Il mondo del vino al femminile: le figure italiane coinvolte nel settore 13| Cinzia Benzi


Cinzia Benzi

Cinzia Benzi

di Chiara Giorleo

I numeri parlano chiaro: le donne rappresentano la maggioranza degli addetti e dei manager nell’ambito marketing e comunicazione (80%), commerciale (51%) e turismo (76%).
Quali sono le figure femminili impegnate nei diversi rami del settore vitivinicolo?
Dopo il successo della serie di interviste alle critiche di vino e parallelamente a quella dedicata alle donne produttrici, scopriamo impostazione, visione e prospettive con le dirette interessate.

Oggi lo chiediamo a Cinzia Benzi

 

Nata a Canelli, nel Monferrato, in Piemonte. Fin da piccola ha manifestato il desiderio di uscire dai confini regionali per scoprire il mondo, e poi di imparare tutto quello che poteva sul vino, essendo il nettare di Bacco diventato una delle sue ragioni di vita, una passione sfrenata trasmessa dal padre che l’ha guidata nelle complessità di un nettare complesso e affascinante. Un campo vasto al quale ha sempre voluto contribuire, cercando di individuarne le sfumature complesse come le personalità appassionate di chi lo produce, lo promuove e ne parla.

Si divide tra Milano, la città che l’ha adottata, e Canelli, dove tornerà per stabilirsi definitivamente con il marito Daniele, l’amore della sua vita, nel 2020. Poi c’è il mare e la sua casa di Cesenatico, un paese così piacevole da vivere, anche se lei preferisce rifugiarsi in Romagna per scrivere. La Francia è il suo Paese d’adozione, il Paese dei suoi studi di enologia, densi e leggeri allo stesso tempo, e anche il Paese delle sue amicizie. I viaggi più memorabili si fanno con il cuore, e quelli fatti a Bordeaux hanno un posto speciale e gli ricordano giorni indimenticabili.

Se gli studi di psicologia sono stati fondamentali per la sua carriera, la galassia gastronomica ha preso completamente il sopravvento quando ha incontrato il giornalista Paolo Marchi, ideatore di Identità Golose, con cui collabora da molti anni. E così, come il vino, la gastronomia è diventata una delle gioiose ossessioni che amava coltivare. È assecondando questa passione che ha scritto il suo primo libro, sullo Chef Moreno Cedroni (Edizioni Giunti, 2011), un’opera a cui è molto legata e per la quale si è circondata di un team formidabile: le fotografe Francesca Brambilla, Serena Serrani e la stessa famiglia Cedroni, con cui è nata una singolare amicizia. Qualche anno dopo, nel 2014, ha firmato con lo stesso chef “Susci, Piu che mai”, un libro arricchito dalle fantasiose illustrazioni di Gianluca Biscalchin. Sul fronte del vino, due anni prima ha co-scritto il volume “Sauternes” (Edizioni Gribaudo-Feltrinelli), seguito nel 2017 da Vino: femminile, plurale (Edizioni Giunti). Infine, nel 2019, pubblicherà “Cedroni: il pensiero creativo che ha cambiato la cucina italiana”.

Premiata con il Premio Barbateller nel 2022. Dal 2020 è anche coordinatrice del progetto “Bollicine del Mondo”, un’innovativa guida digitale. Quando non scrive, Cinzia ama cucinare, azzardare abbinamenti insoliti con i vini che ama, scrivere di notte con il jazz in sottofondo e collezionare penne stilografiche.

 

Quando e come ti sei avvicinata al settore vino?

Sono piemontese, nata a Canelli, nel Monferrato, e il vino nello specifico il Moscato, fin da adolescente, è stato un alimento liquido che adoravo condividere con la mia famiglia. La magia che dagli acini d’uva delle vigne che circondavano la mia casa potesse trasformarsi in vino mi affascinava. Ricordo le vendemmie goliardiche per noi ragazzi: un clima di fatica e festa, allo stesso tempo. Il profumo delle uve trasportate dai carretti si diffondeva nel paese caratterizzando quel periodo dell’anno che attendevo con impazienza. Mio padre mi ha trasmesso questa passione cercando di farmi capire che l’argomento vino era vasto e dovevo studiarne i dettagli. Nel tempo la mia passione è mutata in una professione. Ho impiegato ogni vacanza e momento libero del mio cammino enologico girando per cantine, percorrendo filari di vigne, e degustando vini. Posso affermare con fierezza che il nettare di Bacco è una delle mie ragioni di vita.

 

Come hai impostato il tuo percorso formativo ed esperienziale?

Non amo l’improvvisazione e lo studio è costantemente il mio mantra. Ho frequentato i corsi Ais, poi ho deciso di approfondire i miei studi enoici, a Bordeaux, per un lungo periodo.

Un percorso formativo che mi ha subito messa al centro del mondo, avvicinato alla Francia e fatto comprendere la meraviglia che potevo scoprire dietro alle etichette dei vini: storie di persone, aneddoti, conoscere la viticoltura avvicinandomi anche all’ enologia. Tutti passaggi essenziali per memorizzarne elementi caratterizzanti di aree geografiche di tutto il mondo. La didattica è un punto di partenza ma gli assaggi, i confronti con chiunque “viva” questo settore, è sempre formativo. Viaggiare ti apre la mente e, per quanto mi riguarda, il confronto francofono lo reputo un valore aggiunto.

 

Qual è il tuo modello di ispirazione in termini umani, geografici, attitudinali?

Io cerco di far tesoro degli insegnamenti che i miei genitori hanno saputo trasferirmi: al centro della mia vita c’è il massimo rispetto della persona, della parola data, della serietà professionale e privata. Onestà intellettuale applicata in ogni istante. Sono una cittadina del mondo, adoro viaggiare, sono curiosa e non smetterò mai di arricchire il mio sapere.  Cogliere il punto di vista altrui è indice di chi ama il confronto e le ampie vedute. L’invidia non mi appartiene. Lavoro con il massimo impegno, passione, e trasparenza perché so di essere fortunata a svolgere un’attività che mi piace e gratifica.

 

Il ruolo della donna è adeguatamente riconosciuto nel nostro settore a tuo parere?

Nel 2017 ho scritto un libro dal titolo “Vino: femminile, plurale” senza pensare ad alcun discorso sessista ma testimoniando, per chi non lo avesse percepito, che nel nostro settore ci sono tanti talenti. Con gioia posso affermare di poter osservare un vivaio giovanile davvero promettente. Se l’obiettivo primario resta quello di lavorare con serietà che rima con onestà allora stiamo andando nella giusta direzione. Io sostengo da sempre che la password della vera serenità, inclusa quella professionale, è gratitudine. Io riconosco di aver raggiunto molti obiettivi però me ne pongo altri. Non per un senso di sfida bensì per un elemento di necessità. Desideravo scrivere un libro sulla leggenda di Yquem e l’ho realizzato. Ma ho ancora altri sogni nel cassetto.

 

Quali sono i punti di forza e di debolezza del sistema Italia nella tua professione?

In sintesi: è molto difficile fare sistema e questo ci penalizza sia in Italia sia all’estero.

Io credo nel lavoro di squadra, nelle sinergie, nel confronto con i colleghi di ogni angolo del pianeta. Nel progetto Bollicine del Mondo che ho ideato con Identità Golose, Paolo Marchi e Claudio Ceroni ho voluto fortemente premiare i colleghi degustatori, scrittori, formatori. Questo perché li stimo e sono felice dei loro successi. Il vino è una materia viva quindi perché alimentare i propri ego di saccenza impregnandosi di un’allure di sapienza massima. La cultura è il viatico più economico che può permetterci di crescere, a volte parlando delle nostre competenze, a volte ascoltando con attenzione gli altri.

Come pensi la tua professione evolverà nei prossimi 20 anni? Avrà un ruolo l’AI?

L’evoluzione è essenziale in questa professione. Pensiamo alla velocità che la rete ci fornisce e i social media; tuttavia, io sono “vintage”.  Pensare di scrivere i miei appunti sul quaderno di degustazione mi consente di non perdere il filo con il tempo, i ricordi e la volontà di non meccanizzare. L’ AI avrà un ruolo? Non sono in grado di prevederlo perché continuo a sostenere quanto il bagaglio culturale umano sia composto di studio, ricerca e confronto.

 

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