La Capanna di Eraclio a Codigoro: ritorno agli anni ’50!
di Giulia Gavagnin
C’è stata la novelle cuisine, Verge’, Bocuse, gli anni Ottanta, Marchesi e il riso oro e zafferano, il titanismo duale Vissani-Pierangelini, Adrià e la sferificazione, gli enfant terrible della cucina italiana, il magmatico Bottura, l’essenziale Romito. I maceratori, i fermentatori, i cultori dell’amaro, i ragazzotti palestrati del liquamen e del garum, basta che termini con qualche consonante (è latino, non amerindio, eh).
Ma dell’”ancestrale” vogliamo parlare?
Diceva qualcuno che è più facile fare le cose difficili di quelle semplici.
Puoi stupirmi con effetti speciali, farmi scoppiare il raviolo in bocca, far cadere la crostatina, inginocchiarti in liturgica preghiera davanti al soufflè, farmi credere che era un uovo e invece era una carota, divertirmi facendo il Mago Silvan anche se sei solo un cuoco. Mi diverto, sì, molto. Ma il miglior fritto di pesce del mondo, tu, giocoliere, lo sai fare?
La grande ristorazione spesso nasce lontano da tutto, dal glamour della città, dai tacchi 12 delle starlette o aspiranti tali, dalla necessità di essere commerciali; l’ho sostenuto per un innovatore solitario come Niko Romito, lo sostengo con ancora maggiore convinzione per “il” luogo immutabile per eccellenza, quello che giace là in mezzo alle terre di bonifica, in quel reticolato dove è facile perdersi e ritrovarsi in qualche quadro dell’Italia degli anni ’50, dove la macchina del tempo sembra averci fatto uno scherzo bizzarro e catapultati nell’anteguerra, e a volte anche la macchina dello spazio sembra averci schernito perché –non scherzo-quando qui il mais arso dal sole è trebbiato sembra di essere a Red Rock, Tucson, Arizona.
La Capanna di Eraclio è “il” luogo immutabile per eccellenza, la casetta bianca che fu anche tabaccheria dai primi del Novecento sul Delta del Po, il ristorante di Eraclio e Vanda Soncini trasmesso identico ai figli Maria Grazia e Pierluigi, la nostra, grande cuoca d’Italia e l’elegante fratello uomo di sala, il mobilio rimasto come allora, il pergolato dei mesi estivi, il pesce, i molluschi, i crostacei di Goro, l’anguilla leggendaria, la selvaggina da piuma in stagione, la pernice ripiena di foie gras quasi tutto l’anno.
Alla Capanna di Eraclio si capisce che la cucina è una cosa seria, che la Capanna stessa è parte del genius loci, che forse solo qui si custodisce il segreto del Mare Adriatico, chè quella “passeggiata nel Delta del Po” ha quei gamberetti di laguna così intensi, quella moeca così croccante, quella bosega cotta sui carboni che profuma di verità come tanti giovani virgulti si affannano inutilmente a riprodurre sul Kamado o Big Egg perché la brace va di moda ma questa qui ti salda il conto, e sì che la bosega non sarebbe nemmeno la regina dei pesci ma proprio una Cenerentola.
Alla Capanna di Eraclio si pensa alla celebrazione del solito, sempre il solito, e invece trovi il granchio blu, una specie infestante apparsa da pochi anni nelle nostre acque, a metà tra il king crab e l’aragosta che fritto alla maniera della moeca diventa una leggenda ancor più della moeca stessa, un nuovo classico che dovrebbe stare al Moma insieme allo spaghetto di Camanini.
Alla Capanna di Eraclio la padellata di scampi, pomodoro e mozzarella di bufala profuma di sole, l’anguilla “arost in umad” (scottata sulla griglia e passata in forno, con la polenta bianca) sa di buono anche per i detrattori del lubrico biscione, l’anguilla alla brace è dolce anche se è già la terza volta che i fratelli Soncini non ce la propongono perché non la trovano di giusta pezzatura: alla Capanna o la materia è perfetta o niente.
Alla Capanna la capasanta cruda con il caviale sa di mare, di olio d’oliva, di corallo, tutti i sapori sono distinti, ne vorresti un carico perché così non l’hai mai mangiata mai, proprio mai, altro che quelle nefande capesante atlantiche ciccione che si trovano ovunque che non sanno di niente, che qualsiasi cosa ci metti sanno di quello che ci metti e non di capasanta, queste qui o le mangi in loco o niente, non saprai mai cos’è una vera capasanta, quella conchiglia da cui nacque Venere.
Alla Capanna il Delta del Po è proprio lui, il Delta di Venere, c’è la magia del tempo che si ferma, la sensazione di tornare ai tempi in cui non avevamo la tv e giocavamo a “campanon”, quando per divertirci bastava un gessetto, disegnare a terra dei quadrati e saltarci sopra. Alla Capanna capisci che per fare un fritto così bisogna essere i veri prestigiatori, che i fuochi d’artificio sono nella brace che conferisce ai piatti di Maria Grazia Soncini quell’identità, quel sapore, quell’emozione ancestrale che origina dalla ripetizione, dall’approccio rinascimentale, non dal funambolismo barocco fine a se stesso.
Per caso: avevate capito che per me è il miglior indirizzo di pesce a Nordest?
La Capanna di Eraclio
Località per Codigoro, 3
44021 Codigoro (FE)
Tel. 0533/712154
Un commento
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Bravissima Giulia! Finalmente una recensione fresca, attenta , non convenzionale,senza timore di apparire “provinciale” in questo mare di apprendisti stregoni! Viene la voglia di partecipare,di nuovo, ad un dibattito vero, dopo il diluvio di scontate e conformiste relazioni intorno ad una cucina che, fatto salve alcune ottime eccezioni, si avvia ,ormai, verso un decadente e tardo barocco. Bisognerebbe aprire davvero una seria discussione su ciò che di buono è stato fatto ( e ce n’è molto) e quello che è sola “apparenza” senza sostanza..E non dover leggere, alla fine delle recensioni, anche i soliti noiosi commenti di persone “petrusino di ogni menesta” che, instancabili,contituano a “pontificare” su tutto nel tentativo,temo ,di captare qualche “benevolenza” dagli addetti ai lavori!