La Coda di Volpe, il vitigno misterioso
di Luciano Pignataro
La Campania terra di bianchi? Certamente sì, ma è bene ricordare come la fortuna del Fiano, del Greco e della Falanghina sia dovuta anche al lavoro ad un vitigno autoctono antico e misterioso, sconosciuto fuori dalla regione ma molto diffuso in Irpinia nella zona di Taurasi, nel Sannio e sul Vesuvio, dove viene chiamato anche caprettone. Parliamo della coda di volpe. La sua storia è davvero carina e vale la pena di raccontarla perché nessuno sino a vent’anni fa l’aveva mai etichettata in purezza, tutti la utilizzavano come uva da taglio: in questo modo i contadini risolvevano uno dei problemi più seri dei vitigni autoctoni campani, l’elevato tasso di acidità dovuto al terreno vulcanico. Un difetto corretto in due modi: o aspettando due anni prima di bere il vino o tagliando con uva capace di arrotondare il bicchiere. Ecco perché il blend classico in tutte le doc vede sempre i tre grandi vitigni bianchi abbinati in modo naturale alla coda di volpe, un po’ come l’Aglianico è ammorbidito dal Piedirosso o dallo Sciascinoso. Il suo destino è simile alla genovese, il piatto davvero tipico di Napoli assolutamente sconosciuto fuori regione dove la cucina partenopea è identificata con il ragù. Invece questa salsa di cipolle e carne inventata forse da un monzù di Ginevra (Genève, da cui, probabilmente, genovese) o per caso da portuali genovesi di stanza al Beverello, è il vero piatto della domenica nelle famiglie che la presentano a tavola con lo zito spezzato. Proprio come questa ricetta, insomma, anche la coda di volpe è uva diffusa in tutte e cinque le province, molto amata dagli appassionati ma ancora misteriosa quando si esce dai confini della Campania. Eppure non si possono decifrare il Fiano, il Greco e il Lacryma Christi del Vesuvio senza conoscere questa piccola grande uva operaia.
In quegli anni in cui il vino campano era estraneo al circuito di qualità, pochissime le eccezioni, alcuni pioneri appassionati facevano esperimenti girando per le campagne. Leonardo Mustilli a Sant’Agata dei Goti inventò la Falanghina (fu il primo a imbottigliarla e a vinificarla monovitigno). Sempre nel Sannio, a Ponte, vicino Solopaca, nella valle coperta da chilometri e chilometri di vigneti che ha costituito una sorta di barriera corallina contro l’invasione del vino pugliese, Domenico Ocone, titolare di una delle prime aziende regionali fondata nel 1910 dal nonno, era con Luigi Pastore alla ricerca di nuovi vitigni. «La scoperta delle potenzialità della coda di volpe – ci racconta Mimmo – avvenne quasi per caso. Era il 1986 quando ne comprammo una partita dai monaci di Montevergine che ci sconsigliarono vivamente di vinificarla da sola. Loro lo avevano già fatto con pessimi risultati: la bottiglia aveva un colore spento, l’assenza quasi totale di acidità privava di tono il bicchiere. Ma noi avevamo una idea fissa: se questo vitigno era aggiunto al Greco di Tufo e al Fiano doveva avere necessariamente delle potenzialità inespresse da sfruttare. Fu così che pagammo i monaci costringendoli però ad anticipare la vendemmia di un mese: anziché iniziare seguendo la tradizione a metà ottobre, farla alla metà settembre. Ci fu un vivace battibecco, ma alla fine seguirono le nostre istruzioni. E i risultati ci hanno dato ragione». Gli accorgimenti seguiti dopo sono stati i soliti: potatura delle vigne per ottenere una bassa resa per ettaro, vinificazione in purezza con pressatura soffice usando tecnologia moderna, affinamento in bottiglia. Nacque così un vino ottimo, che ha davvero poco da invidiare agli altri bianchi campani. Ocone fu imitato qualche anno dopo da Antonio Troisi, fondatore della Vadiaperti a Montefredane in provincia di Avellino, l’azienda che, dopo la scomparsa del professore del Fiano avvenuta nel 1998, oggi vede al timone il figlio Raffaele che ha mantenuto la linea del padre.
Oggi si fa un gran parlare di vitigni autoctoni, ma sicuramente all’inizio degli anni ’90 fu una vera e propria invezione: il lancio commerciale di questo nuovo vino bianco fu portato avanti grazie ai numeri che poteva fare la Cantina del Taburno a Foglianise, siamo sempre nel Sannio. Furono le bottiglie renane di Falanghina e Coda di Volpe pensate dall’enologo Angelo Pizzi a cambiare, dopo il 1990, le abitudini del mercato regionale prima e romano poi imponendo il consumo dei bianchi campani più ricchi di struttura, freschezza e personalità e soprattutto spinti da un incredibile rapporto tra la qualità e il prezzo: difficilmente allora una bottiglia di Coda di Volpe o di Falanghina poteva costa pià di 3000 lire. Una caratteristica che è stata mantenuta nel corso degli anni con pochissime eccezioni, visto che è quasi impossibile trovare questi due vini oltre i dieci euro al consumo: il successo determina qualche problema perché le aziende e i ristoratori hanno sempre più fretta sostenuti dalla domanda ed è davvero un peccato vedere tanti vini capaci di resistere e di evolvere negli anni essere bevuti solo a pochi mesi dalla vendemmia.
Il suo nome deriva dal latino “Cauda Vulpium”, per la sua forma caratteristica che ricorda appunto la coda della volpe. La storia è particolarmente affascinante se si considerano oltre all’antichità che ne contraddistingue le origini anche i numerosi casi di sinonimia e omonimia segnalati da numerosi studiosi. Il primo a citarla è Plinio il Vecchio nel suo famoso Naturalis Historia che, trattando dei vitigni adatti ad essere allevati con il sistema della pergola scrive: “minus tamen, caudas vulpium imitata, alopecia”. Fu il Porta nel 1584 a sostenere che con il nome di Coda di Volpe si coltiva un vitigno identificabile con le uve alopecia sebbene tale ipotesi non fosse suffragata da elementi certi.
Altro caso di studio per gli ampelografi campani è stata la sinonimia tra il Coda di Volpe e il Pallagrello. Giuseppe Froio, nel suo lavoro del 1876 sui vitigni italiani, la descrive utilizzando indifferentemente i termini Pallagrella bianca e Durante, in seguito tratta dei vitigni coltivati in Campania dando notizia di una Coda di Volpe diffusa a Torre del Greco e del Pallagrello presente nel Casertano ritenendo quindi diverse le due varietà. Studi recenti hanno comunque accertato attraverso l’analisi del Dna che si tratta di uve diverse, così come la coda di pecora, usata a volte come sinonmo, è un altro vitigno autoctono che non ha nulla in comune. Mincione a tal proposito scrive che dalla coda di volpe: <si ricava un vino di buona produzione alcolica, dal colore brillante, giallo dorato. Il vino ha altresì un odore vinoso con leggero aroma gradevole, non molto intenso. Nel primo anno di vita del prodotto si rivela leggermente dolce; ma, invecchiato, assume un sapore asciutto e non molto ricco di corpo>. Agronomicamente la coda di volpe è un vitigno poco vigoroso con produzioni non eccessive, a maturazione raggiunge elevati livelli in zuccheri mentre l’acidità totale è piuttosto bassa: proprio per questo ci sono sempre stati molti dubbi sull’opportunità dell’uso del legno e la stragrande maggioranza dei produttori si è orientata per l’acciaio. Il professore Luigi Moio ha invece percorso la strada della fermentazione in barrique con la Cantina del Taburno e il risultato ha stravolto tutti i luoghi comuni per il vino si è presentato allo stesso tempo complesso senza però perdere freschezza anche se sicuramente tra i più morbidi dei vini di stile campano. La zona del Taburno, su cui insistono due doc, Sannio e, appunto, Taburno, sembra essere particolarmente vocata per questo vitigno e, in generale, per le uve a bacca bianca oltre che per l’aglianico. L’esposizione a Mezzogiorno l’altezza, la ventilazione e l’escursione termica, il terreno vulcanico e argilloso rappresentano le condizioni da manuale della Giovani Marmotte: Fattoria la Rivolta e Ocone sono appunto due esempi di questa qualità capace di sfidare il tempo. Le bottiglie di Coda di Volpe delle due aziende, che usano esclusivamente l’acciaio, sono capaci di sfidare il tempo anni e di presentarsi in grande spolvero anche dopo quattro, cinque anni, in modo molto interessante.
Sempre nel Sannio, bisogna ricordare le bottiglie delle aziende sparse tra Guardia Sanframondi e Castelevenere, i due comuni più vitati della Campania, dove questo bianco è prodotto in purezza o entra in uvaggio in molti prodotti di Ciabreli, Venditti, La Guardiense, Torre Gaia, Fontana delle Selve, Foresta, Vinicola del Titerno.
Anche in Irpinia è molto diffuso con una peculiarità che pochi conoscono: in sostanza è l’uva a bacca bianca più diffusa nella zona di Taurasi, non a caso è stato il primo e unico per molti anni bianco di Molettieri a Montemarano, è proposta da Manimurci a Paternopoli, Cortecorbo a Montemarano, Colli di Castelfranci a Castelfranci, Colle di san Domenico a Chiusano San Domenico ma è prodotto anche dalle tre portaerei della viticoltura campana, Mastroberardino, Feudi e Terredora oltre che da D’Antiche Terre, Colli Irpini, Crogliano, Dedicato a Martianna, Di Meo. Giulia, Tenuta Ponte, Terranera, Urciuolo e, naturalmente, Vadiaperti di cui abbiamo già detto e che è stato il primo a proporla etichettandola in purezza.
Molto importante è il ruolo della Coda di Volpe sul Vesuvio dove è parte fondamentale nel blend per il Lacryma bianco: straordinaria la mineralità che caratterizza il bicchiere. Qui due enologi toscani, Roberto Cipresso con Villa Dora e Bernardo Canuti con la giovanissima azienda De Caprio hanno avuto il loro impatto con questo vitigno. Anche Canuti, come Moio, pensa che si possa fare un grande vino bianco da invecchiamento e ha voluto la vinificazione in legno ottenendo davvero un buon risultato. L’uva è comunque da sempre dentro le aziende storiche del territorio, De Falco, Enodelta, Sorrentino, Scala, Cantine Astroni a Naoli, Pagano e poi le ultime nate Poggio delle Baccanti, Ametrano, Sannino.
Il Coda di Volpe è un vino antico e moderno. Già citato, come abbiamo visto, da Plinio, è nella sapienza colturale contadina vesuviana, irpina e sannita da sempre. Moderno per la sua tipicità, la capacità di stare sul mercato a prezzi molto vantaggiosi per il consumatore e soprattutto per la sua straordinaria abbinabilità a tutti i piatti della cucina moderna dell’alta ristorazione della Penisola Sorrentina. Si abbina così ai sushi di Vico Equense come alle tapas di Cetara con la colatura di alici, ma anche alle paste con i piselli, i fagioli, le zucchine, le patate, i ceci, le lenticchie della tradizione contadina meridionale adottata dalla gastronomia classica partenopea. Spinto dalla tendenza alla valorizzazione dei vitigni autoctoni, questo vino bianco ha dunque le carte in regola per consolidare il suo successo ed espandersi ulteriormente così come è accaduto ad un altro vino operaio, la falanghina adesso coltivata anche in Molise e in Puglia. Un successo già scritto nella antica modernità di un bianco le cui potenzialità sono ancora tutte da scoprire e che ha ancora davvro molte cose da raccontare.
Cucina e Vini, ottobre 2006
Le aziende
La provincia di Napoli
AMETRANO
TORRE ANNUNZIATA
Via Gioacchino Murat, 21
Tel. 081.8738226 e 081.8622873
E mail: [email protected]
Sito: www.ametrano.it
CANTINE ASTRONI
NAPOLI
Via Padula, 145
Tel. 081.7158906
www.cantineastroni.com
CANTINE DE CAPRIO
TORRE DEL GRECO
Località Monicelli
Sede Via Arangio Ruiz, 83
Tel. 081.7612576
www.cantinedecaprio.it
DE FALCO
SAN SEBASTIANO AL VESUVIO
Via Figliolia
Tel. 081 7713755 – Fax 081 5745510
[email protected] – www.defalco.it
ENODELTA
AFRAGOLA
Via Oberdan, 56
Tel. e fax 081 8512135
www.enodelta.it
GROTTA DEL SOLE
QUARTO
Via Spinelli, 1
Tel. 081.8762566
Fax 081 8769470
[email protected] – www.grottadelsole.it
PAGANO
BOSCOREALE
Via Marchesa, 507
Tel. 081.8591224
Fax 081.8591224
POGGIO DELLE BACCANTI
SANT’ANTONIO ABATE
Via Stabia,733
Tel. e fax 081.3906430
Tel. 081.8743029
www.poggiodellebaccanti.it
88061
SANNINO
ERCOLANO
Via G. SEMMOLA, 146
Tel. 081.7322060 e 081.7390346
Fax 081.7322060
www.sanninovini.com
SCALA
PORTICI
Corso Umberto I, 33
Tel. 081.7767641
Fax 081.7764128
SORRENTINO
BOSCOTRECASE
Via Casciello, 5
Tel. e fax 081.8584963
www.aziendavinicolasorrentino.it
VILLA DORA
TERZIGNO
Via Boscomauro, 1
Tel. 081.5295016 – Fax 081 8274905
[email protected] – www.gruppodorotea.it
La provincia di Avellino
AMINEA
CASTELVETERE
Via Santa Lucia
Tel. 0827 65787. 0825.38888 335.7549634
CASTEL DEI FRANCI
CASTELFRANCI
Via Valle
Tel. 0825.72675
Fax.0825.72272
www.casteldeifranci.com
COLLE DI SAN DOMENICO
CHIUSANO DI SAN DOMENICO
Strada Statale Ofantina, km 7,5
Tel. 0825 985423
www.cantinecolledisandomenico.it
COLLI DI CASTELFRANCI
CASTELFRANCI
Contrada Braudiano
Tel. e Fax 0827.72392
www.collidicastelfranci.com
COLLI IRPINI MONTESOLE
MONTEFUSCO
Via Serra
Tel. 0825 963972
Fax 0825 963970 – [email protected] – www.colliirpini.com
CORTECORBO
MONTEMARANO
Via Torre, 2
Tel. e fax 0827.66055
Sito: www.cortecorbo.it
CROGLIANO
MONTEFALCIONE
Area Pip, via Stazione
Tel. e Fax 0825 973208
D’ANTICHE TERRE
MANOCALZATI
Contrada Lo Piano, Strada Statale 7 bis
Tel. 0825 675689 e 0825 675358 (anche fax)
DEDICATO A MARIANNA
GROTTOLELLA
Via Carrara, 5
Tel. 0825.627252
Fax 0825.627224
DI MEO
SALZA IRPINA
Contrada Coccovoni, 1
Tel. 0825.981419
Fax 0825 986333
[email protected] – www.dimeo.it
GIULIA
PRATA PRINCIPATO ULTRA
Via Boschetto
Tel. 0825 961219
Fax 0825 961135
FEUDI DI SAN GREGORIO
SORBO SERPICO
Località Cerza Grossa
Tel. 0825 986266 e 986267 – Fax 0825 986627 – [email protected] – www.feudi.it