Il Piedirosso di Ocone


Il cinghiale è uno degli animali più diffusi nel Cilento dopo la nascita del Parco Nazionale, terrore dei contadini, delizia per gli appassionati che, a dispetto del divieto di caccia, riescono a procurarsi in abbondanza i migliori pezzi da cucinare tirando con pazienza un ricco e saporito ragù con il quale condire cavatieddi e fusiddi. Del vino ci piacciono giochi e riassaggi non commerciali e così, invitati a casa di amici per questo piatto domenicale, abbiamo pensato bene di tirare fuori dalla nostra cantina la prima uscita del Calidonio di Ocone, un 2001 Piedirosso Taburno doc. L’avete capito, no? Calidonio è il nome del cinghiale inviato da Artemide, antipatica dea della caccia, a devastare la città di Calidone perché il re Eneo non l’aveva nominata nel corso dei rituali sacrifici al termine del raccolto. L’enorme animale fu ucciso da una pattuglia di illustri eroi della mitologia greca tra cui i nostri amici zodiacali Castore e Polluce: ovviamente per le spoglie non mancarono violenti litigi. Pieno accordo, invece, tra il vino della nouvelle vague di Mimmo Ocone e il piatto cilentano, l’abbinamento è stato perfetto perché il Piedirosso del Taburno, lo dimostrano le interessanti interpretazioni di Fattoria la Rivolta di Paolo Cotroneo e quello della Cantina del Taburno, è un bicchiere di corpo, di buona struttura, dai tannini dolci ma di carattere presenti nel corso di tutta la beva, lunga e calda, sostenuta da buona freschezza. Certo, l’annata 2003 presenta maggiore concentrazione mentre la 2002 del Calidonio è più fine ma leggermente più corta. La 2001 di cui invece scriviamo adesso conferma da un lato la straordinaria annata, l’ultima davvero grande della Campania per i bianchi come per i rossi come ci dimostra il Taurasi Radici di Mastroberardino, mentre dall’altro testimonia la longevità di questo bicchiere piuttosto tradizionale, marasca, cacao, confettura di frutta rossa e sentori di tabacco, sono regalati dal frutto ben equilibrato ma soprattutto dalla fermentazione alcolica e dalla malolattica avvenute in un grande tino di rovere. Sei mesi in acciaio, un altro paio in bottiglia per un risultato di tutto rispetto, davvero interessante per un Piedirosso, anche se va ricordata la presenza di un 15 per cento di Aglianico. A distanza di cinque anni dalla vendemmia il Calidonio si presenta rosso rubino senza cedimenti aranciati, pronto per almeno altri due o tre anni di evoluzione: c’è poco da fare, le aziende entrate nella storia della viticoltura campana rappresentano sempre una sicurezza nel bicchiere anche quando restano fuori dall’attenzione di critici frettolosi incapaci di concepire il giusto ritmo tra la campagna e i suoi migliori interpreti.