Isola di Gozo (Malta) – Le vigne di Calipso entrano nelle Città del Vino
di Pasquale Carlo
Questo articolo è stato pubblicato sul n. 17 (luglio/agosto 2019) della rivista ‘Terre del Vino‘. Si tratta del racconto di un viaggio tra le vigne della piccola isola di Gozo, nel Mediterraneo, che sono entrate a far parte dell’Associazione ‘Città del Vino’. Un risultato che si concretizza grazie al gemellaggio tra Castelvenere (Sannio) e la cittadina gozitana di Xeuchia, siglato nel lontano 2002. L’idea dell’ingresso di Gozo nella rete delle ‘Città del Vino‘ nacque nell’ottobre dell’anno scorso, quando una delegazione maltese giunse a Castelvenere per partecipare ad un evento dedicato alla cultura del vino nell’area del Mediterraneo e ai cambiamenti climatici. In quella occasione ci fu una degustazione di vini sanniti e vini gozitani, raccontata a margine di questo articolo dal segretario dell’Ais sannita, Antonio Follo. Intorno a quei calici si iniziò a discutere di questa importante collaborazione.
Nell’Odissea si racconta di una vite attorcigliata attorno alle rocce dell’ingresso della grotta di Calipso, la ninfa che tenne Ulisse come “prigioniero d’amore” per sette anni nell’isola di Ogigia. Quella grotta domina dall’alto la spiaggia di Ramla Bay, tra le più belle dell’isola di Gozo, nell’arcipelago maltese, ritenuta l’omerica isola di Ogigia. Dalla grotta, il cui accesso oggi è vietato per motivi di sicurezza, la vista spazia sulla sabbia finissima il cui colore tende al rosso e all’oro, contornata dal verde dei canneti. Poco più in là ecco una macchia verde ancora più intensa, quella di un vigneto: circa ventimila ceppi, suddivisi tra pinot bianco e chardonnay, di proprietà della Marsovin, cantina maltese fondata nel lontano 1919.
Le vigne di questa piccola isola dell’arcipelago maltese (la superficie totale di Gozo è di 67 chilometri quadrati, l’equivalente dell’isola di Hong Kong) da questa estate sono patrimonio delle Città del Vino. A traghettare la terra gozitana nella rete dell’associazione è stato l’impegno dell’amministrazione del villaggio più antico dell’isola, Xeuchia (in maltese Ix-Xewkija), piccola cittadina gemellata dal lontano 2002 con Castelvenere, una delle cinque realtà di ‘Sannio Falanghina’, il territorio che quest’anno è stato incoronato ‘Città Europea del Vino’.
Gozo (in maltese Għawdex) deve il nome alla sua particolare forma, isola chiamata dai greci “gaulos” (una specie di naviglio rotondo) e dai romani “gaulum” (in latino “coppa”), nome poi trasformato dagli arabi in “ghaudex”. Parliamo di una piccolissima isola abitata fin dall’antichità, come mostrano i templi megalitici di Gigantia (in maltese Ġgantija), risalenti tra il 3600 e il 2800 a.C., le più antiche strutture del genere al mondo, costruiti da genti provenienti con molta probabilità dalla Sicilia sud-orientale. Questi templi, antecedenti anche al megalito più noto, quello di Stonehenge in Inghilterra, è Patrimonio mondiale dell’Umanità dal lontano 1980, vale a dire dallo stesso anno in cui l’Unesco insignì di tale fregio la chiesa e il convento di Santa Maria delle Grazie a Milano, lo scrigno che custodisce ‘L’ultima cena’ di Leonardo da Vinci.
Terra da sempre legata alla cultura del vino. Non a caso, proprio lungo le coste di Gozo nel 2015 un’équipe di archeologi subacquei, diretta da Timmy Gambin dell’Università di Malta, individuò dei reperti riportanti al tempo delle navigazioni fenicie. I più preziosi di questi reperti, una cinquantina di anfore di almeno sette differenti tipologie, attestano che si trattasse di un relitto di un’imbarcazione commerciale tra le più antiche mai ritrovate nel Mediterraneo, la culla di una civiltà segnata dal consumo di quel prodotto miracoloso chiamato vino. Una cultura che qui ha saputo resistere anche ad oltre due secoli di dominio arabo (dall’anno 870 all’anno 1091), durante i quali vennero eliminati tutti gli abitanti originari, insieme alla “infedele” vite, che lasciò il posto a cedro, cotone e altre coltivazioni. Le vigne ritornarono grazie al successivo dominio normanno e soprattutto grazie ai Cavalieri Ospitalieri, che nel 1530 ottennero, per concessione del Regno di Sicilia, in affitto perenne l’arcipelago. Nati come Cavalieri dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, quindi conosciuti come Cavalieri di Cipro e poi di Rodi, divennero infine Cavalieri di Malta.
Il suolo particolarmente roccioso di Gozo fa degli attuali cinquanta ettari coltivati a vigne (parliamo di quelle a denominazione, che costituiscono circa il 70% del totale) un vero e proprio museo a cielo aperto. Ci scorrono davanti agli occhi tanti piccoli tasselli di una viticoltura eroica. Vigneti di ridotte dimensioni, ricavati grazie ad uno spettacolare sistema di terrazzamenti con muretti a secco, che lottano ostinatamente contro circa 3.000 ore di sole all’anno, una perenne scarsità di acqua e una invadente abbondanza di sale. All’opera si contano pochi appassionati viticoltori, caparbi nell’affrontare condizioni che sono ben più ostili anche della vicina Malta, l’isola che domina l’arcipelago e da cui Gozo è separata da un braccio di mare di circa quattro chilometri.
A Malta, dove le vigne certificate sfiorano i quattrocento ettari, troviamo realtà di dimensioni rilevanti. Marsovin gareggia con Emmanuel Delicata per il primato commerciale sull’intero arcipelago. Tra di loro ecco spuntare Meridiana Wine Estate, progetto più recente che oggi è nelle mani dei Marchesi Antinori. All’ombra di questi “colossi” alcuni progetti importanti, tra cui i vini naturali prodotti da Mar Casar e l’interessante progetto di Maria Rosa Wine Estate, le cui vigne crescono all’ombra dell’affascinante profilo di Mdina, l’antica capitale dell’arcipelago. Proprio dalle mura fortificate della “città del silenzio” si può ammirare la campagna che scorre tra il piccolo centro di Mġarr (forma estesa in maltese L-Imġarr) e la cittadina di Mosta (forma estesa in maltese Il-Mosta), lo spicchio di terra maltese dove la vite trova un habitat più favorevole.
Si tratta di uno scenario ben differente da quello che si riscontra in terra gozitana, dove incontriamo le cantine Ta’ Mena Estate, attiva in quel di Xagħra (forma estesa in maltese Ix-Xagħra), Tal-Massar Winery a Għarb (in forma estesa maltese L-Għarb) e Bacchus Winery a Fontana (in maltese Il-Fontana). Da queste parti il verde diventa meno presente, con lo scenario dominato dalla globigerina, una particolare roccia che costituisce uno degli elementi identitari dell’isola. Diversa al colore da quella che si trova a Malta, con belle tonalità di miele, questa pietra è formata dai resti microscopici degli organismi del mare profondo. Con questa pietra morbida, facile da estrarre e lavorare, sono realizzate interamente tutte le abitazioni gozitane, compresi gli elementi decorativi come le balaustre, le colonne, le arcate. Così come trova impiego anche per i grandi progetti come chiese e cupole, compresi i piccoli accenti decorativi e figurine per l’arredamento delle stesse.
Si resta affascinati davanti alla bellezza di queste chiese: su tutte prevalgono la Rotonda di Xeuchia e il santuario mariano di Ta ‘Pinu a Għarb, tra i luoghi di culto più importanti dell’intero arcipelago. Imponenti rispetto alla popolazione che devono servire, le chiese di Gozo sono simbolo di orgoglio per i diversi villaggi. Con l’imponenza dei loro profili dominano il panorama dell’isola, sovrastate solo dalla Cittadella, la storica fortificazione a difesa della cittadina-capoluogo di Victoria o Rabat (in maltese Ir-Rabat Għawdex o Il-Belt Victoria).
Le vigne maltesi sono dominate da vitigni internazionali, che hanno invaso l’arcipelago negli anni Novanta: tra i bianchi primeggiano chardonnay e sauvignon; tra i rossi spiccano cabernet, merlot e syrah. Seguono gli influssi italiani, più forti forse proprio a Gozo, dove possiamo godere di interessanti interpretazioni di vermentino e delle potenzialità del nero d’Avola, da queste parti chiamato serkuzian, in memoria della terra siracusana da cui è giunta la varietà. Infine, una piccola pattuglia di vitigni storici locali il cui fascino va aumentando in questi ultimi anni, in primis il bianco girgentina (il nome si deve all’omonima cittadina situata nel sud-ovest dell’isola di Malta) e il rosso gelleweza (nome che deriva dall’arabo e significa “nocciola” in maltese).
La rivoluzione nello scenario enologico maltese arriva nel 2007, quando prende vita il sistema di certificazione secondo il modello europeo. Nascono così le Dok (Denominazzjoni ta’ Oriġini Kontrollata) ‘Malta’ e ‘Gozo’, insieme alla Iġt (Indikazzjoni Ġeografica Tipika) ‘Maltese Islands’. I vini Dok e Iġt sono contrassegnati da una fascetta posizionata sul collo delle bottiglie, recante il simbolo del Ministero per l’Agricoltura e un numero seriale unico. Nonostante siano trascorsi oltre dieci anni dall’introduzione, non viene ancora del tutto percepita l’importanza delle stesse, con il Ministero particolarmente impegnato a far comprendere alla popolazione locale quanto valore aggiunto queste potrebbero apportare ad un settore produttivo che vanta una ricca storia e una secolare tradizione. Nei processi di vinificazione si guarda molto alla Francia e all’Italia. I prodotti più interessanti si degustano forse proprio a Gozo, dove il lavoro di Ta’ Mena e Tal-Massar Winery non nascondono, anzi esaltano, le influenze e gli scambi che hanno con il Bel Paese.
La grande rivalità commerciale tra Malta e Gozo rende difficile la penetrazione dei piccoli produttori gozitani nella rete commerciale dell’isola più grande. Le loro bottiglie faticano a raggiungere le tavole dei ristoranti che crescono a ritmo vertiginoso grazie al forte boom turistico che si registra in questi ultimi anni. Queste bottiglie rappresentano, invece, una delle punte di diamante di un’offerta turistica che si distacca notevolmente da quella maltese. Quest’ultima punta molto sui Millennials, la generazione dei nati negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, quella che va soprattutto alla ricerca di musica e divertimento. A Gozo, invece, tutto ruota intorno a spiagge ancora incontaminate, alla cultura e alle tradizioni. Nell’isola il vino va conquistando il suo giusto posto, ideale compagno di una tavola che si fa facendo anche più gustosa.
Si tratta di un processo lento, favorito anche dall’attività di lungimiranti iniziative imprenditoriali come ‘Vini e capricci – Abraham’s’, struttura che sorge proprio a Xeuchia e che in un sofisticato ambiente propone ghiottonerie italiane e maltesi, accompagnate da una lunga lista dei vini che sprizza molto l’occhio su alcune storiche produzioni italiane e francesi. Ed è così che proprio da Gozo sta partendo una rivoluzione culturale sul tema del vino. Ed è curioso che parta da un territorio fortemente legato alle proprie tradizioni, dove è possibile osservare come quasi ogni casa faccia sventolare una bandiera della propria nazione o del proprio comune. Ma è proprio qui che questo processo offrirà tante opportunità, anche tramite il vessillo delle Città del Vino, che da questa estate fa bella mostra di sé tra le tante bandiere che sventolano nel cielo terso di questa piccola isola che sorge nel “cuore del Mediterraneo”.
UNA CUCINA DI SAPORE CHE PROPONE ORTO, FORMAGGI E IL TRADIZIONALE CONIGLIO
Il piatto che maggiormente caratterizza l’offerta gastronomica gozitana è il coniglio. Cucinato in modo ricco e saporito, utilizzando varie spezie, il pomodoro e il vino, con l’immancabile presenza dei piselli. Nelle case gozitane il sugo di cottura viene generalmente utilizzato per condire la pasta, quasi sempre spaghetti.
Ad aprire le danze a tavola è sempre il tradizionale antipasto, un misto di salumi (sempre presente è una particolare salsiccia aromatizzata con coriandolo), formaggi, olive, capperi e pomodori secchi, da accompagnare con i galletti, crackers a base di acqua e farina, e con l’hobs biz-zej, specie di bruschetta preparata spalmando salsa di pomodoro sul pane e aggiungendo olio o anche formaggio.
Immancabile è la ġbejna, formaggio di capra dalla consistenza a metà tra la ricotta e il formaggio spalmabile, servita tra gli antipasti ma utilizzata anche per farcire i tradizionali ravjul, preparati solo con acqua e farina e conditi con una salsa densa di pomodoro insaporita da molto aglio.
Da non perdere la ftira, ottenuta con un impasto che è a metà strada tra la tradizionale pizza e la sfoglia. Questo disco di pasta viene ripiegato per formare pronunciati bordi croccanti e farcito in tanti modi, fermo restando la presenza di patate e di cipolle che servono soprattutto a mantenere morbida la base. Quella che abbiamo avuto la fortuna di degustare, sapientemente preparata dalla signora Maria Camilleri, si caratterizzava per una abbondante presenza di peperoni.
Accanto a tutte queste specialità i ristoranti offrono una variegata proposta di pesce. Calamari, tonno, ricci di mare… Ma il pesce locale è il lampuki, che viene cucinato in modi diversi, anche se la versione più tradizionale vuole che venga dorato in poco olio dopo esser stato infarinato, accompagnato con una salsa a base di pomodoro, capperi e cipolle.
Immancabile una sosta con i pastizzi, cibo da strada per eccellenza: una sorta di calzone a pasta friabile e croccante farcito con ricotta o crema di piselli. Vengono venduti in pastizzerija e presso tutti i chioschi che si incontrano per strada, come pure nella maggior parte dei bar, pizzerie e panetterie. Essendo una pietanza a buon mercato si consumano in qualunque momento della giornata e per ogni occasione.
Il Kinnie è la bevanda nazionale, molto simile al nostro chinotto, preparata con erbe e arance. Altro simbolo del bere maltese e gozitano è la Cisk, la birra che da un secolo si produce nell’arcipelago, leggermente meno alcolica e più dolce delle nostre birre industriali.
GLI APPUNTI DI DEGUSTAZIONE DI ANTONIO FOLLO
Un famoso viaggiatore dell’Ottocento definì il bacino del Mar Mediterraneo una «porzione aurea della volta celeste caduta in terra con i suoi diamanti più luminosi», con criptica allusione alla miriade di isole di cui è disseminato il Mare Nostrum. Malta e Gozo non sappiamo se definirle minori; né se una tale classificazione, oltre il mero dato estensivo, abbia alcun senso.
Di certo questa presunta, improbabile “minorità” nulla potrà influire nel ricordo di chi ha assaggiato i suoi vini a Castelvenere durante il recente gemellaggio vitivinicolo tra il Comune sannita della estrema Valle Telesina ed i produttori dell’ex colonia britannica. Il confronto con l’esperienza vinicola “vennerese” è stato inevitabile laddove si sono cimentati nella proposta di assaggio quattro vini tipici dei territori a confronto. Vermentino e Sirkusian hanno incontrato Falanghina del Sannio e Camaiola (è la incipiente nuova denominazione che dovrebbe soppiantare l’inadeguata ed ambigua “Barbera del Sannio”). Avvincente ma senza vinti né vincitori, l’esperienza sensoriale che ne è derivata. Solo la consapevolezza di un notevole, reciproco livello qualitativo dei prodotti in degustazione.
Il ghiaccio è stato rotto proprio dal bianco isolano Tanit 2017 di Tal-Massar Winery prodotto da uve Vermentino in purezza di cui si apprezza al naso il poliedrico corredo olfattivo di tanti fiori (ginestra su tutti) e frutta a polpa gialla. Ma è in bocca che il Vermentino di Gozo evoca nettamente il tratto geomorfologico isolano. Mineralità e sapidità su tutto; mitigate da una spalla acida notevole e, a dispetto del microclima torrido, da un contenuto tasso alcolometrico che restituisce moderate sensazioni pseudo-caloriche. L’ideale per “implementare” piatti e preparazioni a basso condimento salino. A ruota è venuta la Falanghina del Sannio DOC 2017 di Scompiglio, bianco di annata assai fresco, moderatamente sapido al gusto ma esplosivo nella sua gamma olfattiva di frutta gialla tropicale, miele d’acacia ed erbe aromatiche. Entrambi brillanti di luce diamantina a tonalità paglierino con lievi riflessi dorati.
Turno finale ai due rossi in rassegna; ma chi era in attesa di valutarne similitudini ed analogie si è dovuto limitare alla uguaglianza pigmentale dell’impenetrabile tono purpureo ed alle evidenti proprietà “tingenti” dei due vitigni di pari carica tannica al gusto. Dapprima il Camaiola (cominiciamo ad abituarci a chiamarlo così)/Barbera del Sannio Radis 2017 di Cantina Di Santo, secco, caldo al punto giusto ed equilibratamente morbido dalla cifra olfattiva paradigmatica del vitigno e del suo territorio elettivo: ovvero frutta, frutta e ancora frutta! Ideale per accompagnare la straordinaria “Scarpella” di Castelvenere: un timballo di pasta infornata la cui fama va rapidamente diffondendosi. Infine, dulcis in fundo (tutt’altro che per modo di dire), Garb 2014, il Sirkusian di Tal-Massar Winery, un rosso da vendemmia tardiva che prorompe nella scena col suo portato olfattivo di sentori secondari e terziari di spezie viranti fino al tabacco e cacao. Ampiamente amabile con la grassezza di bocca che amplifica la gradevole percezione delle dolcezze deviranti dal notevole residuo zuccherino. Risultato di un progetto enologico della “Maison” di Gozo in cui nulla è lasciato al caso. Un classico calice da fine pasto da accompagnare – perché no in riva al mare durante una visita all’Arcipelago maltese – ad una ottima tavoletta di cioccolato amaro ed … un buon libro.
Un commento
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Grazie PC(ormai,a cominciare dal Gran Capo LP,siamo tutti “siglati”) per questo mondo di cui non sapevo assolutamente niente e che promette sviluppi molto interessanti.Noto inoltre con piacere che nel beneventano e nel Sannio in particolare c’è un gran fermento di novità da quando hanno smesso di fare solo quantità per puntare quasi tutto sulla qualità.Ad maiora da F M.