Il vino in Campania, facciamo il punto. Intervista al quotidiano Il Denaro
Ieri il quotidiano economico napoletano Il Denaro diretto da Alfonso Ruffo ha pubblicato un supplemento interamente dedicato al vino campano. Gli amici mi hanno chiesto, come di consueto, una intervista per fare il punto in apertura. Eccola
“Fare la Campania. Prodotti buoni, a buon prezzo”. Sembra uno slogan ma non lo è. E’ semplicemente il consiglio di Luciano Pignataro, grande conoscitore dei vini campani, sostenitore della ristorazione di qualità, della difesa dei prodotti tipici e dell’agricoltura ecocompatibile. Con il suo wineblog (www.lucianopignataro.it), da anni segue la viticoltura campana e meridionale.
Quale, secondo Luciano Pignataro, la via da seguire, in Campania?
Molto semplice: fare la Campania. Ossia prodotti buoni, a buon prezzo. Il costo alto possono permetterselo solo coloro che lavorano sulle annate, ossia sulle riserve, oppure sui cru. Ma questo discorso, che segna il passaggio ad un territorio vitivinicolo maturo, è ancora molto ristretto a pochi soggetti. Tutti tendono a vendere tutto il vino in cantina senza conservarlo e abbiamo così il paradosso di aziende conosciute che non sono in grado neanche di creare una verticale.
Luciano Pignataro, in un contesto economico difficile come quello attuale, come si pone il mercato vitivinicolo campano? Dà segnali di crescita o risulta colpito dalla crisi come altri comparti?
Il comparto vitivinicolo regionale è contrassegnato da una sostanziale immaturità commerciale: su oltre 400 aziende che imbottigliano, appena un terzo è costituito da imprenditori che vivono unicamente di reddito agricolo, spesso si tratta di una seconda attività integrativa e questo pone dunque problemi seri di affidabilità nelle consegne, dilettantismo nella promozione. Appare francamente ridicola la posizione di coloro i quali con quattro o cinque ettari escono con dieci etichette diverse. Così non c’è credibilità. Detto questo il bianco, ossia Greco di Tufo, Fiano, Falanghina, Biancolella e altri vitigni, tirano bene la volata al comparto mentre il mercato dei rossi, soprattutto quelli strutturati, è in chiara difficoltà. Ormai il Taurasi è sceso sotto i dieci euro ai grossisti.
Quali sono, secondo lei, i punti di forza e i punti debolezza del mercato vitivinicolo campano, anche in considerazione della vastità e delle diverse peculiarità del territorio?
Il punto di forza è costituito dal terroir, ossia dal mix di tradizione, terreno vulcanico, poliedricità varietale, aderenza alle uve autoctone. Per fortuna, tranne in alcuni casi molto marginali, le uve nazionali e internazionali non sono riuscite a fare breccia e la Campania è l’unica igt a non prevedere Cabernet sauvignon o chardonnay, tanto per fare un esempio. La debolezza è nella immaturità commerciale e nell’analfabetismo comunicazionale: come sempre accade ne approfittano i venditori di fumo che promettono mari e monti, ma i furbi da sempre esistono perché ci sono i gonzi.
Secondo una recente indagine di Fedagri, le regioni del Sud Italia hanno fatto registrare il maggiore incremento della quota export di vino. E’ questa seconda lei – quindi quella dei mercati esteri – la strada da seguire per rilanciare e rafforzare il comparto?
L’export è importante soprattutto per regioni importanti come la Sicilia e la Puglia: se quei territori vogliono mantenere i loro numeri non hanno altra strada che l’export. Il caso della Campania e della Basilicata è diverso: c’è ancora un problema di copertura del mercato locale, intendo anche Roma, e nazionale. La Campania ha dunque la fortuna di poter costruire il suo export senza affanno, cercando non tanto di fare colpi a destra e a manca, quanto costruire un rapporto fiduciario costruito sull’affidabilità delle consegne e la serietà commerciale.
In più di una occasione Lei è stato critico con le denominazioni, considerate spesso inutili o frutto di sole scelte politiche. Il discorso vale anche per la Campania?
La normativa della Campania è sostanzialmente ben costruita. Di questo si deve dare atto alla Regione che ha lavorato bene negli anni ’90. Urge completare il percorso del Sannio, che diventerà una sola doc assieme alla Falanghina del Sannio doc, unico modo per difendere questo vitigno già molto piantato in Molise e Puglia e creare la docg Aglianico del Taburno. Io abolirei solo la doc Castel San Lorenzo integrandola nella Cilento.
L’economia italiana si regge sulle piccole e medie imprese e anche il mondo del vino rispecchia questa peculiarità. La frammentazione italiana – e campana in particolare – paga o è necessario pensare ad altro?
Il gigantismo non funziona nel mondo del vino, almeno in Italia. Da noi le aziende più grandi, Mastroberardino, Feudi, Terredora, Vinicola del Sannio, Montesole, sono tutte a conduzione familiare, per fortuna. In un mondo omologato dove i californiani e gli australiani piombano con bottiglie da due euro non c’è altro modo di difendersi se non la conduzione familiare dove molti costi non sono contabilizzati e si è sicuramente più flessibili.
Un’ultima domanda. Quale vitigno può, secondo lei, meglio può raccontare gli ultimi venti anni di vino in Campania?
Il Fiano di Avellino.
16 Commenti
I commenti sono chiusi.
[…] Continua la lettura con la fonte di questo articolo: : Il vino in Campania, facciamo il punto. Intervista al quotidiano Il Denaro […]
Non è sempre un male che ” appena un terzo è costituito da imprenditori che vivono unicamente di reddito agricolo”. Nel voler considerare, è il caso di dirlo, il bicchiere mezzo pieno, tale condizione crea meno affanni nella politica produttiva e commerciale delle aziende e perciò le “ansie da prestazioni ” commerciali, espresse in numeri di bottiglie vendute, lasciano il posto a serie politiche qualitative. Non a caso le migliori performances, specialmente in Irpinia,vengono proprio da piccole aziende i cui imprenditori traggono i loro redditi anche da altri settori…
complimenti sig. Tornatore !
non mangiavo così da parecchio !
ps consiglio a tutti di andarci e di mangiare i fantastici Zuzzeri e la pasta con i chiodini ( DIVINI !!!! )
un salutone antonio
Grazie Antonio, e chiedo scusa a Luciano ed ai lettori per la errata collocazione del commento… ;-))
Mi ritrovo in molti dei concetti espressi nell’intervista. Vorrei però approfondire l’aspetto della comunicazione.
L’analfabetismo comunicazionale dei singoli sicuramente esiste, ma è veramente questo il motivo principale per cui, per esempio, quando si parla di aglianico in Italia i più pensano ad “aglianico del vulture”? Mi pare piuttosto che fatti come questo siano da ascriversi ad una promozione collettiva (consorzi o Regione) della produzione campana che non è sufficiente, e che nessuno dei singoli produttori grandi o piccoli che siano può assicurare da solo.
Hai individuato il “tallone di Achille”… ;-))
Gli amici de Il Denaro, hanno fatto davvero un bel supplemento. Complimenti. m.
Sono di Castel San Lorenzo, per quanto riguarda la DOC di Castel San Lorenzo, che lei vuole abolire. NESSUN COMMENTO
Sembra in quanto esperto di vini il nuovo messia.
UMILTA’= 0
Caro Pietrantonio
intanto in Italia c’è ancora libertà di opinione.
La mia è maturata dalla constatazione che si tratta di una doc priva completamente di peso specifico da ormai molti anni, per molti motivi. Tra cui la scelta della Barbera e del Trebbiano come assi portanti, uve non campane.
La crisi della cantina non è una mia invezione e i prezzi bassi con cui si spuntano le bottiglie nemmeno.
Se doc importanti come la Solopaca, la Guardiense e la Sant’Agata dei Goti accettano di diventare sottozone della doc Sannio perché non si potrebbe pensare la stessa cosa con la Doc Cilento il cui nome è ben più comunicativo?
Il Messia rimase inascoltato, spero che almeno gli interessi economici servano a far capire le cose
Io scrivo per Unico e sono molto ma molto dispiaciuto della sua presa di posizione. Ricordo con grande lucidità quando lei ( più volte veniva a Castello …) con i suoi amici di un tempo….alla Cantina… ( ormai caduti in disgrazia). Intanto le vorrei fare notare che a Castel San Lorenzo non esiste solo la Cantina ma ben 7 ( NUOVE) case vitivinicole che producono, aglianicone, cabernet, barbera, ecc.. So di sicuro che lei in questo numero di Unico sarà protagonista di un articolo ( scusi editoriale). Ahimè vista la firma più importante (sono promotore Finanziario e non giornalista professionista) il mio articolo inerente a tale diatriba è stato accantonato..
Porca miseria mi rifarò!
Anzi perchè non viene per un confronto diretto ( si può organizzare) del resto fare il moderatore ( vedi 50 anni Val Calore) in una azienda in declino è troppo… avvilente ( non si pappa più da queste parti come un tempo, non crede?)
La Saluto Cordialmente
Pietrantonio Accarino
Castel San Lorenzo per me significa una sola cosa: la lettera di un presidente della Cantina che mi insultava dopo un mio articolo su Unico. Caso Unico in Italia, appunto.
La Cantina è poi stata commissariata perché sommersa di debiti e i conferitori rimasti a secco
Non so dunque cosa lei voglia, il fallimento rurale è sotto gli occhi di tutti. Mi sa dire quanto costa l’uva in zona? A Tufo è a 0,70. Parliamo di dati e non di astrattezze. Vuole che la doc resti tali a base di barbera, cabernet? Auguri, Asti e Bordeaux stanno già tremando
Ne fa una questione di vessillo campanilistico? L’Italia è ormai piene di doc sulla carta che non danno certo fastidio. Che resti pure, mica decido io.
Non capisco nemmeno cosa c’entra il mio articolo su Unico. Vuole scriverlo lei al posto mio? Ma si accomodi, io intando mi metto a fare il promotore finanziario.
Quanto alle altre beghe di paese non entro proprio, ormai mi ricorda Gaza. E siccome la vita è breve, non ho più voglia di perdere il mio tempo.
se posso aggiungere una cosa,i vini prodotti dalle tante cantine nuove sorte e che un tempo erano conferitori della Cantina sociale sono quasi tutti molto ma molto modesti.Non ci si improvvisa produttori da un giorno all’altro.
Scusi il disturbo
Pietrantonio non devi scusarti ma piuttosto capire che certe posizioni devono essere difese con raziocinio.Quando ho saputo del commissariamento della cantina ci sono rimasto malissimo e lo sono ancora di più quando ho assaggiato i prodotti di quelle sorte dopo il suo sfascio.Invece che difendere una doc che potrebbe benissimo rientrare in una più ampia anche fregiandosi del nome dei grandi produttori che ne fanno parte(Maffini,De Conciliis ecc),credo che i produttori superstiti della doc debbano concentrarsi sul prodotto soprattutto quando lo propongono in fiere all’estero dove i giudizi sono spietati e non tengono conto del valore affettivo che ognuno di noi haper il proprio territorio.Caro Antonio reputi i vini attualmene prodotti a castel san lorenzo concorrenziali sul piano della qualità con altri del vicino territorio cilentano?
Guardi capisco benissimo che ognuno ha le sue opinioni. Però visto il disappunto del Signor Pignataro . Scusi il disturbo era riferito a lui.
Non voglio fare l’avvocato di nessuno ma se Luciano ha spiegato di essere stato insultato dal presidente della cantina sicuramente non ne conserva un buon ricordo.E a parte la frase dura d’inizio e fine risposta,Luciano ti ha spiegato i motivi del suo pensiero circa il comprendere la doc in quella più ampia del Cilento.E sono motivi assai validi anche dal punto di vista commerciale.Per me Castel san lorenzo vuol dire Osteria Mucciolone dove ho sempre mangiato benissimo a prezzi ottimi ma se devo dirti un vino della doc che mi piace molto,bè,non mi viene in mente nulla.A parte un lambiccato sfuso che compro da un contadino quando in questi periodi faccio una scappata in quelle zone.