Il miracolo del vino a Tramonti, Costa d’Amalfi: perché Apicella, Reale, Tenuta San Francesco e Monte di Grazia diventano cult in 11 semplici mosse
C’è un comune chiamato Tramonti, confina con Ravello ed è la dispensa agricola della Costiera Amalfitana.
Qui sta nascendo un distretto vitivinicolo di eccellenza, forse l’unico al Sud capace di competere con l’Irpinia per la tipicità, l’eleganza e la longevità dei suoi vini sia rossi che bianchi.
Questa cosa sta succedendo adesso, negli ultimi quattro, cinque anni sotto i nostri occhi. E io ne sono molto felice.
Poco più di 24 chilometri quadrati di polmone verde divisi fra 13 frazioni, 4145 abitanti con una densità di 167 persone per km (pensate che a Portici sono 11.942!), dall’inizio del ‘900 sino al 2001 il paese si è letteralmente dissanguato per sfuggire alla fame vera. Solo negli ultimi dieci anni c’è una ripresa con un saldo demografico positivo di circa 200 unità rispetto al minimo storico: questo vuol dire che grazie all’ospitalità rurale, all’agricoltura, all’attività dei caseifici, si è riusciti ad evitare il tracollo tipico delle zone pedemontane del Sud.
Tra gli emigranti conosciuti, oltre i circa tremila pizzazioli che si radunano ogni anno ad agosto, la famiglia dell’ex governatore di New York Mario Cuomo la cui casa di origine oggi è un rustico diroccato e abbandonato
Giuseppe Apicella è stato il primo ad imbottigliare il vino che veniva venduto sfuso come Gragnano dai commercianti di Napoli. 8 ettari e 50.000 bottiglie
La svolta avviene con la creazione di una pattuglia di piccoli viticoltori e la laurea del figlio di Peppino, Prisco Apicella, in Enologia in Piemonte.
Gigino Reale: due ettari e circa 12mila bottiglie
Gaetano Bove: 10 ettari e 50.000 bottiglie con Tenuta San Francesco
Alfonso Arpino con Monte di Grazia: tre ettari e 10.000 bottiglie
Possibile un miracolo solo con 21 ettari e circa 120.000 bottiglie?
Sì, è possibile. Vediamo perché.
Isolamento identitario colturale
Sino alla costruzione borbonica della carrozzabile, la Costiera era praticamente raggiungibile solo via mare. Ancora di più tra queste montagne, si viveva in piccoli borghi isolati. La strada del Valico di Chiunzi, a 656 metri, fu aperta solo dopo l’Unità, completata nel 1877.L’agricoltura è di sostentamento: resistono per secoli le pratiche apprese dai monasteri e prima ancora dai romani, la biodiversità di legumi, ortaggi, frutta e ovviamente di vitigni arriva praticamente intatta sino ai giorni nostri. Così il limite diventa ricchezza incredibile, come le case in pietra rispetto a quelle di cemento.
Sbocco commerciale di prossimità
Lo sviluppo del turismo consente ai piccoli produttori, nonostante la crisi iniziata nel 2003, di piazzare agevolmente le proprie bottiglie, una goccia nel mare di consumo tra ristoranti e alberghi compresi nell’aria tra Vietri e Sorrento.
Il protagonismo dei giovani enologi
In ciascuna delle aziende citate è al lavoro un giovane: Prisco nell’azienda di famiglia, Fortunato Sebastiano con Gigino Reale, Gerardo Vernazzaro da Monte di Grazia e lo stesso Carmine Valentino con Tenuta San Francesco.
Integrazione tra enologia e progetto di vita
Ma non è solo questione di manico: i grandi vini nascono sempre dal connubio tra il proprietario e l’enologo. Ed è quanto accade in queste quattro aziende.
Lo sviluppo di un vitigno di territorio
L’affermarsi del tintore è un elemento fortemente caratterizzante. Quello che per esempio è mancato sinora nel resto della provincia di Salerno, in alcuni punti del Cilento persino tentata dal suicidio culturale e commerciale dei vitigni italiani e/o internazionali!
Lo stile del vino
Bando alle dolcezze, ai vini facili ma monotoni: persino i “base” di questo territorio restano fortemente nella memoria di chi li assaggia grazie alla freschezza, all’uso moderato dei legni, alla certezza dei profumi.
I prezzi contenuti
Il più costoso è il Borgo di Gete, a cui Parker ha assegnato 92/100: circa 30 euro in enoteca, segue ‘E Iss a 25. Gli altri viaggiano tutti tra i 10 e i 20 euro al consumo.
Bianco e rosso
Un altro punto di forza, proprio come accade in Irpinia, è la possibilità di offrire agli appassionati grandi risultati sia con i bianchi che con i rossi. E questa circostanza, lo sappiamo, non è molto comune in viticoltura.
Evitate le mosse sbagliate
1-Produrre Falanghina in purezza! Farlo fuori dal Sannio e dai Campi Flegrei comprando uve invece di produrleperché lo richiede il mercato de-specializza e abbassa il tasso di credibilità del progetto.
2-Inserire vitigni internazionali! Diamo per scontati i motivi, essendo evidenti quanto i danni fatti dal Berlusconismo in Italia. Sia gli elettori di bunga bunga che i produttori di questi vini sono finiti in un Truman Show.
3-Bandite concentrazioni, dolcezze dolcificanti, surplus di barrique vanigliose
La salubrità del suolo e le caratteristiche pedoclimatiche
Tutte le quattro cantine sono estremamente attente alla qualità della viticoltura e alla salute del suolo coltivato e riescono a mantenere le loro viti in equilibrio con la natura. Ovviamente questa è una pre-condizione, perché dobbiamo aggiungere che le viti sono dai 300 ai 650 metri, godono di grande ventilazione tutto l’anno, forte escursione termica, si nutrono su un terreno ricco di materiale di origine vulcanica regalato dal Vesuvio. Una viticoltura per certi versi estrema e per questo moderna e attuale, non adatta ai numeri ma alle emozioni.
Fare gruppo
Sempre insieme durante le manifestazioni, mai gelosie inutili
Conclusione
Insomma, questa sottozona della doc Costa d’Amalfi (57 ettari in produzione su 90 iscritti, 350.000 bottiglie in tutto prodotte di cui 61% bianche e il resto rosate e rosso) ha la forza per imporsi all’attenzione e trainare anche gli altri ottimi viticoltori impegnati nelle sottozone Furore e Ravello.
Ma il motivo più profondo di questo successo è la gioia che ogni bottiglia regala senza mai tradire le aspettative.
12 Commenti
I commenti sono chiusi.
analisi esemplare per vini davvero ben fatti
per una volta solo un: condivido tutto.
Personalmente il momento degli assaggi dei vini della Costa d’Amalfi è sempre uno dei più divertenti dell’anno. Bottiglie che ti verrebbe voglia di stappare sempre..
Vero, sono tra i pochi che riesco a bere rimanendo sempre spiazzato
Ho avuto la fortuna di gustare alcuni di questi vini, e’ vero… trasmettono emozioni!!
Analisi bellissima! Complimenti all’autore ed ai viticultori tutti bravissimi e simpatici
Complimenti a te grande talent scout…:-) Chiaramente son un fan del tintore, scoperto e fattomi provare da te qualche anno fa.
Una curiosità: il tintore è una varietà particolare di aglianico o un vitigno autoctono con una ben precisa identità?
Il tintore è stato classificato come vitigno autoctono dalla Regione che ne ha autorizzato la dicitura nella doc
Pezzo bellissimo, illuminante: “Cassazione”!
Caro Luciano, come sempre sei riuscito a sorprendermi, un pò come i nostri vini di tramonti sorprendono te!!!!
In momenti difficili per tutto il comparto, il tuo suggerire la nostra “piccola” strada come quella da seguire per rafforzare l’identità dei vini e dei territori mi rincuora e mi rende orgoglioso: come sempre grazie per l’attenzione!
p.s.
Grazie anche per la citazione “parkeriana”. a presto, e fatti vivo a tramonti!
Gigino reale
Complimenti per l’articolo. E aggiungo: vini veramente territoriali (vitigni locali quali tintore, pepella, ginestra) e con un ottimo rapporto qualità-prezzo, da abbinare ai piatti tipici della cucina campana, ma anche ai tanti prodotti che questo lembo “montano” della Divina Costiera generosamente offre (latticini, verdure, pizze ed altri prodotti da forno, ecc.).
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