I vini ed i vignaioli “naturali”
di Antonio Di Spirito
Nell’ultimo weekend di gennaio si è celebrato a Roma un evento dedicato ai “Vignaioli Naturali”.
Come appassionato, ho partecipato all’evento ed ancora una volta ho potuto verificare alcuni aspetti: per i vini rossi il divario qualitativo è praticamente impercettibile; non ho trovato vini particolarmente “piacioni” o “pettinati”, ma vini corretti e, taluni, di grandissima qualità, di fascia alta e molto eleganti; per i bianchi, invece, ci sono molte note dolenti, i difetti sono tanti e troppo pochi i vini di alta qualità. Nei rossi si può contare su una materia più consistente e più ricca di antiossidanti, che li rendono meno vulnerabili e meno esposti ad agenti esterni.
Non ho potuto fare a meno di richiamare alla memoria alcune considerazioni, che voglio condividere.
Il vino è il risultato della trasformazione, operata dall’uomo, di un prodotto, l’uva, raccolta in un momento ben preciso del suo percorso naturale.
La frutta altro non è che il ciclico (annuale) tentativo di riproduzione di una pianta; prima che cominci l’autunno, ogni pianta si “attrezza” per l’inverno, lignificando i rami ancora verdi e per la vite questa fase viene chiamata “agostamento”. La polpa contenuta nel frutto è una riserva accumulata e serve ad alimentare i semi in esso contenuto per completare la maturazione, allorquando la linfa prodotta dalla pianta serve ad altre funzioni ed avrebbe difficoltà a raggiungerli.
Il ciclo “naturale” finisce qui!
L’uomo è un terribile predatore; “coglie” il frutto nel momento di piena maturazione e prima che inizi a depauperare le proprie risorse per alimentare i semi, per consumarla o trasformarla.
La natura NON ci offre il vino fatto!
Il processo di trasformazione, governato dall’uomo, è arcinoto: il liquido contenuto nell’acino contiene zuccheri che vengono “attaccati” da alcuni microrganismi, funghi unicellulari chiamati lieviti, i quali consumano quegli zuccheri semplici, glucosio e fruttosio, e rilasciano alcool.
Paradossalmente se un acino è integro non viene attaccato dai lieviti; c’è bisogno della mano dell’uomo per pigiare il grappolo e permettere la fuoruscita del succo.
Allora, mi domando: cos’ha di naturale il vino?
In natura esistono vari tipi di lieviti, tutti ormai ben conosciuti, “tipizzati” e classificati, ma come si sa, la scienza è in continua evoluzione e le nuove conoscenze portano sempre a variare le conoscenze pregresse.
Una classificazione semplificata e comunemente accettata nel mondo enologico, vede i lieviti suddivisi in quattro grandi ceppi.
I lieviti apiculati producono una gran quantità di acido acetico; per fortuna la loro vita si esaurisce quando la concentrazione di alcool raggiunge i quattro gradi centigradi;
I lieviti contaminanti sono piuttosto numerosi e fra questi annoveriamo i brettanomyces; sono presenti soprattutto quando le condizioni igieniche della cantina sono approssimative e generano odori indesiderati nel vino: il “brett”;
I lieviti ossidativi si sviluppano in presenza di ossigeno, poco nei mosti e molto in fase conservativa del vino; per ossidazione dell’alcool, producono acetaldeide e, quindi, acido acetico.
E finalmente parliamo dei lieviti fermentativi, dei quali ricordiamo due specie principali: il Saccharomyces Cerevisiae ed il Saccharomyces Bayanus. Sono un po’ lenti ad entrare in azione, ma sono quelli che determinano la trasformazione del succo d’uva in vino. Il Bayanus, in particolare, viene utilizzato soprattutto per le rifermentazioni (spumanti): riesce a partire anche in presenza di concentrazioni di 12 gradi di alcool e resisti oltre i 16 gradi.
Il vino appena ottenuto dopo il ciclo di fermentazione e maturazione, se non ha subito attacchi rilevanti da lieviti nefasti, andrebbe consumato subito; esemplificando, il processo naturale prevede che il passo successivo sia la formazione di acetaldeide, per diventare, poi, aceto (acido acetico.
Ma a noi piace mantenerlo a lungo nello stato di vino; almeno fino a che non ne possiamo produrne dell’altro nell’annata successiva ed anche oltre.
Secoli fa’ è stata trovata una soluzione a tutti questi inconvenienti: l’anidride solforosa, una potente sostanza antisettica. Il suo utilizzo in fase di vinificazione scongiura l’opera deleteria dei lieviti “cattivi”, ma falcidia anche quelli “buoni”.
Poco male: possiamo utilizzare lieviti “buoni” (Cerevisiae e Bayanus) selezionati e coltivati in laboratorio, per svolgere in maniera “pulita” il processo di trasformazione.
E la stessa anidride solforosa ci viene incontro durante la fase di conservazione, essendo al contempo un potente antiossidante.
In ambedue le funzioni bastano concentrazioni bassissime, dell’ordine di grandezza di molto inferiore ai 100 milligrammi per litro per i vini normali e poco più nei vini dolci.
Bisogna ricordare che in molti alimenti normalmente in commercio (patatine, insaccati, dolci, merendine e cibi conservati in genere) i famosi polifosfati raggiungono concentrazioni di 3-5 grammi per chilogrammo di prodotto.
Ai livelli utilizzati nel vino, quindi, si può parlare solo di presenza di solfiti, che è comunque dannosa per chi è allergico a quella sostanza. Ma, per quella categoria di persone il vino è da evitare a prescindere, in quanto l’anidride solforosa si “sviluppa” spontaneamente durante il processo di fermentazione, anche se in quantità bassissime.
Naturalmente nei vini rossi la necessaria quantità di solforosa è inferiore, data la presenza più o meno massiccia di altre sostanze antiossidanti, come i tannini.
Il vino fa male alla salute dell’uomo, se assunto in quantità smodata, perché contiene ALCOOL.
La molecola dell’alcool non viene “digerita”, né viene eliminata dal nostro organismo; viene assorbita dalle mucose dello stomaco ed entra direttamente in circolo e, quando è in grosse concentrazioni, provoca danni al fegato ed alterazioni comportamentali quando arriva al cervello.
Ci piace perché ci dà ebbrezza, attenua i nostri freni inibitori, ci regala qualche emozione in più.
E poi contiene altre grandi virtù; spesso i medici consigliano qualche bicchiere al giorno perché contiene resvetrarolo, antociani, tannini e, non di poco conto, una sostanza molto preziosa: l’ etilcaffeato (scientificamente provato) uno dei principali antiossidanti fenolici naturali, con effetti benefici sulle malattie cardiovascolari e, soprattutto, capace di abbassare la quantità di radicali liberi nel fegato, contribuendo alla prevenzione del fibroma epatico.
Tutto ciò premesso, è veramente raccapricciante vedere centinaia di persone seguire la “moda” dei vini cosiddetti “naturali” e parlarne in un modo dal quale si evince solo pressappochismo, superficialità e scarsa conoscenza della materia. A sentir loro, scopri anche che quelli sono vini “onesti” e “genuini” e che solo in presenza di quei piccoli difetti (che altro non sono che qualità “diverse”) siamo di fronte ad un vino naturale.
Non puoi fare a meno di ricordare la famosa e liberatoria affermazione del ragionier Ugo Fantozzi: «Per me la corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca»!
E adesso, non mi aspetto i famosi 92 minuti di applausi.
Per me il vino deve essere, innanzitutto, un piacere; può essere “naturale”, “biologico”, “biodinamico” od “onesto”: le puzze, il bret o l’acetaldeide, tanto per citarne alcuni, sono dei difetti dovuti alla disattenzione od alla scarsa cura avuta dal cantiniere!
Più di altri settori, con il vino deve governare il motto “poco, ma buono”!
Ed ora voglio citare qualche ottimo vino assaggiato in quella manifestazione, una delle poche, ahimè, in cui, spesso, ti mesce il vino, mentre te lo racconta, il produttore in persona.
Erano tanti i vini degni di citazione; ho scelto questi:
La Palazzola – Demi-Sec Metodo Tradizionale Classico: quest’anno Stefano Grilli mi ha stupito con quasi tutte le etichette al di sopra della media, con vini consistenti e freschissimi, convincenti e di gran carattere; bottiglie da svuotare in allegra compagnia.
Col di Corte – Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Vigneto di Tobia 2016: fragrante e fresco, ha un sorso pieno e scorrevole, uno di quei vini che ti segna a lungo il palato.
Ciro Picariello – Fiano di Avellino Ciro 906 2014: pensate, un vino di quattro anni e tre mesi, ma ha la freschezza e l’irruenza di un vino giovanissimo; floreale e fruttato al naso, con note di mineralità al naso, il sorso è pieno, elegante, speziato e dominato dall’acidità!
Monumentale il Cesanese di Olevano Romano DOC – Cirsium Riserva 2015 di Damiano Ciolli: fresco, succoso, armonico, tutte le componenti in equilibrio tra loro. E come non citare il fratello minore Silene 2017, che gli tiene botta?
E’ un piacere citare il Neccio 2016 – Cesanese di Olevano Romano DOC di Piero Riccardo e Lorella Reale: è un vino schietto e sincero, potente e duttile, nessuna sbavatura, anzi, armonico ed elegante.
Semplicemente delizioso il Perricone DOC Microcosma 2016 di Marilena Barbera, una delle Vere Donne del Vino, che nulla ha da invidiare a tanti produttori maschi; è potente, morbido e delicato, succoso e speziato, fresco e sapido; un vino che regge molti pranzi.
Notevole il Vino Nobile di Montepulciano DOCG 2015 di Podere Snaguineto: freschezza coniugata con succosità, i tannini sono setosi e la speziatura prolunga l’interminabile persistenza.
Giacomo Fenocchio ha portato due strepitosi Barolo 2015 (Bussia e Villero) ed una Riserva Bussia 90 dì 2013: è un grandissimo vino, molto giovane, eppure già perfettamente fruibile, potente ed elegante, ha tannini setosi ed un sorso deciso.
Alfio Cavallotto da Castiglione Falletto ha portato alcune gemme aziendali e dell’enologia Langarola; innanzitutto una stupefacente Barbera d’Alba DOC Superiore Vigna del Cuculo 2016: rotonda e saporita, con un’acidità sì domata, ma che ricorda molto le barbera che imperavano negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso: acidità pura e tannino; dovevi mandare giù il sorso per assaporare il frutto schietto e croccante. Ma, naturalmente, sono da segnalare il Barolo DOCG Bricco Boschis 2015, la Riserva Bricco Boschis 2012 Vigna San Giuseppe e la Riserva Vignolo 2012: vini puri, taglienti e di grande equilibrio ed eleganza.
Un commento
I commenti sono chiusi.
Perfetto con in più il coraggio della verità.Condivisione anche sui vini e degna conclusione con Cavallotto:una cavalcata in crescendo.Ad Maiora da FM.