Il polpo alla luciana tra musica e poesia


Polpo alla luciana

Polpo alla luciana

di Carmen Autuori

Il polpo alla luciana non è solo uno dei piatti cardini della gastronomia napoletana, forse tra i più noti tra quelli di pesce, ma soprattutto l’espressione di un popolo dentro un popolo, quello partenopeo. Il nome lo eredita dal borgo di Santa Lucia i cui abitanti riassumono gli aspetti più caratteristici della napoletanità. Ad esempio la loro appartenenza viscerale al mare oppure la grande fedeltà al re che trovava la massima espressione nella festa della ‘Nzegna, l’ultima risale al 1953.

Polpo alla luciana- festa della ‘Nzegna

In tale occasione i luciani  si travestivano da re, regina e nobili ed in corteo si recavano a Piazza Plebiscito dove ricevevano l’omaggio del sovrano per poi proseguire lungo via Santa Lucia e terminare la festa, dopo essersi buttati in mare, con spettacolari fuochi pirotecnici, musica e balli popolari. Era questa l’occasione per sfuggire ad una quotidianità fatta di miseria e di stenti. Per un giorno veniva sovvertito l’ordine sociale: il popolo diventava re. Quasi un Carnevale estivo, dunque, dato che i festeggiamenti si tenevano l’ultima domenica di agosto.

Polpo alla luciana- Santa Lucia, foto d’epoca

Un bellissimo ritratto di questo popolo, che poi è anche il ritratto del luogo, ce lo regala il poeta Ferdinando Russo, il cantore nostalgico della Santa Lucia borbonica, nel suo ‘Santa Lucia’, tra i testi che forse meglio ne  descrivono l’essenza. Particolare attenzione e riservata alle sue donne, le luciane, che potevano essere bellissime tanto da sembrare dame di corte “sbucano a sciami dai vicoletti e corrono su la via grande, innanzi al mare, così come si trovano abbigliate, nei mesi di caldo. Belle ragazze robuste, bruno dorate, dai neri e crespi capelli, dalle corte gonne dalle quali appaiono procaci le ben tornite gambe” oppure bruttissime come le più misere abitanti dei bassi che pullulano nel ventre di Napoli: “donne mature, tutte rughe, sciatte, vecchie innanzi tempo, scalze, trascinantisi dietro non meno di quattro o cinque demoni nudi. Talune hanno enormi pance ballonzolanti, altre, avvolte in cenci, hanno l’apparenza di contorti tronchi”.

Polpo alla luciana- popolane in costume tradizionale

Ed è sempre una ‘luciana’ la protagonista della famose canzone presentata da Sergio Bruni alla festa di Piedigrotta del 1953. Una ragazza bellissima che:

“Port ancor ‘o scialle ‘e lussePort ancora ‘a pettenesseSta luciana quannne passaNun te fa chiu’ arraggiuna”’.

Ad ogni buon conto le più belle acquafrescaie venivano da Santa Lucia, così come i marinai più esperti e i venditori di pesce più prelibato, per non parlare degli ostricari.

Polpo alla luciana- polpo verace

Nel testo si fa riferimento anche ai piatti tipici del borgo: il polpo alla luciana, appunto, la minestra verde ‘mmaretata, che si distingue dalla quella in uso nel resto della città per il grande impiego di cotiche e parti meno nobili del maiale e le ‘mulignane c’‘o ddoce, una versione molto più povera delle melanzane con la cioccolata tipiche della costa sorrentina ed amalfitana.

Si narra che proprio le luciane fossero maestre nella preparazione dei polpi appena pescati dai loro uomini con una tecnica antichissima inventata dai romani detta “dell’anfora”. Sostanzialmente, di sera venivano allocate sul fondo marino dei contenitori in terracotta, legati tra loro con dei cavi,  dentro i quali i polpi trovavano rifugio, questa tecnica ne preservava la morbidezza delle carni.

polpo alla luciana- pesca ad anfora

Una volta pescati, i polpi veraci venivano tagliati in pezzi grossolani dalle luciane, riposti in un’ampia casseruola coperta da un panno umido e fatti cuocere a lungo per farli ammorbidire. Per mantenere la temperatura costante, si utilizzava una casseruola di terracotta; inoltre, secondo la ricetta originale, non bisognava aggiungere acqua né aprire il coperchio fino alla fine della cottura. Da qui deriva il detto “o purp s’adda cocere dint’ all’ acqua soja” (il polipo deve cuocere a lungo nella sua acqua). La cottura prolungata li rendeva estremamente teneri e saporiti. Per far sì che la zuppa fosse ancora più gustosa venivano poi aggiunti dei pomodori e pochi, ma profumati, aromi.

 

La ricetta che segue è tratta da ‘La Cucina Napoletana’ di Jeanne Carola Francesconi

Ingredienti per 4 persone

1, 500 g di ‘polpetielli’ veraci

750 g di pomodori pelati (senza il sugo)

2 spicchi d’aglio

Prezzemolo

Olio evo abbondante

Sale

Pepe

Procedimento

Lavare molto accuratamente i polpi sotto l’acqua corrente. Adagiarli in un tegame, preferibilmente di terracotta. Condire con l’aglio tritato finemente, i pelati sgocciolati,  il sale ed il pepe.

Sigillare il tegame con un foglio di carta forno legato intorno ai bordi con lo spago da cucina.

Porre il tutto su fiamma media per circa 45 minuti: il sugo dovrà risultare denso, scuro e lucido. Se a cottura avvenuta vi fosse ancora troppo liquido, togliere i polpi dalla pentola e far restringere il sugo tenendo sempre la pentola coperta. Rimetterli nella pentola e farli riscaldare per 4 o 5 minuti. Solo a questo punto aggiungere il prezzemolo finemente tritato.

Il fondo di cottura potrà essere usato per condire la pasta, preferibilmente spaghetti o vermicelli.

 

2 Commenti

  1. …credo che nella ricetta ci vogliano anche olive itrane e chiapparielli…..voi che dite?

  2. Con olive e capperi e ‘ un’altra ricetta.Attulmente vengono più spesso utilizzati i pomodorini vesuviani o comunque pomodorini.

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