Inside Krug’s Kitchen: dieci anni di “Krug X” a Parigi. Noi ci siamo stati
di Giulia Gavagnin
Attenzione! Questo è un resoconto obiettivamente filo-francese.
So benissimo che la qual cosa non è gradita ai più, che continuano a trastullarsi nella convinzione che i cugini d’Oltralpe siano obiettivamente antipatici mentre noi sì che siamo simpaticissimi. Come se per confezionare un prodotto immenso come lo champagne Krug fosse necessario far sbellicare tutti dalle risate.
E se al Krug abbinassimo i piatti di soli chef tristellati che effetto ne uscirebbe? Triplicato, probabilmente.
Ma procediamo con ordine.
Accade che da una diecina d’anni a questa parte, la più importante maison du champagne –Krug ca va sans dire- a celebrazione della propria indiscutibile e straripante eccellenza convochi dei super-chef che costituiscono la falange armata delle sue ambassade al fine di predisporre una serie di ricette dedicate a un mono-ingrediente, idoneo a esaltare la Grande Cuvée dell’anno corrente.
Quest’anno è toccato all’elemento floreale, attraverso un volume dall’edificante veste grafica intitolato “All for one and one Flor-all” per celebrare la connessione della maison con l’elemento floreale, che contraddistingue anche il bouquet della Grande Cuvée 172 e del Krug Rosé 28^ ed.
Questa pubblicazione esiste, appunto, da una decina d’anni, in cui si sono susseguiti diversi ingredienti caratterizzanti: il primo è stato il pomodoro, poi sono seguiti la patata, il fungo, il pesce, il peperone, la cipolla, il riso e il limone.
Tutti ingredienti di base, in qualche modo “primordiali” che costituiscono o possono costituire il bouquet aromatico di uno champagne o, meglio, di un grandissimo champagne qual è Krug.
Il quale, negli intenti del suo fondatore Joseph Krug fin dal 1843, sarebbe dovuto essere il più grande champagne di tutti.
La Grande Cuvèe, vuole ancora oggi essere la selezione più rappresentativa dell’azienda, quella che meglio la identifica.
Infatti, è costituita dall’assemblage di un numero variabile di vini di riserva che l’attuale Chef de Cave Julie Cavil compila dalla “biblioteca” della Maison, che consta di “basi” vecchie anche di decenni.
Un vero e proprio percorso alchemico, che dimostra la grandezza dell’azienda e la coerenza del sodalizio con i grandi chef del mondo, anch’essi alchimisti dei loro piatti.
Alcuni fanno ormai parte della storia recente della Maison. Come Arnaud Lallement, chef e patron del tristellato Assiette Champenoise di Reims e “masterchef” (non nel senso deteriore della nota trasmissione tv) della famiglia Krug, autore dell’iconico “Limone” che non manca mai ad alcuno degli eventi della Maison.
Altri, come il nostro Enrico Bartolini fanno parte di acquisizioni più recenti ma ormai solide.
A Parigi, per una settimana chiunque ne abbia fatta richiesta, nei pressi di Les Invalides ha potuto testare alcuni dei piatti che hanno aderito al progetto, all’interno di una struttura allestita appositamente per il decennale dell’iniziativa.
Un ristretto gruppo di giornalisti ha potuto anche incontrare Olivier Krug e alcuni degli chef che hanno partecipato alla pubblicazione.
C’erano nientepopodimeno che Helene Darroze, Guillaume Galliot, Anne Sophie Pic, William Bradley, Jan Hartwig, Hiroyuki Kanda, il nostro Bartolini. Tutti tristellati.
Se con Helene Darroze e M.me Pic abbiamo discusso dei notevoli cambiamenti intervenuti nell’approccio degli chef francesi alla cucina, ormai sempre più entusiasti di contaminazioni (nel loro caso, dal Giappone e dalle ex colonie francesi ne segno della cucina creola), con Jan Hartwig, tristellato a Monaco di Baviera (nota bene: tre stelle subito, all’atto dell’apertura, come il nostro Norbert: con la differenza che Hartwig supera di poco i quaranta) s’è discusso della crisi del fine dining a Berlino, dove è stata data la notizia della chiusura di svariate insegne.
Ci ha detto che, per carità, Berlino è una città particolare, Monaco è più ricca e lui non corre pericoli, ma che siccome i tedeschi amano andare allo stadio e ormai una partita del Bayern costa come una cena stellata, allora tutti –anche i benestanti- devono fare una scelta- e spesso è proprio sul luxury food che questa cade. E poi, la chiusura degli stabilimenti Volkswagen non aiuta.
Lasciate alle spalle considerazioni di geo-gastro-politica, torniamo alla magnificenza della Maison Krug e alle Grande Cuvèe presentate, oltre alla 172. Con variazioni di croccantezza e mineralità, sentori fiori gialli e zest di pompelmo in primo piano e la caratteristica nocciola che è il trade-mark della Maison in bella evidenza, hanno sfilato la 171 e la 169. Oltre al rosè 28^ ed., e un’esclusiva Magnum dell’edizione n. 21.
I piatti che li hanno accompagnati sono stati un bell’esempio di cosa significa essere grandi in cucina, della serie: se questi signori hanno tre stelle, c’è davvero un motivo, al di là di ogni recriminazione contro la Rossa da parte degli outsider.
Così, lo champignon “alla californiana” di William Bradley, la grancevola al pompelmo rosa e pepe lungo di Hélène Darroze; la cipolla con uovo di quaglia, mandorla e pelle croccante del pollo di Jan Hartwig; il limone di Lallement hanno chiarito il senso dell’”alta cucina”. Ha fatto capolino anche Enrico Bartolini, che ha cucinato per noi il suo famoso risotto con barbabietola e gorgonzola con una piccola variante: la crema di mandorla.
Un’organizzazione e un evento perfetti. Scusate il filofrancesismo, ma siamo su un altro pianeta.
Noi comuni mortali ci accontentiamo del vecchio ed anche un po’ usurato pianeta terra! FRANCESCO