Il libro di Nicola Di Iorio: il Taurasi come metafora dell’Irpinia
Martedì sera ho avuto il piacere di presentare il libro “Rosso dalla terra”, l’ultima appassionata fatica di Nicola Di Iorio, ex Presidente della Comunità Montana Terminio-Cervialto. Il lavoro, storico e antropologico, edito da Delta3 è un trattato approfondito e appassionato, una disamina dei punti di forza e di debolezza del territorio irpino condito da preziose perle e curiosità frutto di studio e di ricerche: l’approfondimento sull’Aglianico come vino autoctono e la ricerca sulle origini del nome “Taurasi”, oggi indicazione di D.O.C.G. in un avvincente viaggio nella storia dei nostri paesi attraverso la documentazione storica. In sintesi un viaggio nella storia dell’Aglianico e del Taurasi alla ricerca della matrice culturale della “Terra di Mezzo” che possa renderla unica rispetto ai territori nazionali con i quali entra in competizione.
La presentazione è stata fatta nelle cantine di Antonio Caggiano e devo dire che per me è stata l’occasione per fare il bilancio di oltre vent’anni di storia, di bevute e di passione.
Non tutto è andato come speravamo, ma siamo stati fortunati a raccontare il boom e adesso abbiamo ancora qualcosa da dire per qualche tempo.
Il modo migliore per dire la mia è riportare la presentazione che Nicola mi ha chiesto di scrivere. Con lui l’amicizia è antica come potete vedere cliccando su questo post che gli dedicai quando lasciò la presidenza della Comunità montana.
La mia presentazione al libro
Nessuna bevanda ha ispirato poesie, romanzi, film come il vino. Il miracolo della fermentazione e la capacità di sostenere l’uomo nei momenti più difficili di fame e di stanchezza ne fanno qualcosa di speciale, assolutamente identitario e irripetibile.
Dalle invettive di Ipponatte alle pagine di Veronelli e Soldati, il vino ha accompagnato l’uomo nella sua angosciosa ed esaltante avventura nel corso dei millenni e il suo fascino è destinato a durare ancora molto a lungo nonostante la banalizzazione dei sentimenti e la monetizzazione dei rapporti umani di questa epoca priva di etica.
Perché nonostante tutto ci sarà sempre un uomo disposto a sognare una realtà migliore, diversa, celebrando amicizia e amore attraverso un semplice sorso di vino. E se adesso è figo berne di costosi o di nicchia, l’atto di bere resta naturale, spontaneo, intimo e sociale allo stesso tempo.
La storia dell’Irpinia, come quasi tutte le province italiane, è solidamente legata alla viticoltura ma negli ultimi anni, poco più di venti, è indubitabile che la sua produzione abbia preso il volo staccando il gruppo. Questa lunga fuga rispetto al resto della Campania e del Sud rischia di adesso vanificare il proprio vantaggio per l’incapacità di fare sistema, superare atteggiamenti che puntano a ribadire posizioni piuttosto che a recuperare vantaggi di posizione sul piano organizzativo e commerciale.
Nate senza un consorzio, le tre docg restano sostanzialmente al palo nei numeri nonostante i premi e riconoscimenti siano aumentati in maniera esponenziale dal 2003. Mai tanti enologi hanno dato vita a sperimentazioni, impegno, per migliorare una viticoltura difficile che tutti amiamo perché frutto di condizioni eroiche ma anche uniche dal punto di vista pedoclimatico.
Nicola Di Iorio è stato uomo delle istituzioni, un politico che ha lavorato non per il consenso ma per il territorio. Può sembrare una contraddizione, e in un sistema perfetto lo sarebbe senz’altro, ma nel depauperamento culturale ed ideologico degli ultimi vent’anni, proprio quelli dello sviluppo della viticultura irpina, il metro di giudizio del fare politico si misura con l’individuo e non più con i partiti. I tempi dunque si sono accorciati, non è più necessario lasciare un segno, ma possibilmente appena una traccia nel proprio passaggio istituzionale.
Che bella contraddizione con il mondo del vino dove il primo risultato di rilievo arriva solo dopo una decina di anni da quando si è preparato il terreno per la prima vigna! Proprio in questa veste ho conosciuto Nicola, quando presideva la Comunità Montana del Terminio Cervialto impegnando risorse pubbliche per far conoscere i vini irpini fuori dall’Irpinia, cercando di coinvolgere non solo i media locali indispensabili alla costruzione del consenso, ma quelli nazionali. Nicola pensava ai vini, ai produttori, alle cantine, al territorio e non agli elettori.
E questo libro dimostra non solo la passione e l’attaccamento alle proprie radici che ciascun terrone conserva tutta la vita, ma un profondo amore che spinge allo studio, all’approfondimento, alla ricerca bibliografica, al costante aggiornamento su internet di quel che accade ogni giorno. Una sintesi, insomma, dalla quale non credo si possa più prescindere in futuro.
Il valore di questo lavoro sudato, pignolo, meticoloso, ricco di scienza ma anche di amore e passione, è nel fatto che il vino irpino e del Sud è narrato da un uomo di studio e al tempo stesso di azione. E se è vero che la prassi è sempre la prima fonte di conoscenza, abbiamo dunque delle pagine che non sviluppano moderni astratti, ma vissuto sudato, fatto di soddisfazioni e di amarezze, di vita vera, insomma.
Il problema irpino è che la viticoltura è la sua virtù con la quale però non vive la maggioranza della popolazione. Non è dunque la principale, o una consistente, forma di reddito, ma attività integrativa di reddito. Non inganni il numero delle aziende, ché delle 200 e passa ufficialmente registrate meno di una quarantina vivono del solo fatturato che riescono a produrre. Nicola lo accenna, e oggi ne siamo tutti convinti, di come sia stato sbagliato puntare tutto sulla industrializzazione dopata dai fondi pubblici nel dopo-terremoto anche se all’epoca nessuno proponeva una ricetta alternativa. Era necessario, allora, affrancarsi dalla campagna, non tornarci. Non capivamo che stavamo segando il ramo al quale eravamo sempre stati seduti.
Oggi questo invece è molto facile da comprendere. Ma la paura di Nicola è che possa essere tardi: non si è creato una sistema di accoglienza turistica e ancora oggi, su cento turisti che arrivano in Campania solo uno, dicono le statistiche, passa da queste parti.
L’incapacità di fare massa, numero, pensare a eventi sempre e solo autoreferenti, l’idea che il mondo dei media sia una sorta di lotteria con il biglietto vincente che solo uno può acquistare, sono i grandi limiti di questa situazione paradossale: vini eterni capaci di sfidare il tempo e territorio praticamente assente.
E questa mancanza di ambizione complessiva, purtroppo, la vediamo riverberare non solo sugli attori politici e istituzionali del momento, ma anche su coloro che sono chiamati a interpretarlo, raccontarlo.
Un senso di sfiducia e di sconfitta dal quale ci si può consolare solo bevendo Taurasi, Fiano, Greco e Coda di Volpe. E adesso anche leggendo queste belle e dense pagine che ci ricordano che, nella buona come nella cattiva sorte, la campagna ha tempi lunghi e che per questo non ci resta che essere ottimisti per il futuro.
2 Commenti
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E’ impossibile non condividire i passaggi fondamentali di questa presentazione soprattutto quando si dice “…Nicola pensava ai vini, ai produttori, alle cantine, al territorio e non agli elettori…” e ancora “…Nicola lo accenna, e oggi ne siamo tutti convinti, di come sia stato sbagliato puntare tutto sulla industrializzazione dopata dai fondi pubblici nel dopo-terremoto…” !!! Ma sarei più ottimista rispetto alle conclusioni, non tutto è perduto…è vero che “…su cento turisti che arrivano in Campania solo uno, dicono le statistiche, passa da queste parti…”, però si potrebbe ancora fare quello che non è mai stato fatto (almeno, come si dovrebbe) : comunicare il territorio con tutto quello che c’è sopra (risorse naturali, aria acqua, verde, prodotti, enogastronomia, borghi antichi, castelli). E in quale forma??? Nell’era del 2.0 sicuramente in rete!!! La mia idea è quella di realizzare un portale pesante, con una massiccia “architrave” nel quale prendano posto tuttti gli attori di un eventuale processo di “alfabetizzazzione turistica” dell’Irpinia (cantine, prodotti e produttori in ambito gastronomico, luoghi d’interesse architettonico-turistico-archeologico, strutture ricettive (alberghi, agriturismi, country-house, B&B) ristoranti, trattorie, pizzerie), tour operators che fanno incoming sul territorio, agenzie di viaggio e quant’altro sia particolarmente funzionale a questo processo. Ovviamente fatto il portale, non è finita lì. C’è bisogno di un lavoro di indicizzazione continuo che ci tenga sempre nelle prime posizioni. E questo naturalmente comporta altri costi. Appunto, con quali risorse fare tutto ciò??? Beh, innanzitutto creare una sorta di “ente unico per la promozione dell’Irpinia” che raggruppi tutti i fondi pubblici destinati a questo scopo che ora si perdono nei rivoli e rivoletti dei vari GAL, Camera di Commercio, Provincia, Consorzio di Tutela, Comuni, Regione ecc. ecc., e poi chiamare alla contribuzione anche le diverse aziende operanti sul territorio. E non venitemi a dire che non siamo pronti all’accoglienza…ci sono tanti imprenditori sul territorio già attrezzati e che già lo fanno, anche se per piccoli numeri!!! Insomma, fate arrivare i turisti, che poi ci penso io ad accoglierli e a portali a pescare sul Calore :D (in giro per questa nostra meravigliosa terra)!!!
ma quale accoglienza, fate solo parole e nient’altro, siete solo dei mangn’ e biv’