Il menu di cacciagione alla locanda San Lorenzo di Puos D’Alpago racconta la storia di una grande famiglia italiana
di Giulia Gavagnin
Abbiamo appena parlato di un sontuoso menu di cacciagione (quello di Antonio Guida, al Seta di Milano) e la stagione è propizia per narrarne entusiasticamente un altro.
Diverso, diversissimo per luogo, persone, spirito, genius loci.
Per certi versi, opposto.
A Milano eravamo in un importante hotel di lusso internazionale con un grandissimo chef baciato in fronte dal talento e artefice di una cucina piena e sapiente, frutto di duro lavoro, squadra consolidata e mezzi non indifferenti.
Qui ci troviamo nella periferia delle Prealpi venete, in un glorioso ristorante a conduzione familiare che dagli anni Ottanta in poi ha rincorso l’eccellenza raggiungendola e talvolta superandola, anche se a coloro i quali non bazzicano il Nord-Est o non sono super appassionati, il nome non dirà moltissimo.
Basti sapere a “lorsignori” che, per chi scrive, anche se non si tratta di Gino Veronelli in persona, codesto luogo il nostro bergamasco nume lo avrebbe censito nella sua illuminante guida con il simbolo del cuore, quello per cui non si azzardava a dare mezzo voto in più o in meno perché tanto era l’affetto e tanta la stima per il valore intrinseco del luogo e della sua gente, che poteva muovere più emozione che ragione nel valutarlo. E allora si asteneva, ma i suoi lettori sapevano che dietro c’era “tanta roba”, soprattutto in considerazione del fatto che il burbero Gino non dispensava complimenti a casaccio.
Locanda San Lorenzo a Puos d’Alpago, provincia di Belluno, è un luogo fuori e dentro il tempo, è la storia di una famiglia che inizia nel 1900 (tondo!) come luogo di sosta per i viaggiatori, diventa grande alla terza generazione, quando a metà degli anni Ottanta i nipoti del patriarca Osvaldo iniziano a trasformare la locanda in un grande ristorante. Renzo è lo chef, proviene da scuole leggendarie: la Frasca a Castrocaro e il Bersagliere a Goito, luoghi –non a caso- di “veronelliana” memoria. Osvaldo “Aldo” è l’intellettuale, finissimo degustatore di vino e pasticcere. Sandra serve in sala, poi affiancata dalla moglie di Renzo, Mara.
Nel 1997 conquistano la stella Michelin, che a tutt’oggi resiste fiera, e in cucina a Renzo, si è affiancato il figlio Damiano, tornato da Londra e dal Lussemburgo.
Diventano grandi nel post-boom economico, si contendono la palma di miglior ristorante della zona con il leggendario Dolada di Enzo De Prà, sono colpiti dalla prematura scomparsa di Aldo ma si rialzano, come la gente di montagna sa fare.
Si concentrano sugli ingredienti del territorio valorizzati dai presidi Slow-Food, contribuiscono a rendere famoso l’Agnello nell’Alpago fuori dai loro confini: ancora oggi, a più di vent’anni di distanza, la “variazione di agnello” della Locanda è uno di quei piatti che valgono il viaggio da ovunque.
Una curiosità: il logo della Locanda è stato disegnato nel 1988 dal celebre architetto Tobia Scarpa, cliente dei Dal Farra. Una griglia, una pentola, le stelle cadenti della notte di San Lorenzo, tre stelle a simboleggiare i tre fratelli. La storia della ristorazione è costellata, oltre che di stelle, di piccole grandi storie culturali che rendono onore alla grandezza di alcuni luoghi. Non c’è stato solo Bob Noto a disegnare loghi dei ristoranti, come narrato in questi giorni da Luciano Pignataro. Ci sono tante belle storie da raccontare!
L’Alpago è proprio una terra che ha tante belle storie da raccontare. Non solo l’agnello autoctono, ma anche la trota di Alpaos, i fagioli “Mame”, lo zafferano, i frutti di bosco, i formaggi dei piccoli produttori. E, ovviamente, la tradizione della selvaggina, che gode di un habitat particolare grazie alla vicinanza con le Alpi e i boschi.
Nel menu della Locanda non mancano mai piatti di caccia ma, talvolta, per la gioia degli avventori i Dal Farra vi costruiscono un intero percorso che spazia dalla selvaggina da pelo a quella da piuma.
Così, quest’anno, abbiamo approfittato del calore della rustica sala dell’osteria davanti al caminetto (dal quale si sbircia nella cucina da pochissimo rinnovata) e, in un’atmosfera decisamente conviviale abbiamo apprezzato piatti vecchi e nuovi della Locanda inseriti in un unico menu.
Dopo gli amuse-bouche di rito, sfilano: carpaccio di capriolo marinato e scottato con rape in agrodolce e maionese al rafano; battuta di cervo con nocciole e creme brulèeal foie gras; patè di germano reale, pan brioches e mostarda di pere; degli straordinari ravioli di cinghiale in salmì, con porcini, mais “sponcio” e riduzione al vin brulè. Fin qui potremmo essere in un grande ristorante francese, senza se e senza ma.
Ci accompagna un Nebbiolo di Versio, già enologo di Giacosa, scelto da Renzo: lo chef è uno dei pochissimi tra i suoi colleghi che di vino ne capisce, basta scendere in cantina per trovare la quota di felicità minima per ogni appassionato.
Segue un piatto già in carta da qualche tempo alla Locanda: bigoli al torchio con ragù di capriolo, saor di cipolla rossa e lamponi con panure di frutti di bosco.
Decisamente eccellente il consommè di camoscio con ricotta affumicata e topinambur che ci prepara ai secondi.
Non prima di aver individuato la seconda bottiglia: un Brunello di Montalcino di Salvioni 2013, che con il suo inconfondibile sottobosco disegna la via per il piatto più principesco del menu.
Senza nulla togliere al lombo di cervo al “pro-fumo” di bosco, borsch, crauti e latticello, quando si intravede all’orizzonte Sua Maestà la Lièvre alla Royale giunge l’ovazione.
Il piatto creato da Carème nel 1775 che rappresenta croce e delizia per ogni chef, è anche uno dei più agognati da qualsiasi gourmet degno di questo appellativo.
Certamente, chi sa interpretare adeguatamente la Royale può fregiarsi del titolo di cuoco vero!
E, benchè, io sia colta da moti d’affetto per la Locanda, non esito a definirlo uno dei migliori ristoranti del Nord Italia perché luogo di grande cucina oltre che di grandi persone.
Il Gran Menu di Selvaggina (Euro 165 a persona) è l’occasione migliore per avvedersene.
Buon divertimento a chiunque decisa di cimentarvisi!
Locanda San Lorenzo
Via General Cantore 2 – 32015 Puos D’Alpago (BL)
Tel. 0437 454048
Chiuso il mercoledì