Il Cave Bianche Hotel di Favignana e la cucina fusion di Angelo Franzò
di Carmelo Corona
“L’isola è un luogo ideale per ritrovare se stessi, per entrare nel labirinto della coscienza e riflettere sul percorso esatto che ci conduca all’uscita”. Così Giacomo Tachis, enologo corsaro, come Bruno Donati l’ha definito, scrive nel suo libro Sapere di Vino. Sbarcare su un’isola è sempre un’esperienza che ti rimane impressa. È una dimensione diversa, e lo percepisci subito. La civiltà, anche quando presente, lo è quasi sempre in modo misurato, rispettoso. Favignana, sovrana assoluta dell’arcipelago delle Egadi, si dimostra un’isola completa, dove c’è spazio per tutto e tutti, ma senza mai perdere quella piacevole atmosfera che sa un po’ di selvaggio ed incontaminato. Non molte le auto che si vedono in giro. Tante, per fortuna, le biciclette, diffuse soprattutto fra i turisti. Favignana vuol dire mare, porto, pesca. Ma anche vita agreste, fatta di orti stagionali e allevamento di mucche e galline. Caratteristici i muretti di pietra a secco che si possono ammirare mentre la esplori. Fiabesca la fortezza di S. Caterina, che dall’alto del monte omonimo domina l’intera isola.
L’economia legata alla pesca e alla lavorazione del tonno rosso oggi è divenuta marginale e ha assunto ormai una connotazione per lo più folkloristica. Furono i Florio che, a partire dal 1874, anno in cui acquistarono le Isole Egadi, le tonnare e i mari circostanti, avviarono una vera è propria industria fiorente e caratterizzante. Gli stabilimenti per l’inscatolamento del tonno lavorato, oggi restaurati, furono chiusi alla fine degli anni settanta del secolo scorso. L’ultima mattanza è avvenuta nel 2007. Per fortuna è ancora possibile trovare il classico tonno rosso nelle pescherie del centro e magari si riesce persino ad assistere alla macellazione di un tonno bluefin di grossa taglia. L’economia dell’isola è stata anche caratterizzata, in un arco di tempo che va dal 1700 al 1950, dalle cave di calcarenite, la Pietra di Favignana, materiale da costruzione ma anche elemento estetico di grande identificazione culturale. Le diverse cave presenti sull’isola sono divenute nel tempo uno dei simboli più forti e suggestivi di questa perla mediterranea, modellandone in modo rilevante anche le forme del paesaggio. Oggi rappresentano soprattutto una suggestiva attrazione per i turisti desiderosi di vivere un’esperienza unica. Ed è proprio in una di queste cave che, con uno spettacolare e magistrale lavoro di recupero e di archittettura, è stato realizzato il Cave Bianche Hotel, un confortevole e singolare resort dove la pietra sembra segnare, in modo davvero surreale, ogni attimo riguardante la vita che vi scorre dentro. A qualunque ora del giorno e della notte, la luce crea superbe e affascinanti prospettive e ti sembra quasi di essere in piena Monument Valley oppure su un altro pianeta. Ma è senza dubbio il ristorante il vero fiore all’occhiello della struttura, con una cucina d’autore tutta da scoprire ad opera di un bravo chef siciliano emergente: Angelo Franzò. Palermitano, classe 1974, è un figlio d’arte. Il padre era ristoratore a Siracusa, ed è proprio nel ristorante paterno che il giovane chef muove i primi passi, alle prese con la cucina mediterranea classica degli anni novanta. La madre palermitana è stata certamente determinante nella sua formazione culturale: la grande tradizione della cucina panormita, come il cibo di strada e la cucina popolare, che lo accompagneranno sempre e che si riscontrano spesso nei suoi piatti. Ovviamente uno spirito libero ed evoluto come il suo non poteva certo fermarsi alle sarde a beccafico e alla caponata di melanzane. Le sue successive esperienze nel catering ai più alti livelli gli hanno permesso di crescere ed evolversi come professionista. Dentro ogni suo piatto si avverte ricerca e soprattutto grande tensione all’equilibrio. La sua cucina costituisce una scelta di coesione tra diversi contesti e culture. Ama mescolare mare e terra ma soprattutto tipicità siciliane con elementi e spezie internazionali. Sono tutti piatti caratterizzati da materie prime di alta qualità e da cotture tese alla salvaguardia di aspetti organolettici e nutrizionali. Una cucina di evoluzione, dunque, con risultati eccellenti in temini di concettualità e digeribilità, elementi fondamentali del suo approccio alla materia. Ore 13. Inizia il viaggio.
La terra e il mare in un cappuccino, ossia un finto cappuccino con spinaci freschi leggermente passati in padella, lattume fresco prima sbollentato eppoi passato in padella, schiuma di latte, fettine di patata Vitelotte essiccate, foglie di finocchietto selvatico come decorazione. L’uso del lattume, ossia del liquido seminale del tonno, nella cucina trapanese, esprime chiaramente perché questo tunnide a sangue caldo veniva definito “il maiale del mare”. Dal sapore puttosto forte, e dunque ricercato solo dagli appassionati, viene in questo caso egregiamente mitigato dalla schiuma di latte e dalla verdura. Di grande effetto il contrasto bianco/nero nella presentazione sul piatto di ardesia.
Sformatino con Vastedda del Belìce, salsa verde e Pane Nero di Castelvetrano, una sorta di morbido flan con Vastedda del Belìce, tipico formaggio belicino a pasta filata di latte di pecora crudo, che viene grattugiata e incorporata a freddo eppoi il tutto viene passato in forno caldo. In questo modo ne vengono rispettate ed esaltate tutte le sue componenti organolettiche. Grande espressività e delicatezza, oltre che valorizzazione di un altro prodotto tipico di eccellenza: il Pane Nero di Castelvetrano, che viene qui proposto tostato in forno e accompagnato da una delicatissima salsa a base di spinaci.
L’arancino a Favignana, è una rivisitazione del classico arancino. Una semisfera di riso cotto con lime, sale marino integrale di Trapani, pepe nero macinato al momento e zafferano, con all’interno mozzarella di bufala ragusana e ragusano semistagionato. A chiudere, una piccola tartare di gambero rosso di Mazara del Vallo e sullo sfondo la salsina del gambero stesso. E’ in pratica un arancino trapanese che compie un viaggio, senza farsi “contaminare”, in senso culturale, dall’isola che lo accoglie.
Mare e terra e le sue varianti, una vera e propria “tela” di colore arancione, costituita da una bisque di gamberi a freddo su cui lo chef “ha dipinto” pescando da una magnifica tavolozza: una crema di zucchine, il salame di tonno, la bottarga di tonno, le alici, i pomodorini, la Vastedda del Belìce, il gambero rosso di Mazara del Vallo. Tutto a freddo. Un concerto di sapori insolito e sorprendente. Sfumature interessanti, travestite da apparenti distonie. Uno dei piatti che più mi ha incuriosito (sono da sempre amante dei piatti freddi). Caleidoscopico.
Bocconcini di spada e cipolla rossa in agrodolce affumicati al momento, una dadolata di pesce spada con cipolla rossa di Partanna, comune della provincia di Trapani, in un agrodolce che si può definire “perfetto”. La preparazione viene affumicata all’interno del bicchiere con dei sali particolari. Alzando il bicchiere, vedi uscire il fumo… La cosa che più ti colpisce di questa entrée è proprio la insolita delicatezza dell’agrodolce, realizzato bilanciando in modo magistrale, l’aceto e lo zucchero. Eppoi le erbe aromatiche fresche che lo chef coltiva direttamente all’interno del Cave Bianche Hotel. Fare ricerca significa prima di tutto partire dal luogo in cui si opera e nel terreno dell’albergo vengono coltivate molte essenze che poi si utilizzano in cucina, raccolte al momento. Erbe come maggiorana, salvia, rosmarino, erba cipollina, finocchietto, menta. In tal modo anche il luogo in cui si opera caratterizza, anche se in parte, la cucina.
Tartare di tonno con coulis di mela verde e la cialda croccante,
delicatissima e di grande freschezza. Una tartare che si presenta in maniera elegante ma tutti gli ingredienti, come la cialda di pane, l’erba cipollina, i profumi di agrumi, hanno un senso preciso. È un piatto che si collega alla tradizione, come si faceva una volta, ossia accompagnare il tonno con il pane, e senza lasciare nulla nel piatto. E in questo caso la cialda di pane, oltre ad essere elemento cromatico di rottura è soprattutto un elemento di tradizione, seppur rivisitato, che accompagna tutta questa grande complessità di elementi. Il tonno rosso “pinna blu” è trattato con una marinatura leggera, rispettosa, che lo chef definisce di nuova generazione: scorza di limone, arancia, olio extra vergine di oliva Nocellara del Belìce biologico, sale e pepe nero. La coulis di mela verde serve a bilanciare la nota acida. <<In Sicilia siamo fortunati – dice lo chef – abbiamo tutte le materie di mare e terra che ci servono, per il resto serve solo tecnica e fantasia>>.
Maccheroncini al tonno con pomodorino di Pachino confit e la mollica tostata, un piatto classico, di semplice concezione, saporito ed equilibrato. I maccheroncini freschi sono trafilati al bronzo, opera di un pastaio del trapanese. Il tonno viene passato in padella con olio extra vergine di oliva, sale e pepe. La mollica tostata viene ripassata in padella con olio extra vergine di oliva, sale, pepe e caciocavallo semistagionato grattugiato. Un tempo si usava il pecorino.
Spaghetti alla chitarra in salsa alle triglie “l’antico ricordo”, così chiamati perché ricordo della sua nonna materna, non vedente, che riusciva comunque a cucinare senza problemi e a preparare persino la pasta fresca in casa. La ricetta è la stessa: uva passa, pinoli, scalogno, in padella a rosolare e poi si aggiunge la triglia, sfilettata e pulita, pesce di carattere, ma estremamente delicato. Quando scola la pasta (la nonna usava il bucatino) aggiunge al sugo descritto un pesto preparato a parte a base di finocchetto selvatico, pomodori, sale e pepe. Ama apportare delle varianti, come la mollica tostata o le mandorle a scaglie tostate. Il piatto è estremamente saporito e complesso. Struttura, rusticità. Intrigante quella nota dolce che salta fuori in contrasto con la sostenuta sapidità del piatto e dovuta principalmente alla notevole presenza dell’uva sultanina.
Tagliolini neri con gambero rosso di Mazara del Vallo crudo cotto al profumo di limone, a base di pasta fresca al nero di seppia, preparata direttamente dallo chef, un piatto davvero degno di nota con dentro tutta la Sicilia, con il nero di seppia e il gambero rosso di Mazara del Vallo e il profumo del giallo agrume. Il concetto del crudo/cotto, davvero innovativo, serve anche ad assicurare la salvaguardia delle caratteristiche nutrizionali e organolettiche.
Semisfera di riso pilaf speziato alla curcuma e riccioli di calamari su ristretto di nero di seppia, sicuramente tra i piatti più interessanti e impegnativi, espressione di quella cucina regionale contaminata dal tocco internazionale. Un Carnaroli che viene tostato in casseruola con olio extra vergine di oliva, la cipolla, la curcuma e riccioli di calamari. Una colata di nero di seppia ristretto, e sopra di nuovo dei riccioli di calamari. Un’esplosione di decisa aromaticità in tutti i sensi. Davvero notevole.
Panzerotti al ripieno di spigola e agrumi in salsa allo zenzero e bottarga di tonno, grande richiamo alla mediterraneità con i profumi di agrumi, la spigola e la bottarga, su un accattivante sfondo di zenzero e la sua salsa di respiro internazionale a base di panna vegetale. Senza dubbio il primo piatto di maggiore densità e struttura.
Conoscendo la mia passione per la varietà di grano Tumminia, a sorpresa lo chef si presenta a tavola con un primo piatto fuori programma: Busiate di Tumminia cacio e pepe e gambero rosso crudo, piatto apparentemente semplice ma in grado di sbaragliare tutti gli altri. La busiata (pasta tipica del trapanese, che deve il suo nome alla “busa”, il ferro da calza con il quale le massaie si sono sempre aiutate per prepararla) di Tumminia (la stessa tipologia di grano con la cui farina viene fatto il Pane nero di Castelvetrano) e la crudité di gambero rosso, dunque elementi forti dell’area belicina, più il cacio e pepe, condimento da molti considerato di matrice romanesca ma in realtà più siciliano di quanto non si creda (la Sicilia è stata una delle prime regioni a consumare la pasta, e prima dell’avvento del pomodoro, ad opera degli spagnoli, il formaggio è stato uno dei principali condimenti). Il “cacio”, in questo caso, è il caciocavallo ragusano. Il piatto viene rifinito con una ulteriore spolverata di caciocavallo e un filo di olio extravergine di oliva Nocellara del Belìce. Felice intuizione. Un concetto che mi ha conquistato subito.
Cubo di pesce spada cotta al vapore e ratatouille di ortaggi, taglio e cottura del pesce spada riproposte in chiave moderna. Sapori integri e grande delicatezza per un piatto semplice e divertente al tempo stesso.
Filetto di baccalà Morro cotto all’olio di oliva Nocellara del Belìce su purea di patata Vitelotte, oliocottura a 65° per questo delizioso taglio di baccalà ricco di albumina che viene infine asciugato e adagiato su una purea di patata Vitelotte, specie antichissima di patata dalla polpa color viola e originaria dell’America meridionale. Il baccalà rientra a pieno titolo nella tradizione siciliana (in particolare della Sicilia orientale) e lo chef lo proprone in questa versione rivisitata e davvero ben riuscita. Piatto di una delicatezza commovente, due soffici densità che sembrano fatte per stare insieme.
Lembo di spigola affumicato alle erbe aromatiche, insalatina di erba cipollina e il gamberone croccante, erbe aromatiche raccolte nel terreno del Cave Bianche, su filetto di spigola freschissima in forno a 80 °C e un croccante gamberone imperiale avvolto in filo Kataifi, una caratteristica pasta greca. Altro grande piatto, anche questo giocato sulle aromaticità: affumicatura, erbe aromatiche, e due abitanti del mare molto diversi tra loro per sapore, consistenza, materia, che sembrano dialogare con grande interesse, dando origine ad una creazione piacevole e sorprendente.
Filetti di tonno scottati ripassati al sesamo nero e laccati al balsamico di Marsala, classico piatto mediterraneo che potremmo definire anche storico, con il tonno rosso in prima linea, riproposto in una presentazione decisamente moderna e accattivante. I filetti vengono scottati in padella e, spennellati con aceto balsamico di Marsala, vengono trattati per pochi secondi con il cannello da cucina eppoi ripassati nel sesamo nero. Complessità e aromaticità. Decisamente calzante l’accompagnamento con il pomodorino confit.
Parfait di pistacchi, una chiusura di grande effetto tutta all’insegna della sicilianità. Il pistacchio, con la sua fresca e inconfondibile aromaticità riesce ad esprimere la grandiosa risonanza di questo tour de force gastronomico, dando sollievo e facendo recuperare in leggerezza.
Un Ventennale Samperi di De Bartoli ben freddo, per un fanatico del Marsala della mia taglia, rappresenta senza dubbio il punto più alto della parabola, ma anche il variopinto sipario su una grande rappresentazione. Il personale è sorridente, dimostrando sempre gentilezza e disponibilità, amore e passione per il proprio lavoro. Il ristorante è aperto anche agli avventori che non soggiornano in albergo. Il menu degustazione, comprendente 3 antipasti, 3 primi, 3 secondi e dessert costa 45 euro bevande escluse. La carta dei vini comprende circa 80 etichette regionali, suddivise per produttore. Davvero degna di nota la scelta di distillati e liquorosi, tra cui spiccano i Marsala, una valorizzazione di tutto rispetto che ha destato tutta la mia ammirazione. Il mio compagno di viaggio si chiama Dietro Le Case 2011, una stupenda creatura dell’amica Marilena Barbera, vignaiola in Agro di Menfi, che conosco molto bene e che ho già avuto il piacere di recensire in queste pagine web. Una conoscenza che mi piace ricordare è quella con il Maitre d’Hotel Ignazio Sammartano, che è anche uno degli ultimi produttori artigianali di pregiatissima bottarga di tonno rosso. Il padre, all’apice dell’attività, ne produceva circa 3 tonnellate all’anno. Oggi la produzione, sempre di qualità eccelsa, non supera i 500 kili. Mi mostra, non senza orgoglio, una baffa di bottarga del peso eccezionale di 3 kg. Poco prima di avviarmi sulla via del ritorno, scopro in centro un bar dove servono una strepitosa scelta di granite. Una granita al caffè con panna e brioche e mi sembra di ritornare bambino, con la mente che mi riporta ai miei soggiorni estivi dalla nonna materna in quel di Messina, dove la granita al caffè con panna è da sempre una vera specialità. Per ritornare a casa, penso, dovrò sbarcare su un’altra isola. Molto, molto più grande di quella che mi ha ospitato. Il fatto è che, quando ci sei dentro, pensi di essere sulla terraferma. Forse perché è a tutti gli effetti un vero e proprio continente. Forse perché, quando ci sei dentro, ti senti al centro del mondo.
Cave Bianche Hotel Ristorante ****
Strada Comunale Fanfalo
91023 Favignana (TP)
Tel 0923 925451 – Fax 0923 921463
Aperto tutti i giorni da maggio a ottobre
Carte credito: tutte
Un commento
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Tutto buonissimo e bellissimo solo che leggendo ho preso un kilo! Complimenti allo chef e a chi ha scritto l articolo!!