La Calce, Domingo Schingaro riparte dal bistrot a Borgo Egnazia
di Stefania Leo
Non è raro che un ristorante stellato, dopo qualche anno di esperienza, apra il suo bistrot. Di solito, come nel caso di Moreno Cedroni con Anikò a Senigallia o Floriano Pellegrino con Roots a Scorrano, sono avamposti di conquista e visibilità in altre città. Il bistrot del ristorante una stella Michelin Due Camini di Borgo Egnazia, nei pressi di Savelletri (Br), ha sfidato la consuetudine, nascendo nel porticato della Corte, spazio attiguo al ristorante gourmet. Aperto il 19 giugno, La Calce è il simbolo della ripartenza serena di Domingo Schingaro.
Il bistrot – che Schingaro preferisce chiamare trattoria moderna – utilizzerà lo stesso staff e vedrà la presenza dello chef e sous chef Angelo Convertini a guidare la brigata, alternandosi una settimana alla volta. «Abbiamo aggiunto qualche elemento per supportare entrambi i lavori. Ma il nostro bistrot ha la stessa cucina, gli stessi uomini, la stessa modalità di servizio. Solo che c’è meno tecnica e più cucina di pancia, con prodotti di grandissimo livello, sempre pugliesi». Ad oggi l’idea di La Calce piace: la media dei coperti per il pranzo è di 30-40 persone, che arrivano a 50 per la cena.
Il nome nasce da un’ispirazione architettonica. «È l’ultimo strato delle costruzioni della Valle d’Itira, racchiude tutto, il cemento e i mattoni. È così che pensiamo La Calce: è un’esperienza in più, ma che unisce quella dei Due Camini. In questo territorio la calce è utilizzata anche in alcune preparazioni, come le olive in calce o per conservare alcuni alimenti durante l’inverno. Non mi interessava il nome del suono, ma i suoi più sensi. Come quello del custodire, gesto che vogliamo fare per i fornitori che ci accompagnano. Da sempre cerchiamo i migliori tra i piccoli produttori. Come calce ne custodiremo il sapere e i prodotti».
L’idea del bistrot c’era già prima del Covid-19. Il pensiero di Schingaro era rivolto al tempo: ce ne voleva uno diverso rispetto a quello del ristorante gourmet. «All’interno del bistrot nasceva un esigenza, un bisogno tutto mio di confrontarmi tutti i giorni con il mio staff, senza piatti standard in cui raggiungere la perfezione. A La Calce vogliamo essere più liberi di provare e di sbagliare. Abbiamo gli spazi giusti, la cucina è grande per fortuna: qui le brigate possono lavorare per entrambi i servizi e nel frattempo possono mischiarsi le idee».
Poi “il casino” come Schingaro chiama il Coronavirus, ha gettato la giusta luce sulle cose. «Durante questo lockdown ho capito che c’è tempo per tutto, soprattutto per gli altri – ci dice lo chef – In questo periodo ci siamo tenuti in contatto con i ragazzi, che abbiamo lasciato studiare. Abbiamo fatto ricerche di vegetali e grani del Mediterraneo, creando dei fascicoli e ci serviranno nel nostro lavoro futuro. Dopo quattro mesi avevo bisogno di cucinare, ma in modo diverso e La Calce era proprio quello di cui avevo bisogno. Io, che nella mia attrezzatissima cucina ho solo fornelli a induzione, avevo bisogno di toccare il fuoco con mano».
Il forno a legna è il centro pulsante della cucina di questa trattoria moderna. Schingaro e la sua brigata vivono la primordiale scoperta dell’umanità come una chiave per lavorare più liberamente e con più creatività. Si sperimentano cotture di pesci in foglie di fico, in argilla, in creta. «Volevo che i ragazzi si sentissero più sereni e con meno pressione. Questo virus qualcosa ce l’ha insegnato. Voglio vivere una vita un po’ più serena ed è un peccato che ci sia voluta questa catastrofe per capirlo».
A La Calce si cucina pescando nel territorio, creando piatti materici, vegetali, che si nutrono della biodiversità del territorio. Ed ecco spuntare le Orecchiette baresi ai tre pomodori, cacioricotta e rucola, un piatto della tradizione arricchito dalla dolcezza del pomodoro fiaschetto di Torre Guaceto, con attenzione alla stagionalità e alla valorizzazione di una qualità che rischiava di sparire.
Tra i secondi, da non perdere il Merluzzo, cialledda e origano, reinterpretazione moderna della “cialledda” fasanese accompagnata al pesce pescato in inverno ed essiccato per la conservazione, esaltando l’importanza dell’ecosostenibilità e del recupero dei prodotti. Nella Coda di manzo podolica, cotta in forno a legna spento per un’intera notte e poi sfilacciata, si punta sul gusto forte ed essenziale, sfruttando la spinta dell’amaro della cicoria cruda. Ma attenzione, non c’è una carta. «Ci sono piatti giornalieri, nati con ciò che il nostro orto ci offre e tutte le parti degli animali, che a Borgo Egnazia riesco ad utilizzare per intero». Il prezzo medio di un pranzo o una cena è di 78 euro, comprensivo di antipasto, primo, secondo, dessert. Il menù degustazione è possibile solo per cena, al prezzo di 45 euro vini esclusi.
Giuseppe Cupertino, wine experience manager di Borgo Egnazia, ha creato una carta dei vini fortemente legata al tema della sostenibilità, della biodiversità e del biologico ottenuto in maniera naturale. «Proponiamo una selezione di vini pugliesi e italiani, frutto di una ricerca delle piccole realtà sul territorio, tra piccoli vignaioli e autentiche espressioni enoiche dei territori di più alta vocazione. Grande attenzione all’esperienza dei produttori e al racconto delle pratiche colturali e di lavorazione, in un vero e proprio racconto emozionale che mette al centro la vigna, l’uomo e la sua filosofia produttiva. Ampia attenzione e una dedica particolare andrà alla Valle d’Itria», spiega Cupertino.
«Proprio si stanno facendo avanti giovanissimi viticoltori che stanno esprimendo un altissimo livello di qualità e una forte identità, a partire dalla selezione dei vitigni da impiantare o da preservare, a volte riscoprendo alcuni lontanissimi cloni e antichissime varietà – aggiunge il manager – Pratiche di vigna che rispettano profondamente la terra e gli alberi secolari, vinificazioni con le più evolute tecniche e attrezzature. Chiudono il cerchio packaging, marketing e comunicazione degni della generazione dei “millenials”».
Il futuro secondo Domenico Schingaro ricomincia dalla formazione. «Vorrei ampliare sempre di più la mia mente e la conoscenza della cucina mediterranea». Poi c’è un nuovo inizio, quello dei Due Camini. Si riparte il 2 luglio con tre nuovi percorsi degustazione, completamente rivoluzionati proprio grazie all’esperienza de La Calce. Infine, non ci sarà un vero nuovo inizio senza l’attenzione al bello e buono. «Il 18 maggio, alla riapertura dei ristoranti, sono tornato nella mia pizzeria preferita, Luppolo e Farina di Latiano (Br). Era pieno, aveva 120 coperti. Non lo avrebbe mai pensato. Con il ritorno dei primi ospiti abbiamo curato molto le colazioni. Uscivo in sala per captare il feedback degli ospiti. In molti hanno detto semplicemente: “l’importante è stare qua”. La gente non vedeva l’ora di tornare a godersi questi momenti. Chi ha sempre fatto bene, deve continuare a farlo per continuare ad avere successo. Il segreto è quello. Soffrirà chi si è improvvisato, chi non ha un’identità definita. È un po’ come Borgo Egnazia: la gente è tornata perché qui c’è il buono e il bello».