Jocalis 2005, il lato dolce della falanghina
La produzione di qualità vinicola dopo una lunga rincorsa si è ormai appaiata al livello espresso l’alta ristorazione campana. Discorso a parte, invece, per quanto riguarda i vini dolci, in media ancora lontani dallo standard della sontuosa, ricca, varia tradizione pasticcera partenopea. In verità negli ultimi venti anni le cantine hanno usato le uve soprattutto per fare bianchi e rossi perché a per fare passiti sono necessari maggiori sforzi in campagna e, soprattutto maggiori investimenti perché, ovviamente, la resa per questa tipologia è molto più bassa. Proprio questa circostanza spiega invece quella che sembra una naturale vocazione del Sannio in questa direzione, e il motivo va cercato proprio nella abbondanza di uva in questa provincia, dove è concentrato circa il 60 per cento dell’intera produzione campana. Detto questo, cosa si deve chiedere a un vino passito o dolce? Anzitutto quella di essere il meno stucchevole possibile, ossia di non lasciare l’idea di aver bevuto zucchero come capita con la stragrande maggioranza dei succhi di frutta e, peggio ancora, delle bevande gassate. Per realizzare questo obiettivo, certo non facile, bisogna salvaguardare l’acidità e, possibilmente, far emergere anche sentori minerali, persino la sapidità se possibile, per far si che il vino, sotto il guanto dolce con cui riveste il palato, abbia poi la forza di imporsi con carattere e tipicità territoriale. Non è facile, servono uve ben coltivate in territori con escursioni termiche, curate nei particolari, direi persino coccolate. Come lo Jocalis di Marcellino Pascale, la bella azienda adagiata su una collina che degrada da Guardia Sanframondi sino alla Valle Telesina. Interessante sin dalla sua prima versione, di anno in anno questo vino bianco dolce diventa sempre più interessante grazie al lavoro di smagrimento a cui si sta lavorando. La 2005, complice comunque l’annata sicuramente non facile, va proprio in questa direzione: fine, elegante, capace di attirare l’attenzione degli esperti come degli astemi. Si dice sempre del vino passito e del formaggio ma in realtà è una moda, ché al Sud non c’è questa abitudine e nemmeno tanta voglia di assumerla. Ma su struffoli, babà, zeppole, zuppette, sfogliatelle, bocconotti, pastiera, e quanto di altro è stato inventato dal genio pasticcere napoletano negli ultimi duecento anni, questo vino funziona alla grande. Regalatelo e bevetelo alla fine del pasto domenicale, quando vi aspetta un pomeriggio deliziosamente pigro. Vi farà dimenticare che il giorno dopo è lunedì.