesci che guizzavano alle luci delle lampade. Poi c’era Boris – un mago della musica – che ogni sera suonava il piano sussurrando canzoni d’amore. Che atmosfere, quanti amori cristallizzati al chiaro di luna. Alcuni nostri piatti divennero famosi a livello mondiale: Melanzana Charleston, Carbonara, Gramigna Lido”.
Qualche personalità che hai ospitato?
“Sono venuti tutti coloro che contavano nel mondo di allora. E il mio lavoro di prima accoglienza, già di solito delicato, in questi casi si faceva delicatissimo: bisognava intuire, mediare, assecondare, consigliare, mantenendo sangue freddo, garbo, velocità di decisione, caratteristiche che a me, per fortuna, non sono mai mancate. Ti cito personalità come Craxi e Andreotti, dei nostri presidenti della Repubblica ricordo Leone, Saragat, Pertini e Scalfaro. Quest’ultimo era molto riservato, mangiò da solo: ordinò un tutto pesce. Al momento del vino mi disse sornione e sorridente: Signor Hassan, mi potrà considerare un buzzurro ma io con il pescato desidero del vino rosso fresco. In realtà sapeva il fatto suo: i francesi lo fanno regolarmente. Pertini era l’opposto, venne con numerosi ospiti, amava la compagnia. Scelse come piatto forte un’aragosta, innaffiata da una bella birra bionda. E mi disse: Carlo, oggi mi va così, non farci caso e non rimproverarmi. Un ricordo bello e delicato riguarda il cardinale Pappalardo: ogni anno, alla vigilia di Natale, un importante manager cattolico a lui devoto veniva a Palermo con l’aereo privato. Incontrava al Charleston il presule e il suo segretario, passavano alcune ore a chiacchierare amabilmente. Alla fine gli porgeva con discrezione una bella busta con tanti soldi: era un regalo per le esigenze benefiche dell’arcivescovado. Noi ne eravamo al corrente e provavamo tanta emozione”.
L’intervista è terminata, il “signor Charleston” ha i suoi impegni e si allontana spedito. Tempus fugit. Prima chiuse per sempre la sede di Piazzale Ungheria e il ristorante Charleston si trasferì alle Terrazze; poi ci fu il trasloco nella villa dei conti Bernard de la Gatinais, ancora a Mondello, dove, nel 2017, ha festeggiato i suoi primi 50 anni. Carlo Hassan aveva lasciato nel 2009. E Boris non into nava già più, sussurrando, “Una rotonda sul mare” e “Doce Doce”…
*Per gentile concessione dell’autore, rilanciamo l’articolo pubblicato sulla rivista City Palermo.