La Fonte della Trippa, o meglio noto come “O’ Braciuolo è Nata Cosa”, celebre regno del quinto Quarto
di Marina Alaimo
La Fonte della Trippa, insieme alla famiglia Montella, rappresenta un punto di riferimento importante a Cercola. In effetti il locale per pochi metri rientra ancora nei confini del Comune di Napoli, esattamente al civico 635 di Via de Meis, nel quartiere Ponticelli. Ma la storica famiglia di carnacottari è originaria di Cercola e ci tiene a mantenere un certo legame con il proprio paese. Giovanni e sua sorella Anna sono personaggi piuttosto famosi tra coloro che amano assaporare questi tipici cibi da strada napoletani. Renzo Arbore da anni è un cliente affezionato e Giovanni è orgoglioso di raccontarlo a chi ha voglia di sapere di più sulla sua attività.
Circa 40 anni fa suo padre Aniello decise di aprire questo locale dopo una vita vissuta per strada a vendere ‘a carnacotta prima in bicicletta e poi sul tipico banco ambulante allestito sull’Ape Piaggio che ancora è possibile vedere in giro per la provincia. Sul marciapiede che guarda il corso principale c’è il banco vendita dell’osteria tripperia meglio nota con il nome “O’ Bracjuolo è Nata Cosa” con vetrina dedicata a “o’ per’ e ‘o muss’” (musetto e zampetto di maiale lesso) insieme alle varie frattaglie di bovino ed alle teste di agnello, tenuti ben freschi ed umidi da un getto continuo e lento di goccioline di acqua.
Ricordiamo che questi street foods partenopei di antica tradizione sono ancora molto richiesti e Giovanni prima di servirli nel “cuoppo” di carta oleata ai passanti li “acconcia” con succo di limone e con il sale contenuto nel benaugurante corno di mucca.
Sul piano di acciaio che dà all’esterno c’è anche il pentolone di brodo di polpo bollente e fumante, godibile nelle tazze da bar solitamente utilizzate per il cappuccino ed è arricchito con una bella “ranfa” (tentacolo) di polpo lesso.
Da mangiare per strada senza impegno ci sono poi le cozze appena scottate e servite con pepe e succo di limone. Entrando le due sale sono strapiene ed un urlo corale e disumano ci accoglie: il Napoli ha segnato il suo secondo goal contro il Milan.
Le espressioni di esultanza sono molto colorite e ci fanno non poco sorridere. E’ questo un luogo terapeutico, risolleva l’essere dagli affanni della vita. Si, proprio così. Come accade spesso nei locali popolari di Napoli, dove le formalità sono mantenute oltre l’uscio, qui è la leggerezza ad imperare sovrana. Niente seghe mentali. “Riman’ ce penz”’ è la filosofia di vita più comune che in effetti condivide lo stesso senso della nota massima ”domani è un altro giorno” o anche del più nobile “carpe diem” oraziano.
Il menù propone a prezzi popolari alcuni piatti poveri della tradizione partenopea e ovviamente il quinto quarto è protagonista.
Si comincia con le varie frattaglie bollite esposte all’esterno dal sapore gustoso, netto e pulito. Seguono i panzarotti (crocchè di patate) ben caldi e di taglio piuttosto grosso.
Qui le dosi da ristorante gourmet sono ritenute offensive e potrebbero causare reazioni pericolose tra i clienti. Arriva finalmente ‘o zuffritto, uno dei piatti cult, zuppa con sugo di pomodoro piccante e frattaglie di bovino: polmone, cuore, fegatelli, milza, trachea ed un buon profumo di alloro.
E’ accompagnato da crostini di ottimo pane di San Sebastiano al Vesuvio ed è a dir poco squisito.
Siamo in zona vesuviana e non possono quindi mancare stoccafisso e baccalà proposti all’insalata, in frittura ed in umido con pomodoro e patate.
Altro piatto molto richiesto è “’a lardiata”: pasta nel formato mezzanelli con lardo e sugo di pomodoro piccante. Anche questo ben fatto e gustosissimo. Le cozze sono servite in impepata ed arricchite con qualche “ranfa” di polpo bollita.
In menù non può mancare la zuppa di “carnacotta”, gettonatissima, realizzata con le varie frattaglie di bovino lesse insieme a cipolla, sedano e carota e servite nel loro brodo di cottura ben caldo con abbondante grattugiata di parmigiano reggiano. Dal “buco”, la finestrella di servizio dalla quale arrivano le pietanze dalla cucina direttamente in sala, escono anche numerosissimi piatti di trippa, indicata in menù con il termine busecca, alla maniera milanese e preparata con sugo di pomodoro. La grande abilità della famiglia Montella nel trattare le frattaglie ha aperto loro anche un’altra strada commerciale ovvero quella di fornire macellerie e gastronomie. Così all’interno del cortile del palazzo al civico 635 è stato allestito il laboratorio per lavorare grossi quantitativi di frattaglie. Chiediamo il caffè, buono anche questo, in attesa di ricevere il conto che è stato leggero ed in perfetta sintonia con la già citata leggerezza che si ricerca in locali di questo tipo. Uscendo notiamo i volti delusi degli ospiti: la partita Napoli Milan si è chiusa in pareggio, 2 a 2. Ma qui sanno bene come distrarsi velocemente dai cattivi umori. Innanzitutto è importante enunciare una imprecazione pesante e liberatoria … poi si sceglie un nuovo piatto, quello più gradito, ed il piacere della gola prenderà il sopravvento su qualsiasi altro pensiero, azione o stato d’animo.
La Fonte della Trippa è in via De Meis 635 Napoli, quartiere Ponticelli.
2 Commenti
I commenti sono chiusi.
UN “TEMPIO”!!!!!
W W ‘O BRACIUOLO OGGI E SEMPRE!!!
Questi sono gli articoli che mi fanno andare in visibilio. Sono stufo di tutti quei cuochi alla moda che partecipano al circo mediatico culinario, i quali ci propongono piatti elaboratissimi, con preparazioni estenuanti, con ingredienti improbabili e introvabili (ha ragione Carlo Petrini che a “Che tempo che fa” si è chiesto: ma dove la prendono tutta ‘sta materia prima, se i contadini quasi non esistono più?), che nessuno cucinerà mai, o che al massimo saranno eseguiti da professionisti e riservati a una “elite” di buongustai con buone disponibilità economiche e una buona propensione alla spesa, o ai soli addetti ai lavori. Mi piacciono questi articoli che vanno a scavare nelle profondità del gusto popolare e della cucina di base della tradizione, che costituiscono, poi, l’impalcatura della cosiddetta alta cucina (tutti gli chef di grido che leggo e che ascolto, si vantano di rifarsi “alla” e di rifare “la” cucina tradizionale, popolare, tipica e territoriale). Ma come giustamente osserva Marina, i veri “regni” della cucina popolare e tradizionale, quelli che custodiscono il nocciolo della cucina di base italiana, sono proprio questi, quelli che conservano ricette, preparazioni e ingredienti che per secoli hanno nutrito, saziato e soddisfatto le classi sociali più umili.
Incuriosito da questa segnalazione, che è capitata a fagiolo, perché ero desideroso da tempo di mangiare la vecchia, cara e succulenta “zuppa di carne-cotta”, mi sono recato anch’io in questa stuzzicante osteria di periferia. L’ambiente è quello che ti aspetti: semplice e popolare. Ma gli avventori sono quasi tutti anzianotti: sembra di stare a uno di quei concerti di artisti e di canzoni napoletane di una volta, frequentati solo da un pubblico attempato. Si capisce subito che qui si mangia con il gusto e con le inclinazioni di una volta. Siamo in tre: mia moglie, la mia anziana madre che da tempo mi esprimeva, pure lei, il desiderio di mangiare la “zuppa di carne-cotta”, e io. L’approccio con l’addetto al nostro tavolo è subito chiarificatore delle mie intenzioni: lui ci chiede cosa beviamo, io rispondo: vino rosso; lui ci chiede se vogliamo anche l’acqua, io gli rispondo che non ho alcuna intenzione di bere H2O, anche perché di liquido ne troverò in abbondanza nel brodo della zuppa. Giacinto sorride e annuisce. Leggere il menù di questa osteria è come leggere un racconto avvincente e coinvolgente. Io, già da quando mi sono imbattuto in questo articolo di Marina, ho ben chiaro quello che voglio: “Zuppa di carne-cotta” e “Intestino (“stentiniello”) con le patate”. Mia moglie, sospettosa verso la carne-cotta e l’intestino e per tutto quello che è “quinto-quarto”, come scrive la nostra brillante giornalista, con apparente linguaggio esoterico (“Il quinto-quarto” potrebbe sembrare il titolo di un romanzo di fantascienza…) opta per lo “Stocco in cassuola”. La zuppa che ci porta Giacinto (a me e a mia madre) è servita in una funzionale e capiente scodella. Fumante (deve essere necessariamente bollente), ricca di trippa e di “busecchia”, con le canoniche friselle da zuppa, ha, però, un colore un po’ pallido che già lascia intuire che trattasi di “zuppa dietetica”, cioè sgrassata, probabilmente filtrata, per andare incontro alle esigenze e ai gusti salutisti dei clienti del XXI° secolo. Per carità, è buona, abbondante e invitante, ma non è scura e densa come le zuppe di carne-cotta che mangiavo da ragazzo. Per esaltarla, ci aggiungo una bella manciata di pepe. E me la mangio fino all’ultimo pezzo di frattaglia, accompagnandola con ampie sorsate del vino rosso della casa. L’effetto finale è quello che mi attendevo: necessito di una bella soffiata di naso, perché una “zuppa di carne-cotta”, bollente e pepata, è molto più fluidificante di una terapia inalatoria antinfluenzale. Come prevedevo, la zuppa è leggera e si può accompagnare a un secondo, per cui lascia ampio spazio, nello stomaco, all’ “Intestino con le patate”. Devo dire che l’ “Intestino con le patate” preparato dal “Braciuolo” è veramente una leccornia, con i sapori decisi e corposi ai quali ambivo. Sono molto soddisfatto di questo secondo. Mia moglie mi informa che il suo “Stocco in cassuola” è davvero squisito. La vedo più sollevata e meno scettica di quando è entrata, a conferma che i veri ricostituenti della salute fisica e psicologica sono i piatti della tradizione napoletana preparati con cura e con passione. Alla fine, non manchiamo di portarci a casa, oltre alla soddisfazione di aver mangiato bene e tipicamente napoletano, due vaschette di “Zuppa forte” che cucineremo domani, domenica, con i bucatini, giusto per coronare e prolungare questo nostro felice incontro col “Braciuolo” di Ponticelli. Ed esclamo, per concludere: grazie a Marina!