Il tortellino impossibile
di Stefano Buso
Periodaccio questo, zeppo di malizia e cattiveria, dove si procede a sputi e sgomitate. In questi frangenti, una pietanza coccolosa è davvero apprezzata. Forse, per cedere all’illusione che una zuppetta possa donare un po’ di serenità. Un piatto bello caldo, bollente, come i tortellini, sì quelli, dalla forma spaziale e con l’immancabile buchino.
Eccoli galleggiare nel brodo aspettando l’arrivo del cucchiaio. Madonna: ultimamente di tortellini, cappelletti e “caplaz” si scrive pochino. Sporadicamente qualcuno ne parla, quasi dovesse celebrare un piatto del tempo che fu. Premetto che non sto scrivendo una difesa d’ufficio sulla pasta ripiena, anche perché, secondo i dati visionati, i volumi di vendita della suddetta (fresca e non) sono più che confortanti.
Né, come pensa qualche mente anchilosata, cerco di plagiare i palati che bazzicano codesto loco nell’ordinare una baby porzione di tortellini. Di recente ho fatto un sogno strano: in pratica, sprofondavo in una caterva di tortelli, e per giunta salati. Al risveglio ho provato un’acquolina preoccupante, irresistibile, considerato che erano le tre di notte. E così, tra il dire il fare, qualche giorno dopo ecco la scorpacciata premeditata. Addirittura in tre declinazioni: alla bolognese), al burro, salvia e parmigiano e in brodo. Brodo di carne genuino, messo in marmitta prima delle sette, fatto bollire adagio, preparato (quasi…) come quello dell’Artusi. Qualche sapientone etichetta queste leccornie come obsolete, histoires de cuisine per romanticoni.
Volete sapere il perché? Ogni cosa di concreto valore palatale (e perché no, culturale) non teme le ricette di nuova concezione, seppur descritte come archetipo della perfezione. Per fortuna esistono le pietanze prelibate memorizzate sin da piccini che almeno in sogno vengono a salutarci.
6 Commenti
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Sono confortanti i volumi di vendita di prodotti che non evocano neppure lontanamente quanto hanno ispirato in te le tre diverse declinazioni. La Buitoni in questi giorni sta promozionando la canevera del terzo millennio: all’interno di un magico sacchetto (ma dai!) piante aromatiche (aglio, cipolla, maggiorana, prezzemolo, basilico, origano, timo) 18,3%, sale, maltodestrine, amido di mais, spezie (paprica, pepe, zenzero, peperoncino) 9,6%, zucchero, pomodoro in polvere, estratto di lievito in polvere, idrolizzato di proteine (da frumento), correttore di acidità acido citrico, olio vegetale, concentrato di barbabietola in polvere. Può contenere tracce di uovo, soia, latte, sedano, senape. Al posto di ingredienti obsoleti come gli aromi freschi, qualche spicchio di agrumi, qualche bacca di ginepro. Eh si, sono nata nel secolo sbagliato. :)
Giusto per non tradire le mie origini parte veneziane e parte-nopee ti informo che tortello-i fa 3, in brodo 53 ed al burro 62 (non specifichi come li hai sognati). Salato fa 54. Sulla ruota di Venezia e su quella di Bari (la ruota dei sogni). In caso di vincita sono gradite le bollicine :)
Qui in Piemonte abbiamo gli agnolotti o ravioli, meglio se “col plin” cioè col “pizzicotto”, pasta ripiena la cui sfoglia deve sciogliersi in bocca e rivelare tutto il sapore del suo interno, un magnifico equilibrio di carne e verdure cotte, amalgamate e insaporite. Li puoi gustare in brodo o al sugo, al burro e salvia o su un tovagliolo caldo, appena scolate dall’acqua di cottura e al vino rosso, col Dolcetto che ben si abbina con i primi piatti. E’ un’arte saper fare l’impasto, tirare la sfoglia giusta che con due dita riesci a chiudere per dare forma al raviolo, tagliato con il “ruiin” (taglia pasta dai denti triangolari”. In vendita ce ne sono più di “industriali” che di artigianali, e anche se artigianali sono ormai fatti in serie con impastatrici, macchine per la sfoglia e riempitrici, penso che anche il “plin” sia meccanico. La sfoglia fatta a macchina ha tutta un’altra porosità da quella stirata a mattarello, il ripieno fatto passare nel tritatutto ha tutto un altro sapore da quello sminuzzato con la mezza luna. Nostalgia? Tempi passati? No, preferisco mangiarli una sola volta l’anno ma che siano quelli veri, come molte altre specialità vanno mangiate nei luoghi d’origine, senza varianti che stravolgano la tradizione e il motivo per il quale sono diventati un piatto famoso.
Epperò questo tortellino alla fine… non dispiace, anzi:-)
no che non dispiacciono soprattutto ora che inizia l’inverno un buon piatto caldo è
sempre benvenuto..quindi un buon brodo non fatto col dado ma come Dio comanda
e un tuffo di tortellini…buon appetito !!
E poi i guru del palato ‘quasi-perfetto’ minimizzano una portata sì buona et saporita:-)
Una nuova vexata quaestio farcita con il buco in mezzo?
Poffarbacco, speriamo di no: -) Ottimo l’intervento dell’amica Paola che q u o t o
Non era Little Nemo (il primo personaggio dei fumetti) che aveva ogni notte fantastici incubi e ogni mattina si risvegliava cadendo giù dal letto? Ecco, il povero Stefano caduto nei tortellini mi ha evocato questa immagine – a cui ovviamente si è sostituito subito l’ombelico della Venere del Botticelli, che del tortellino è l’icona l’archetipo il modello.
Piatto sublime in tutte le sue declinazioni, legato ai personali ricordi d’infanzia di ciascuno di noi, forse mai realmente caduto in disgrazia – solo messo da parte, poco considerato pubblicamente ma voracemente praticato privatamente…