La Grande Anneè: lo Champagne millesimato secondo Bollinger
di Raffaele Mosca
Il vino come l’ alta gioielleria: centonovantotto anni di storia e di savoir faire condensati in un metodo senza tempo che permette di trasformare una materia prima straordinaria in qualcosa di estremamente sofisticato e allo stesso tempo universale.
È la filosofia di Bollinger, maison di Champagne tra le più amate dagli addetti ai lavori, fondata nel 1824 dal mercato tedesco Jacques Bollinger e tutt’oggi gestita dai suoi discendenti. Una grande griffe mondiale alla quale va riconosciuto il merito di aver resistito all’ omologazione e alla rivoluzione glamour che ha investito la galassia champenoise nell’ultimo trentennio, puntando sul posizionamento più che sui numeri e rafforzando la sua cifra stilistica controcorrente, giocata sulla profondità e sull’incisività, in anni in cui il mercato ricercava la piacevolezza immediata e un po’ effimera. Un brand, che, nonostante questo, é riuscito ad entrare nell’immaginario comune grazie a James Bond, ai reali d’Inghilterra – che rifornì anche in occasione del matrimonio tra Carlo e Diana – e alla figura di Lily Bollinger, tra le “dames” più famose della storia dello Champagne insieme a Barbe Ponsardin Clicquot e Louise Pommery. Donna modernissima, grande viveur, nonchè garante della continuità stilistica dell’azienda nel periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale ai primi anni settanta, Lily ha coniato il più famoso aforisma sullo Champagne “lo bevo quando sono contenta e quando sono triste. Lo esigo quando sono sola e quando ho compagnia lo considero obbligatorio. Lo sorseggio quando non ho fame e lo reputo indispensabile quando ne ho. Altrimenti non lo tocco, a meno che non abbia sete”.
In collaborazione con Meregalli, distributore esclusivo sul territorio italiano, Bollinger ha organizzato una masterclass in uno degli scenari più suggestivi della capitale: il giardino e le sale dell’Hotel De Russie, un posto che sa di dolce vita anche in questi tempi tutt’altro che spensierati. La presentazione dell’annata 2014 de La Grande Anneè è stata usata come “scusa” per un approfondimento più tecnico sullo stile della maison e sui metodi per la creazione di champagne di compromesso: capaci come pochi altri di farsi apprezzare dal neofita senza annoiare l’ esperto. Il segreto sta in quattro punti cardine: la vinificazione di uve da vigneti di proprietà – quasi alla maniera di un grande recoltant – l’utilizzo del Pinot Nero come uva principale, l’affinamento dei vini di riserva in magnum e l’uso del legno per le fermentazioni alcoliche e malolattiche. Quest’ultima prerogativa è una rarità nel panorama delle maison, che di tendenza preferiscono l’acciaio, perché permette di preservare freschezza e integrità di frutto, magari sacrificando qualcosa sul fronte della profondità e della tenuta nel tempo: “ La vinificazione in legno è come una sorta di vaccinazione – spiega Bastien Mariani, braccio destro dello chef de cave Denis Bunner – la micro-ossigenazione in fermentazione protegge il vino dall’ossidazione nelle fasi successive e permette di avere Champagne complessi, stabili e longevi”. Bastien, che proprio in questi giorni festeggia i suoi primi vent’anni di attività in Champagne, ci accompagna in una degustazione illuminante di tre basi spumante (Vins clairs) dell’annata 2021 e due Champagne 2019 in fase embrionale. Spiazzante il confronto tra i tre campioni: la fermentazione in legni di quattro, venticinque e cinquant’anni, con una capienza che varia dai 228 ai 410 litri, ha un impatto enorme sul profilo aromatico: il vino affinato nelle botti più giovani e più piccole ha una chiara impronta ossidativa e boisè, con il frutto che viene un po’ meno in favore delle spezie, del miele e delle tostature; gli altri due, invece, hanno profili molto più precisi, cristallini, giocati sul fiore, sull’agrume, sulla balsamicità. Il terzo, in particolare, è di una purezza disarmante. “ La forza delle botti molto vecchie sta proprio nell’equilibrio che danno – spiega Bastien – l’acido tartarico si deposita sulle pareti e crea una patina che limita il contatto con l’esterno, permettendo solo quel minimo di scambio che serve per stabilizzare ed equilibrare. È questo che cerchiamo nei nostri Champagne: un’influenza del legno percettibile, ma mai troppo impattante”.
Interessante anche il confronto tra le cuveè in fase di elaborazione: la prima, vinificata sperimentalmente in acciaio inox, ha un profilo più acerbo e tagliente rispetto alla seconda, passata in botti vecchie, che, invece, gioca su sfumature più mature, con un equilibrio complessivo migliore.
Tutto questo ci ha permesso di comprendere meglio i due vini finiti: La Grande Anneè 2014, in anteprima nazionale, e 2012, già presentata a febbraio 2020. Un millesimato, La Grande Anneè, incentrato sul Pinot Noir, che ammonta al 65-70% dell’assemblaggio. Nel caso del 2014, le uve provengono per il 23% da Verzenay, il comune subito a sud di Reims famoso per il faro tra le vigne dal quale si osserva tutta la Champagne, per il 18% da Ay, il village sulle rive della Marna dove ha sede la maison, e per la restante parte da altri Premier Cru e Grand Cru della Montagne de Reims e, in misura minore, della Cote des Blancs; nella 2012, invece, la gerarchia è invertita: Ay la fa padrone con il 23%, seguita da Verzenay al 18%. “ Sono due interpretazioni quasi opposte – specifica Bastien – il processo è lo stesso, ma la predominanza di Verzenay nella 2014 dà più finezza e freschezza, mentre nella 2012 Ay si esprime in tutta la sua potenza”. Anche le annate sono state molto diverse: la ‘12 più soleggiata, più ricca di estratti; la ‘14 molto più continentale. “ La 2014 non è stata per niente facile: ha piovuto tanto e le temperature sono più state basse della media fino ai primi d’agosto. Abbiamo avuto problemi seri di muffe e questo ha comportato dei cali significativi dei volumi. Ma poi si è verificato quello che chiamiamo il miracolo champenoise: da metà agosto fino alla fine della vendemmia, il clima è stato perfetto. Non è un grande millesimo al pari di 2012 o 2008, ma uno dei punti di forza di Bollinger è la grande disponibilità di vigneti dai quali attingere, che ci permette di produrre grandi Champagne millesimati anche nelle stagioni più complesse.”
La Grande Anneè 2014
8 grammi/litri di dosaggio, sette anni sui lieviti prima della sboccatura. La sensazione a primo acchito è di estrema freschezza per un vino affinato per tutto questo tempo: canfora e bergamotto, gesso e fiori bianchi vanno a braccetto con la matrice gessosa. Poi emerge la parte più grassa legata al legno e alla maturazione: burro fuso, crema di nocciole, gelatina di ribes, mela cotogna, qualche accenno speziato e tostato. Tutte sensazioni che ritornano a far da cornice a un sorso di grazia e di finezza, che non s’impone sulla bocca, anzi scorre cremoso, vellutato, con il frutto maturo e polposo tipico del Pinot Noir al centro, l’acidità appena smussata dal dosaggio a dare sostegno, e poi ritorni di menta, anice, erbe aromatiche, e la verve minerale, rocciosa via via più intensa che incalza il finale in perfetto equilibrio tra tensione e maturità, ossidazione e integrità fruttata. La lunghezza e la straordinaria pulizia della progressione mettono ben in evidenza la stoffa di questo campione in erba, da stappare seduta stante con pizza e mortadella, crocchè di patate, trippa fritta – per la serie miseria e nobiltà – o tra qualche anno su piatti più impegnativi.
La Grande Anneè 2012
Timbro diverso, che spinge subito sulla maturità: burro salato e fieno, camomilla, liquirizia, tabacco biondo e pan di spagna; poi ricordi balsamici e l’immancabile nota di gesso. In bocca insiste sulle stesse sensazioni: è ampio, avvolgente, più largo e un pelino meno raffinato del 2014. Un cenno di tannino arricchisce la struttura già robusta e fa il paio con l’acidità sempre in lizza, dando vita a uno sviluppo potente, ma ben calibrato, decisamente ossidativo in chiusura – cioccolato bianco, mandorle tostate – ma senza sbavature. Lo si è provato su di una spigola con patate, asparagi e tartufo, ma varrebbe la pena di tentare accoppiate anche più ostinate: magari con un agnello panato o con un filetto di manzo ai funghi porcini.
Un commento
I commenti sono chiusi.
Grande Raffaele.Quando si arriva a parlare con questa propietà di linguaggio,quasi in scioltezza, di grandi Champagne vuol dire che si è giunti al top della scala “sociale”della sommellerie.Ad Maiora da FM