Il rito della Marenna
di Carmen Autuori
Marenna, ‘mbustarella, cozzetiello, scurzino, chiamatela pure come volete ma non merenda!
Partiamo dalle origini. Una prima e sostanziale differenza è da ricercarsi nella etimologia del nome. Merenda è il gerundio del verbo latino merere il cui significato è “meritare”. Questo perché essa non rientrava nei pasti giornalieri obbligatori come la colazione, il pranzo e la cena, bensì era un di più, una sorta di regalo destinato soprattutto ai bambini. Dobbiamo aspettare il Dopoguerra e gli anni della ripresa economica per assistere alla diffusione della merenda. La svolta si ebbe negli anni Cinquanta quando il signor Motta inventò il famoso Buondì, e prima di esso il mottino, infatti ancora oggi, a Napoli nel gergo comune, qualunque brioche imbustata viene chiamata in questo modo. Fino ad allora la merenda era a base di pane e olio, talvolta arricchita da zucchero, per renderla più appetibile oppure da pane e pomodoro a secondo della stagione. Ai più grandi, invece, era concesso pane, zucchero e caffè o lo zabaglione con un goccio di Marsala, una sorta di patente verso il mondo dei grandi.
Tutt’altra cosa è la marenna, un vero e proprio pasto che spezza le lunghe giornate di lavoro, comune sia ai lavoratori delle aree urbane che a Napoli e dintorni non sono tanto operai di fabbrica ma soprattutto di cantieri edili che a quelli delle aree rurali.
Proprio perché deve sostituire il pranzo e rifocillare dalla “fatica”, quella vera, non è mai un semplice panino con la classica farcia a base di salame e formaggio. Una marenna che si rispetti deve contenere almeno una cotoletta, volendo anche una generosa porzione di patate, meglio se fritte, ma anche delle zucchine alla scapece o melanzane a funghetto, oppure un’abbondante fetta di parmigiana di melanzane, delle polpette al sugo o, quando la stagione lo permette, salsicce e friarielli.
Il contenitore di tutto questo ben di Dio sarà il pane. E qui è necessario fare un’ulteriore differenza. In alcuni casi sarà la parte finale della pagnotta ad accogliere il companatico, il cozzetiello, che per la sua forma a cono, tratterrà tutti i liquidi, in altri due fette di pane rigorosamente casereccio e cotto a legna, il pane cosiddetto “cafone”, e in questo caso si chiamerà ‘mpustarella. L’origine del termine è antichissimo, lo troviamo ne La Gatta Cenerentola che fa parte della raccolta Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile. Nella versione teatrale, precisamente nella scena del Rosario dei femminielli, il maestro De Simone così scrive: “Padre nostro, fatte ‘na ‘mposta fancella tosta”, dove “tosta” sta per sostanziosa. A riprendere la tradizione della ‘mpustarella è il maestro pizzaiuolo Enzo Coccia, della pizzeria La Notizia.
La sua è il risultato di una ricetta segretissima che pur mantenendo l’elasticità della pizza napoletana è un pane a tutti gli effetti, da non confondere, però, con il panuozzo di Gragnano.
In campagna , invece, il pane della ‘marenna’ perde la sua funzione di contenitore, ed è solo un elemento che accompagna le varie pietanze, così come a tavola. A sostituirlo è la “ruagna”, un cesto autoprodotto di sfogli di castagno. A scrivere (anche su questo blog) di questo goloso intervallo che divideva a metà la lunga giornata lavorativa è Lello Tornatore, appassionato cultore delle tradizioni rurali della sua Irpinia. Si trattava di un vero e proprio pic-nic itinerante, all’ ombra o al sole a seconda della stagione, dove protagonista era il “cucinato”, ossia delle vere e proprie pietanze cotte che seguivano tre criteri fondamentali: la stagionalità, quello dell’autoproduzione e infine quello della “selvaticità”, quest’ultimo evitava anche la fatica della coltivazione in quanto molti piatti erano a base di erbe spontanee.
E allora ecco apparire, portati nei campi dalle donne sulle “ruagne”appunto, le fave fritte, la ciambotta, l’insalata di fagiolini e patate, il mallone con la pizza ionna, un mix di erbe spontanee servite con una sorta di tortino di mais, oppure la frittata di aglio fresco, il tutto sempre accompagnato da un buon bicchiere di vino.
Ma in questo breve excursus dedicato ad un vero e proprio rito, non possiamo non menzionare l’iconica “marenna do fravecatore” ovvero ‘o filoscio.
E’ una sorta di frittata arricchita al suo interno da un formaggio filante, fior di latte, provola o mozzarella del giorno prima ben sgocciolata. Ma attenzione a non confonderlo con una frittata tout court. Il nome che deriva dal francese “filoche” (filamento), lo acquisisce a Napoli solo nel 1700 grazie ai consueti influssi francesi della cucina dei monzù. Nel Dopoguerra con la ricostruzione ed il successivo boom edilizio, racchiuso in due fette di pane, diventa il cibo più consumato dai muratori nella pausa pranzo; tanto che ancora oggi, il panino farcito con ’o filoscio per i napoletani rimane “a marenna do’ fravecatore”.
Ingredienti per 1 persona
2 uova, 2 fette di provola o mozzarella del giorno prima, sale, pepe, olio evo
Preparazione
Preparate una padella con un filo d’olio evo e fate scaldare dolcemente, intanto sbattete le uova con il sale ed il pepe, versatele nella padella e fate cuocere alzando più volte la frittata (senza voltarla) con una spatola, di modo che si rapprende senza colorirsi troppo, appena si è rappresa in superficie adagiate la provola a fette e avvolgete la frittata, aiutandovi con la spatola. Spegnete la fiamma e coprite con un coperchio (era il segreto di mia nonna) pochi secondi affinché la provola si fonda bene, servite racchiuso in due fette di pane casereccio o, in alternativa, al piatto dopo averlo fatto insaporire in un sugo di pomodoro ben ristretto. Sarà un’ottima alternativa alla carne.
2 Commenti
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Il “cuzzetiello” farcito con soffritto di vitello o maiale (dimenticanza imperdonabile)comunque al sugo di pomodoro è per me il top della merenna del faticatore assieme al filoscio sempre al sugo nonché alle polpette inevitabilmente al sugo(asciutta più che un confort food la merenna diventa una sfiga) pietanze che si gustano appieno solo dopo un duro lavoro fisico e,parafrasando il su citato Lello Tornatore,che ve lo dico a fare…….se volete andare alle radici del gusto queste cose dovete ritornare a prepare FM
Sicuramente, però va’ citato il cuzzetiello con salsiccia e friarielli,fatto riposare al chiuso di una busta per fargli rilasciare tutti gli umori..ahhh, la giovinezza!!