Problema: gli istituti alberghieri sono davvero utili?
di Marco Contursi
Chi mi conosce sa che spesso i miei articoli hanno un taglio polemico andando a colpire aspetti del mondo gastronomico, su cui si dovrebbe riflettere e su cui i più, preferiscono chiudere gli occhi. Io mi auguro sempre che il dibattito che scateno, non si esaurisca a qualche invettiva o applauso sul blog ma possa dare luogo a qualche cambiamento tangibile. Forse sono un presuntuoso o un sognatore o forse entrambe le cose, ma io continuo a provarci con entusiasmo.
Quello di oggi è un argomento che mi sta molto a cuore poiché vede coinvolte le nuove generazioni, i ragazzi che si affacciano la prima volta al mondo della gastronomia.
Ma negli istituti alberghieri si insegnano le cose giuste?
Questa è una domanda che mi sono posto più volte in un passato remoto e recente, dopo aver partecipato a numerosi buffet organizzati dagli studenti e dopo essermi confrontato con diversi professori anche di altre regioni.
L’ultimo episodio ieri, dove vengo invitato a un buffet curato da un istituto alberghiero campano per concludere un gemellaggio con un istituto settentrionale dello stesso indirizzo, i cui alunni erano venuti in Campania per conoscere alcuni prodotti locali, pomodoro san marzano in primis.
Il buffet, come mi è sempre capitato in queste occasioni, prevedeva, canapè, quiche, spiedini di mozzarella e pomodorini, pasta con le melanzane, risotto con zucca e salsiccia, più alcuni contorni. Credo di aver visto anche della bresaola.
Tutte cose ben eseguite, a dire il vero, ma che non avevano nessun legame col territorio né rispettavano perlopiù la stagionalità. La pasta con le melanzane seppur molto buona, era giustamente chiamata in menù “Sformatino alla siciliana” e non credo fosse la scelta ideale per dei ragazzi settentrionali, sia per il legame col territorio campano sia per il periodo di raccolta delle melanzane che sono notoriamente un ortaggio estivo. I dolci, eccellenti, invece erano della nostra tradizione. Niente pizza di scarole, frittata di maccheroni, gattò di patate, sartù di riso. Niente pomodori san marzano, corbarini, piennolo, cipollotti nocerini ecc…
Due i problemi che io ravviso nel programma di studi degli istituti alberghieri:
- 1)
La mancanza di corsi sulla analisi sensoriale e il riconoscimento delle materie prime che si usano in cucina (olio, salumi,ortaggi, frutta). Capita così che i ragazzi (ma spesso anche i docenti) non sappiano riconoscere un olio rancido, non conoscano la stagionalità delle verdure e della frutta, ignorino proprio alcuni ortaggi locali, non distinguano un salume buono da uno cattivo, non sappiano usare né conservare alcuni alimenti come ad esempio il miele.
- 2)
Assenza di corsi sulla cucina tradizionale locale. Gli studenti oggi non conoscono la differenza tra una quiche e una pizza di scarole, ignorano cosa sia uno scarpariello pur conoscendo i gamberi in salsa rosa e altre amenità simili, retaggio di una cultura del food degli anni 80|90 che oggi purtroppo regna ancora nelle cucine di molti istituti alberghieri. Ma secondo voi può un alunno di un alberghiero dell’agro nocerino diplomarsi, senza aver mai visto un pomodorino di corbara o un san marzano, prelibatezze che tutto il mondo ci invidia e ci copia?
Parlo per conoscenza diretta. Tre anni fa feci un corso serale di cucina in un alberghiero del mio territorio e il Professore ci insegnò a fare il cocktail di gamberi, le penne vodka e salmone, il filetto alla Wellington e altri piatti usciti dalla preistoria della gastronomia.
Nel corso del mio mandato di fiduciario di Slow food di una condotta campana, ho più volte cercato di proporre a presidi e professori corsi gratuiti e gestiti da professionisti, su miele, salumi, olio, incontrando però sempre un interesse effimero che non portava a nulla di fatto.
Molti buttano la croce sugli insegnanti di cucina, sostenendo che i cuochi bravi lavorano in proprio e non insegnano. Io sostengo il contrario e cioè che i migliori debbano dedicarsi all’insegnamento poiché il ruolo del docente, di colui che prepara le nuove generazioni, è fondamentale in qualsiasi società civile.
Come sbagliatissimo è credere che poi i ragazzi apprendano queste cose nel mondo del lavoro, che oggi corre sempre più frenetico e con sempre minor tempo e soldi per la qualificazione del personale.
Di chi è la colpa? Del ministero competente che non aggiorna i programmi di insegnamento con corsi obbligatori ma gratuiti per la qualificazione del personale docente, e che permette che una persona con una laurea scientifica generica possa insegnare scienza dell’alimentazione in questi istituti, pur non avendo mai fatto un esame specifico ad esempio sull’olio. E’ come quando un laureato in chimica o economia insegna geografia astronomica in un liceo.
C’è poi sempre il problema dei fondi, sempre più pochi per attività extracurriculari e quindi capisco il Preside che mi disse che questi corsi gratuiti da me proposti andavano fatti al di fuori dell’orario scolastico ma non c’erano i soldi per pagare il bidello pure il pomeriggio.
Io continuo però a credere che si possano colmare queste lacune con l’impegno e la buona volontà di tutti, Presidi professori in primis, e di tutte le associazioni (slow food, coldiretti, ecc) che portano avanti le tematiche della gastronomia di qualità.
7 Commenti
I commenti sono chiusi.
Assolutamente si, sono necessari, anzi , maledettamente necessari. Poi poni una questione vera, e che andrebbe affrontata, sia in sede ministeriale, e quindi con la compilazione dei programmi che comprendano anche le cose importanti che tu sostieni, ed anche da tutte le associazioni, comunque collocate.Va segnalato pero’ che in alcuni Istituti la didattica, e i laboratori, hanno , già da un bel po, preso la piega che tu sostieni.Si tratta in definitiva di far incrociare due esigenze convergenti.
Gli alberghieri al Sud (al Nord ho visto belle realtà) sono diventati istituti rifugio, di intrattenimento. Sono superaffollati, incapaci di esprimere didattica e formazione. Vanno radicalmente riformati emancipandoli dalla loro inattualità, basti pensare alle loro dotazioni tecnologiche e alle mise en place possedute. come bicchieri, posate e piatti d’antan.
concordo in toto con tutti, solo una cosa i bravi cuochi preferiscono lavorare nei ristoranti, si lavorano dii più ma guadagnano un reddito degno non come quello che oggi tutti i docenti della scuola pubblica italiana percepiscono lavorando in condizioni indecenti. dovrebbero crescere le ore di stages esterni per venire a contatto con il mondo contemporaneo della cucina di oggi, un pò come gli universitari hanno l’opportunità di concorrere per l’Erasmus. inoltre si potrebbero ricercare accordi almeno per portare i ragazzi a conoscere i ristoranti di eccellenza da vicino e poi…..istituire il corso per maestro pizzaiuolo!
Condivido il tuo pensiero anche sul rispetto della stagionalità dei prodotti e la scarsa conoscenza dei prodotti del proprio territorio. Non capisco che senso abbia ostinarsi a consumare friarielli o melanzane tutto l’anno, quando possediamo una ricca varietà di ortaggi, legumi e frutta per ogni singola stagione.
Nella didattica dovrebbero essere inserite anche le visite nelle aziende agricole, caseifici, cantine o allevamenti non intensivi , non solo per far conoscere i loro prodotti. Ma anche per scoprire le tecniche di coltivazione, di allevamento o vinificazione.
E mai possibile che non si sappia se le fragole crescono a terra e non sugli alberi, e che le fave ed i piselli sono un tipico prodotto primaverile?
La scuola italiana è lo specchio del paese ossia fa acqua da tutte le parti,moltissimi istituti professionali non preparano i ragazzi al mondo del lavoro e diventano solo un parcheggio per 5 anni. Fondi sempre più scarsi e docenti demotivati completano una carenza che parte dai programmi di studio, vetusti e mai rivisti.
Dispiace constatare come un tema importante di confronto quale l’attualità e l utilità degli istituti alberghieri sia stato così poco interessante per i lettori.Che sarebbe stato utile aprire una discussione me l’hanno confermato due chef molto bravi che mi hanno chiamato addirittura dal fuori regione per dirmi di non abbandonare l attenzione su questo argomento poichè è alla base di tanti problemi del mondo della cucina odierna.Ma nè altri chef ( e questo lo capisco), nè professori o alunni o genitori di alunni hanno ritenuto giusto prendere parte alla discussione.Ma forse è colpa mia non avendo inserito neanche una volta la parola “PIZZA”, nel testo.Chiedo venia.
Marco, sante parole. Mia moglie insegna da anni in un istituto alberghiero. La Legge Gelmini ha purtroppo ridimensionato le ore di pratica poichè hanno un costo assai più elevato di quelle teoriche: il nodo è quello e si scioglie male.