La pizza tradizionale in padella a San Marco Evangelista: Votatora
di Giustino Catalano
Ormai a 55 anni sono fermamente convinto che in ciascun luogo, ed alle volte in ogni casa, si nasconda una preparazione tradizionale che fa parte della memoria storica di quel luogo o di quel nucleo familiare.
Così è anche per la pizza della quale voglio raccontare oggi che nasce a meno di 4 chilometri dalla Reggia di Caserta, sicuramente quando la Reggia non vi era ancora ma che, con l’evolversi dei luoghi e delle tradizioni, si è naturalmente “diluita” nel benedetto benessere non senza però rischiare di scomparire.
Nessuna operazione di archeologia alimentare, sia ben chiaro, ma la narrazione di un prodotto che racconta la dignitosa povertà di un luogo e che ancora oggi risulta, parola mia, strepitoso.
Il contesto è quello di San Marco Evangelista, Comune dal 1977, terra sin dal quattrocento di Casali e Masserie, talune anche fortificate.
Il fulcro della vita si svolgeva attorno ai monasteri che, in epoca settecentesca svolgevano anche la funzione di ospedale e lazzaretto allorchè si presentava qualche epidemia di colera o peste, che rappresentavano le malattie più diffuse, anche nelle campagne e non solo nei centri urbani.
Tutto lo sviluppo di caseggiati e aree industriali che dall’uscita di Caserta Sud della Napoli Milano si susseguono senza soluzione di continuità sino alla Reggia non esisteva. Sino agli anni settanta del novecento solo campi, per lo più coltivati a grano o cereali ed erbe di rotazione.
In un contesto così marcatamente rurale è naturale che il grano e di conseguenza la farina la facessero da padrone nell’alimentazione quotidiana. Non vi era casa, o masseria che non avesse un forno e se no vi era esisteva sempre il cosidetto forno collettivo posizionato presso qualcuno dove nei giorni di cottura del pane tutti quelli che non avevano forno andavano a portarlo e per riconoscerlo lo timbravano… ma questa è altra storia.
Nella cultura di una volta, e più segnatamente quella rurale, non si buttava via nulla, così qualche pezzo di impasto, residuato dalla formatura del pane, veniva steso e fritto in padella con un filo d’olio.
In sintesi è una forma di recupero che si usava nelle case contadine per la pasta del pane (e quindi pizza) per evitare di buttarlo anziché fare formati di pane piccoli che fino alla fine degli anni 70 al sud non esistevano, ne erano minimamente concepiti.
A colazione veniva cotta in padella con poco olio (quindi una sorta di fritta arrostita) e servita con olio extravergine di oliva e zucchero. Una colazione da festa grande per i bambini prima che andassero a scuola, ma da quel che mi racconta Antonio Ferraiuolo, che la serve ancora nel suo locale di San Marco Evangelista – Pizzeria Le 7 voglie.
In altre ore della giornata, però, poteva anche essere farcita anche in maniera differente come ad esempio con il ragù o con la caciotta o la semplice e intramontabile mortadella.
Talvolta le donne per allietare i bambini, ai quali era destinato con olio e zucchero, gli si dava la forma dell’omino.
Oggi potete provarla solo da Le 7 Voglie – Via Gentile Domenico, 66, 81020 San Marco Evangelista (CE) – aperto solo la sera eccetto il mercoledì che fa chiusura. Le proposte la prevedono, in una farcitura meno casalinga, nelle varianti con confettura di San Marzano, mousse di ricotta dolce di bufala, con il vecchio ragù di masseria, mozzarella di bufala e basilico, con soffritto, pecorino e basilico, con la genovese di baccalà e con la mortadella, la stracciata di bufala e il pistacchio.
Al gusto si presenta con marcati sentori di olio come la pizza fatta nel ruoto, ha una gradevolissima crosticina che cede immediatamente il passo ad una morbida pasta che avvolge il morso.
Insomma è tutto e niente. Non è una pizza al forno, non è una pizza fritta. E’ la Votatora di San Marco Evangelista. Un unicum che vale la pena di salvare dal patrimonio della memoria in via di scomparsa.