InVINOveritARS: il rinascimento culturale del Castello di Ama a Gaiole in Chianti
di Ilaria Oliva
Era il 1773 quando il Granduca Leopoldo di Toscana scriveva: “intorno al castello d’Amma vi sono le colline e valli più belle di tutto il Chianti, coltivate a meraviglia con terreni fertili a grani, ulivi e vigne bellissime, ben esposte, assolative, tutte tenute ottimamente come giardini, con molta popolazione e case sparse per la campagna…”.
Ai giorni nostri, in questo suggestivo borgo medievale fortificato si innesta il lungimirante progetto artistico di Castello di Ama, proprietà rilevata nel 1976 dalle famiglie Sebasti, Tradico, Carini e Cavanna al fine di riportare la tenuta vinicola ai fasti del passato. Il lavoro di recupero vide importanti investimenti in vigna, la costruzione di una nuova cantina, e, nel 1982, l’arrivo di Marco Pallanti, all’epoca giovane agronomo, che diede all’azienda lo slancio decisivo per la ricerca della qualità, producendo le selezioni di Chianti Classico secondo il concetto di CRU.
I primi anni di sperimentazione portarono poi alla ricerca di varietà non-tradizionali che potessero esaltare le caratteristiche del Sangiovese: il Merlot diede risultati qualitativi così sorprendenti da meritare un’etichetta a sé stante, quella che sarebbe diventata “L’Apparita”, uno dei gioielli dell’enologia mondiale, il primo vino prodotto con Merlot in purezza in Toscana. Su tutte le etichette dei vini campeggia, stilizzato e graficizzato dal pittore Gian Carozzi, il cavaliere Guidoriccio da Fogliano come dipinto da Simone Martini nel Palazzo Pubblico di Siena. Ad oggi, Castello di Ama possiede e gestisce circa 75 ettari di vigne e 40 ettari di oliveti, avvalendosi del lavoro di più di 60 persone. Il ruolo di direttore generale ed enologo è rivestito continuativamente da Marco Pallanti, che ha ricoperto, tra il 2006 e il 2012, anche la carica di Presidente del Consorzio del Chianti Classico. Le vigne di proprietà sono tutte afferenti alle quattro vallate che si trovano nel raggio di 1,5 km dalla cantina, e sono denominate Vigneto San Lorenzo, Bellavista, L’Apparita, La Casuccia, e Montebuoni.
In questo contesto, nel 2000, Lorenza Sebasti (CEO) e lo stesso Pallanti hanno deciso di dar vita ad una collaborazione con la Galleria Continua di San Gimignano per la realizzazione di un progetto che intende da subito relazionarsi intimamente con il genius loci del borgo, portando così alla realizzazione di opere “site specific” che interpretino il senso del luogo, disvelandolo attraverso i vari medium artistici. Troviamo quindi chi lavora con l’utilizzo dello specchio, come il decano dell’arte contemporanea italiana, Michelangelo Pistoletto, che lo inserisce all’interno di un tronco d’albero gigantesco; o Daniel Buren che, con un muro specchiato lungo 25 metri e alto due, riflette il paesaggio incorniciandone alcuni spezzoni con delle finestre quadrate.
C’è chi preferisce comunicare con i colori, come Kendell Geers che installa nella cantina un neon luminoso di un profondo rosso di Borgogna con la scritta “Revolution”, contenente al suo interno la parola LOVE, o Anish Kapoor che nel 2004 con “αἷμα” apre un cerchio rosso luminoso sul pavimento della cappella del borgo; e ancora Mirosław Bałka che detta una sottile linea rossa nel mezzo dei silos d’acciaio, “Red Nerve”, passando per Pascale Marthine Tayou che traccia un passaggio caleidoscopico nelle strade del borgo con “Le chemin du bonheur”, per chiudere con Lee Ufan che inserisce la sua “macchia di colore” “Topos (Excavated)” all’interno della cantina sotterranea.
Altri, come Chen Zhen e Roni Horn, lavorano sul concetto di luce, il primo con una grande installazione di cristallo nella barricaia, l’altro posizionando una scultura in vetro a base circolare riflettente la luce esterna in una delle stanze più remote di Villa Ricucci.
Ma troviamo anche i lavori sul paesaggio, come quello realizzato da Carlos Garaicoa, dal titolo “Yo no quiero ver mas a mis vecinos”, che introduce una variante del concetto di Land Art, realizzando una riproduzione in formato ridotto dei muri più famosi del mondo (tra cui la Muraglia cinese, il vallo di Adriano, etc.) come un invito a scavalcarli, a superare le distanze. O il delicato intervento ambientale di Jenny Holzer che ha realizzato il suo giardino di elicriso “Per Ama” nei pressi delle vigne e Cristina Iglesias con l’inserzione pavimentale “Towards the ground”.
Il tutto in uno spirito di continuità, pur nella diversità degli interventi, che non muta con l’avvicendarsi dei curatori, quando nel 2014 si interrompe la collaborazione con la Galleria Continua e arriva Philip Larratt-Smith a seguire il progetto. Non mancano lavori decisamente più concettuali, come Paradigma” di Giulio Paolini realizzata nel 2002, un parallelepipedo di lastre di pietra in un’armatura di metallo, in cui si distinguono due parti equivalenti sovrapposte, quella in basso chiusa e impenetrabile alla vista, quella in alto come esplosa; o gli “scarabocchi artistici” “Amadoodles” di Nedko Solakov; il voyerismo “post-raffaellita” in “The Observer” di Ilya & Emilia Kabakov; la ricerca buddista dell’origine del tutto nell’installazione “Confession of Zero” di Hiroshi Sugimoto.
Uno spazio affettivo consistente è stato riservato alla grandissima Louise Bourgeois, che, dopo un lungo lavoro di scambio intellettuale reciproco, ha proposto la sua visione di intersessualità in “Topiary”. L’ultimo lavoro in ordine di tempo è stato quello realizzato nel 2023 da Giorgio Andreotta Calò: la sua “Tana” è un lavoro di scultura per sottrazione.
Un progetto enorme, ambizioso e di gran rilievo, questo di Ama, che punta a coinvolgere il visitatore in una serie di esperienze interconnesse che vanno, appunto, dalla parte storica a quella produttiva, passando attraverso il mondo dell’arte contemporanea, chiudendosi con la degustazione, declinate in varie proposte ideate per sottolineare i due temi fondamentali, territorio e continuità. E quindi un Ristoro, dove abbinare anche la proposta gastronomica territoriale ai grandi vini prodotti, e le Suites ricavate nella storica Villa Ricucci, per un’immersione nel tempo e nello spazio del Borgo.
Ho chiesto ai referenti aziendali se si può quantizzare la ricaduta dell’investimento artistico sul pubblico che arriva in visita e sugli acquisti di vino. La risposta arriva da Arturo Pallanti, figlio di Lorenza e Marco: “Non sappiamo bene se esista e sia quantificabile una ricaduta data dalle installazioni d’Arte Contemporanea che abbiamo realizzato, ma sicuramente siamo consci di non essere mai stati orientati verso questo obiettivo. A Castello di Ama, l’arte è nata e si è sviluppata come un elemento connaturato e intrinseco al borgo, alle mura, ai filari… Nel 1999, per la pura passione di Lorenza Sebasti e Marco Pallanti e grazie all’incontro con Galleria Continua, siamo venuti in contatto con Michelangelo Pistoletto, ed egli stesso è venuto in contatto con il borgo di Castello di Ama, venendone inspirato fino alla realizzazione del suo “L’albero di Ama: divisione e moltiplicazione dello specchio”. Da lì, pur assistendo all’ampliamento della collezione e della sua nomea, le premesse sono rimaste immutate. Siamo e restiamo produttori di vino: l’arte, insieme alla produzione di vini aderenti il più possibile alle caratteristiche del nostro luogo, è l’espressione con cui esaltiamo il nostro indissolubile legame col territorio.” Che era poi quello che volevo sentirmi dire.