Kissos la Mia Falanghina Felix ed il racconto di un Giallo della Campania che emoziona
di Annito Abate
Quando si aggira una montagna bisogna fare un’altra strada, attraversare altri territori, aprire un altro angolo emozionale. Percorro la Valle Caudina, dalle alture dove si percepisce ancora l’influenza d’Irpinia fino alla Vallata dove si cominciano a “sentire” le prime propaggini del Sannio non ancora collinare; attraverso lo spazio che separa, lungo la direttrice est-ovest, le due emergenze ambientali rocciose, simboli e segni di riconoscimento del paesaggio delle due Province Campane.
E’ la Terra che divide il Massiccio del Partenio da quello del Taburno.
Il Monte sannita, alle cui pendici giace il semicircolare Borgo di
Sant’Agata De’ Goti, disvela le sue pendici collinari pettinate dai filari di viti che, talvolta, “grondano” delle uve, per la maggior parte dorate non ancora raccolte ed a tratti si riposano spoglie dei grappoli già vendemmiati; gli oliveti ed i boschi dialogano con le vigne lasciando spazio alla propaggine tufacea dove si erge la parte più antica del Paese, le acque del Martorano e del Riello affluiscono al fiume Isclero ad irrorare lo spettacolo delle valli.
Sant’Agata de’ Goti (bandiera arancione del Touring Club Italiano è inserito nell’elenco dei “Borghi più belli d’Italia”) mi attende!
Racconto “La Mia Falanghina” agli eno-appassionati che hanno deciso di essere presenti alla XII edizione di Falanghina Felix, evento organizzato dalla Camera di Commercio di Benevento tramite la propria azienda speciale Valisannio, con la partecipazione della Provincia di Benevento, dello Stapa Cepica di Benevento e dall’Amministrazione Comunale.
Entro nel Borgo Sannita che è ormai sera, seguo la via principale per raggiungere l’enoico appuntamento, la storia “trasuda” da ogni “poro”, dalla trama urbana, dagli edifici, dai materiali che vengono plasmati dalle luci pubbliche e da quelle private che si proiettano dai locali.
Oggi sono tutti in festa, si percepisce dal fermento, dai primi banchi espositivi delle Aziende Vitivinicole sotto i portici, dalla sequenza dei manifesti e colophon che, ritmicamente, ricordano la rassegna sul noto vino-vitigno campano, ogni angolo vuole comunicare la qualità della falanghina, “ingredienti importanti” sono la cultura e l’emozione.
Supero una chiesa, è ancora aperta, arrivo a Piazza Municipio incrocio via Perna, svoltato l’angolo, in un attimo giungo alla meta, un cartello con sfondo marrone e bordi bianchi, di quelli utilizzati per la segnalazione delle emergenze storiche, indica la scritta “Palazzo S. Francesco (sec. XIII-XVIII); l’ultima asticella del secondo numero romano è quasi cancellata e mi fa sorridere il pensiero che qualche studioso locale l’abbia potuta cancellare di notte perché ha scoperto che qualche centinaio di anni sono un errore di classificazione del Monumento insopportabile; l’antica opera architettonica è composta da chiesa e convento, già caserma nel 1865, ancora edificio ecclesiastico nella seconda metà del ‘900 ed oggi di proprietà del Comune che vi organizza eventi musicali e culturali.
Incastonato nella facciata barocca vedo il portale con l’ingresso posto ad un’altezza superiore rispetto alla strada, salgo i 5 gradini in pietra che segnano il dislivello tra il lastricato esterno e quello interno, supero lo stendardo Falanghina Felix che penzola sotto l’arco e sono dentro il cortile.
Si respira una bella aria, i banchi di degustazione sono posizionati tra le campate delle parti laterali coperte del cortile interno, i Sommelier AIS di tutta la Campania, con grazia e gentilezza, versano il dorato nettare di dioniso nei calici ai convenuti spiegandone, a richiesta, le caratteristiche organolettiche; ho un poco di tempo prima che cominci il mio “racconto enoico” e decido di dare un’occhiata, salutare i miei amici e soprattutto degustare in anteprima il vino che, di li a poco, avrei dovuto narrare e che trovo in splendida forma.
Quasi puntuali rispetto all’orario stabilito dal programma ci sediamo al “tavolo di conduzione” nella Sala Consiliare dello storico Palazzo, in questa prima serata siamo in sei, scelti tra wine blogger ed eno-appassionati, chiamati a raccontare ognuno la sua storia legata alla falanghina e trasferire ai presenti le emozioni del passato e quelle del presente.
Ad uno ad uno intervengono tutti i miei “compagni di viaggio”, ognuno riesce ad entrare nel personaggio e nel meraviglioso liquido idroalcolico versato nel loro calice dalla bottiglia che lo aveva protetto da quando era stato considerato, a tutti gli effetti, come Vino.
Federica de Vizia (DOC Falanghina del Sannio “Vandari 2012 Antica Masseria Venditti), Gaetano Salierno (DOC Falanghina del Sannio Taburno 2012 Fattoria La Rivolta), Carla Visca (DOC Falanghina Del Sannio “Fois” 2012 Azienda Agricola Cautiero), Billy Nuzzolillo (DOC Falanghina Del Sannio 2012 Azienda Agricola Fontanavecchia), Mimmo Gagliardi (DOC Taburno Siriana 2011 Azienda Agricola Torre A Oriente) sono i cantastorie enoici della Campania Felix voluta dagli illuminati organizzatori.
Tocca a me l’ultimo racconto, quello del vino che ho scelto: “DOC Taburno Falanghina “Kissos” 2008 di Cantine Tora”,
un’esplosione di “giallo” alla vista, al naso ed al palato, una delle chicche enologiche del territorio regionale; naturalmente è falanghina in purezza con acini “portati” fino a “vendemmia tardiva” (seconda metà di ottobre e, come dichiarato in etichetta, solo in annate particolari). A chi venisse in mente va detto: “niente legno”, per lasciare nel tempo tutta l’acidità che servirà a “foderare” il bouquet, una particolare espressione del territorio, una tipicità specifica percepita quasi come un ossimoro.
Tutto in questo vino deve concorrere al “risultato” finale: dieci mesi di fermentazione a temperatura controllata (circa 5°C), sosta sulle fecce fini, due mesi di riposo in acciaio e poi ancora altro tempo in bottiglia; l’architetto di questo vino, Angelo Valentino, è un enologo che sa, non fosse altro che per le probabili “influenze familiari”, come si trattano le uve più mature.
La cantina è condotta inizialmente da Vincenzo Rillo, nel 2004 la decisione di una nuova organizzazione per salvaguardare, contemporaneamente, tradizione ed innovazione, poi le “redini” sono state prese in mano da Concetta Rillo insieme ai fratelli Gianpiero e Francesco. Circa dodici ettari di vigneti disposti ad un’altezza ottimale, in media 360 metri s.l.m., terreni argillosi, siamo a Torrecuso, dall’altra parte della Montagna rispetto al posto dove sono seduto stasera.
Il colore è un luminoso giallo dorato che non lascia sorprese ad un naso completo di fiori gialli, tra tutti spiccano i profumi di acacia, mimosa e ginestra che si uniscono a quelli fruttati che svelano anche una certa maturità e sentori esotici di maracuja, poi frutta secca e note di miele; in bocca la “dolcezza” del naso non lascia spazio ad alcuna presenza zuccherina, ancora presente una più che buona freschezza accompagnata da una percepibile sapidità, entrambe riescono a bilanciano la morbidezza dell’alcol presente (ben 14%vol). Alcuni sentori percepiti al naso emergono come aromi retro olfattivi, il vino è “grasso”, “opulento”, quasi “aristocratico”, è armonico e lungo sul finale, sa emozionare e guadagnarsi un posto nella memoria di chi lo degusta.
Ho incontrato, stasera, un vino che mi ha sorpreso, di nuovo, qui tra le montagne del Taburno e che, qualche tempo fa, mi aveva fatto emozionare sotto il cielo stellato del Cilento.
Un commento
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Ottimo report. Devo precisare che la Siriana che abbiamo degustato era del 2009 e non del 2011. :)