La Fiammante: i pomodori ottenuti da un filiera etica che ha abolito il caporalato
di Carmen Autuori
Francesco Franzese, Ceo de La Fiammante, non è nuovo alle buone pratiche. L’industria conserviera, fondata negli anni Quaranta nella periferia est di Napoli e dal 2000 trasferitasi nel comune di Buccino, tecnologicamente all’avanguardia, garantisce oltre alla tracciabilità del prodotto anche il valore del lavoro e la tutela dei produttori: qui il “prezzo giusto” è uno dei cardini su cui si fonda la politica aziendale. In altri termini, circa otto mesi prima del raccolto, viene fissato il prezzo del pomodoro per proteggere i produttori dalle fluttuazioni del mercato, spesso al ribasso, e per assicurare loro anche la liquidità necessaria a corrispondere il giusto salario ai braccianti. Così il progetto di filiera etica promosso da No Cap, associazione di respiro internazionale fondata e presieduta da Yvan Sagnet, ha trovato immediata adesione da parte de La Fiammante.
Il progetto, che si pone come pilota nei confronti delle altre realtà del settore, vede l’inserimento lavorativo in azienda di diversi lavoratori migranti, provenienti dal “ghetto Campolongo” alla periferia di Eboli, che vivono in condizioni quasi disumane e per questo preda dei cosiddetti “caporali”.
I lavoratori saranno impiegati, con regolare contratto come previsto dal CCNL, nella produzione di conserve contraddistinte dal bollino No Cap, garanzia di prodotto proveniente da filiera etica, commercializzate nei punti vendita che aderiscono alla rete dell’Associazione. Ad oggi hanno aderito Megamark e Coop Italia, tra gli altri.
Ad affiancare l’importante iniziativa ci saranno l’Arcidiocesi di Salerno Campagna Acerno, con l’impegno del Direttore Diocesano e Coordinatore regionale Migrantes Antonio Bonifacio che partecipa all’accoglienza, all’accompagnamento e alla relazione dei migranti lavoratori con l’azienda La Fiammante.
Mentre ad occuparsi del piano sociale del progetto sarà Frontiera Sud di Campolongo, associazione di volontariato in cui operano Giuseppe Grimaldi e Farid Achackidi. Coinvolta anche l’Arcidiocesi di Teggiano nella persona di Alvaro D’Ambrosio che con il progetto Sipla Sud si occupa dello sfruttamento lavorativo dei braccianti, e dell’avvocato Franco Esposito che si occupa dei permessi di soggiorno e delle pratiche amministrative. Una vera e propria task force, dunque, contro la piaga del caporalato che costa sudore, e spesso anche sangue, ai braccianti impiegati nel settore per soli tre euro l’ora.
Yvan Sagnet sa bene cosa significhi subire le angherie dei caporali che annullano l’identità e la dignità della persona. Classe 1985, arriva in Italia dal Camerun nel 2008 grazie ad una borsa di studio per frequentare il Politecnico di Torino dove consegue la laurea nel 2013 in Ingegneria delle Telecomunicazioni. Come tanti, per pagarsi gli studi è costretto a lavorare, così nel 2011 decide di trasferirsi a Nardò per la campagna dei pomodori. Lì inizia il suo impegno sociale tutto in ascesa che lo porta nel 2016 ad essere insignito dal Presidente Mattarella dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. “In Puglia, tra i campi infuocati dei pomodori, ho conosciuto il volto scuro dell’Italia, quello fatto di illegalità – racconta Sagnet -. Un inferno che sta dietro al prodotto che arriva sulle nostre tavole. Giornate lavorative di sedici ore, lì si lavorava a cottimo, la raccolta di 300 kg di pomodori veniva pagata circa tre euro. Mi sono ribellato prima contro il caporale e poi ho organizzato uno sciopero, quello famoso di Nardò, dove abbiamo incrociato le braccia 1200 lavoratori, mettendo in seria difficoltà tutto il settore. In seguito però ho capito che contro questa piaga non serve solo la protesta ma è necessaria la proposta: in sostanza era necessario sedersi attorno ad un tavolo e costruire una rete virtuosa fatta da lavoratori, produttori, associazioni, istituzioni sia religiose che laiche. In altri termini il vero nemico non sono i produttori ma chi impone il prezzo del prodotto finito, nel caso specifico la GDO che con la sua politica al ribasso costringe i produttori a risparmiare proprio sul costo del lavoro, l’unico costo flessibile della catena produttiva, ricorrendo al caporalato e a cooperative cosiddette “spurie” che agiscono al limite della legalità. Lo scopo di progetti come questi è quello di arrivare al consumatore trasferendo l’idea che l’acquisto consapevole ed etico può orientare il mercato. Francesco Francese ci ha messo la faccia contro l’illegalità. Oltre ad aver assunto, senza alcuna intermediazione, nove “invisibili” del ghetto di Campolongo che non conoscevano cosa fosse una busta paga, produrrà con il marchio No Cap che è garanzia di umanità e di rispetto per la persona”.
E proprio la “persona” è stata al centro dell’intervento di Antonio Bonifacio, di Migrantes, il quale ha affermato che sono “persone” sia l’imprenditore che il lavoratore, entrambi vogliono porre in essere un’esperienza etica in questo tempo storico. L’altro elemento fondante del progetto è la fiducia: i lavoratori hanno avuto fiducia in Franzese che pur assicurando un lavoro per tre mesi all’anno, garantisce tutte le condizione “umane”; mentre lo stesso imprenditore ha avuto fiducia nel progetto che, pur essendo autofinanziato, comporta dei costi iniziali che vanno ad incidere in un momento di grande difficoltà economica. Non dimentichiamo che è del mese scorso la notizia della bolletta del metano da poco meno di un milione di euro recapitata al Ceo de La Fiammante.
“La Fiammante sono anni che cerca di adottare buone pratiche a cominciare dal prodotto, eliminando ogni strumento di intermediazione, e mi riferisco ai commercianti che riescono a spuntare fino al 25% di guadagno, quello che andrebbe ai produttori – spiega Franzese-. Per questo abbiamo adottato la filiera corta, parliamo direttamente con gli agricoltori che sono obbligati a darci delle garanzie. La prima è quella del no al caporalato ed il conseguente rispetto dei braccianti. Inoltre nel 2017 abbiamo denunciato le aste al doppio ribasso, uno strumento che grazie ad un algoritmo permette di abbassare notevolmente i prezzi. Tra l’altro la problematica dei costi e del basso prezzo imposto dalla GDO, si ripercuote anche sull’ambiente ai danni del corretto smaltimento dei rifiuti creando, così, inquinamento, pensiamo al polistirolo o alla plastica bruciata a cielo aperto. Ecco perché è importante il bollino No Cap, il consumatore in questo modo acquistando prodotti etici sa che sta collaborando per un mondo migliore. Quest’anno, essendo partiti in ritardo, abbiamo potuto assumere solo nove migranti, l’anno prossimo speriamo d’incrementare i numeri arrivando a 50 unità lavorative. Contiamo d’impiegare anche donne che sono l’ anello ancora più fragile della catena del caporalato, spesso devono subire vessazioni ancora più gravi di quelle strettamente lavorative”.
In sintesi il progetto No Cap dimostra che al mondo, ancora una volta, c’è chi dice e c’è chi fa. Francesco Franzese, Yvan Sagnet , le associazioni di volontariato e la Chiesa hanno concretamente dimostrato di fare. Si aspetta la risposta delle istituzione per svuotare il ghetto di Campolongo, ma non solo, perché, come più volte affermato da Sagnet, occorrono le soluzioni abitative, i trasporti, Centri per l’Impiego efficienti dove domanda ed offerta di lavoro s’incontrano. Il caporalato non può sostituirsi allo Stato.
Un commento
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Una grande,bella importante iniziativa che fa’ onore a chi l ‘ ha promossa.Sperimo che anche altri imprenditori meridionale e non,ne seguano l ‘ esempio.