Il mito della cucina delle nonne all’origine del Made in Italy


Angelina Cogoni e la cucina delle nonne

La signora della foto si chiama Angelina Cogoni ed è diventata una star di Istragram come le sue ricette. La adottiamo come simbolo di una tendenza in atto che anche l’industria alimentare ha colto nella comunicazione. Viene quasi da dire che questa esaltazione delle nonne in cucina segnala una voglia di passato, di sicurezza, persino di nostalgia in un mondo che, anche a tavola, sembra aver perso i suoi punti di riferimento.
Poi però andiamo a New York che è la città dove si affermano le mode e le tendenze e osserviamo una stella Michelin a Rezdora, tipica osteria emiliana dove il giovane cuoco Stefano Secchi propone cappelletti in brodo, garganelli prosciutto e piselli, gnocco fritto e culatello. Un locale che, insieme alla mitica trattoria Ballato gestita dal sarnese Emilio Vitolo, è frequentata da tutti i vip possibili e immaginabili. Del resto anche il successo della cucina terragna e diretta di Peppe Guida ha sbancato su Netflix a livello globale.
Il mito della cucina della nonna non è dunque (solo) la coperta di Linus alimentare in cui ci rifugiamo nel fine settimana, ma qualcosa di più perché in primo luogo certifica il fatto che nel nostro Paese l’innovazione, l’avanguardia, le tecniche per stupire non hanno prodotto un comune sentire diventando anzi un boomerang su tutto il settore della ristorazione fine dining. Un ripiegamento che non si registra solo in Italia per la verità.
Il tema vero è che i piatti non devono essere solo buoni, ma esprimere una verità, una narrazione e, proprio come il vino, chi incrocia una preparazione deve avere la sensazione di far parte di una storia, della elaborazione di una intera comunità. Questo il segreto del successo della pizza e di tuttala cucina italiana che, come ha notato sarcasticamente Feltri nel suo ultimo libro (Mangia come Scrivi) è quasi interamente rappresentata da preparazioni del Mezzogiorno.
Per essere più precisi, più che di cucina delle nonne, si dovrebbe parlare di cucina delle bisnonne, di quelle generazioni sposate nell’immediato Dopoguerra che, come Angelina Cogoni, viaggiano sopra gli 80 anni. Sono loro le ultime depositarie di ricette che lo tsunami della globalizzazione tende e relegare nelle riserve costituite dai paesini e degli agriturismi del Centro Sud. Il motivo è che sotto il Po le tradizioni si sono conservate con maggiore determinazione anche grazie al tessuto sociale familiare, lo stesso che ha accolto la grande fuga da Milano durante il Covid. Dunque proprio una cucina costituita in massima parte dal vegetale, attenta alla stagionalità, contraria ad ogni spreco, spesso legata a ricorrenze religiose costituisce la base del Made in Italy che gli stranieri ci chiedono quando vengono in Italia.
C’è il rischio di diventare una gastronomia museo? Probabilmente sì, ma è anche una trincea contro una modernizzazione in cui il cibo concepito solo come merce non riesce ad affascinare e a diventare patrimonio comune.

Un commento

  1. Antiche o nuove ricette vanno bene tutte ma importante è anche tornare a cucinare in casa cibo il più naturale possibile variandolo giornalmente e spaziando in tutto lo spettro del commestibile.Il tempo investito a fare la spesa e a cucinare ripaga non solo in salute fisica ma anche mentale e sociale.Questo senza escludere una periodica escursione “in presenza”in trattoria pizzeria o ristorante quando se ne ha voglia vuoi per cambiare o semplicemente per farsi servire perché mangiare è ……..partecipare. FRANCESCO

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