I Lambic, le birre più acide che esistano
Degustazione all’Ottavo Nano di Atripalda
di Gaspare Pellecchia
I Lambic, le famose birre “selvagge” provenienti dal Belgio, sono stati giustamente definiti l’anello di congiunzione tra la birra e il vino: difatti durante il tradizionale processo produttivo, grazie ad una serie di rifermentazioni attuate per opera di muffe e batteri autoctoni (una sorta di flor), queste birre acquisiscono colori, profumi e sapori propri più di un vino che di una birra. Ieri sera si è svolta, presso il pub “L’Ottavo Nano” ad Atripalda (un locale a cui vanno i miei complimenti per la grandissima professionalità), una serata straordinaria di degustazione proprio di queste particolari birre. Ospite d’eccezione alcune bottiglie di pregiati Lambic, che sono stati sapientemente abbinati (questa tipologia di birra è difficilmente abbinabile, a causa della sua acidità letteralmente infinita!) ad una serie di piatti, devo dire davvero ben eseguiti, dallo chef della casa: grazie alla progettazione a quattro mani compiuta tra l’esperto birrofilo Francesco Immediata ed il giovane titolare del pub, si è riusciti a creare un accurato percorso degustativo.
Ma passiamo ai fatti: si inizia con la sottile Grand Cru Broucsella (Lambic biologica prodotta dalla Cantillon), vintage 2005. Il calice tecnico da degustazione brilla di un ambrato bellissimo (la birra ha tre anni di invecchiamento); il naso è tanto affascinante quanto ossidato. La bocca è acidula e amara, fresca come un pompelmo, ferma. L’abbinamento è stato “tentato” con una elegante impiattata composta da un salamino di fegatini (di maiale ed agnello), una purea dolceamara di mela profumata al luppolo, un sandwich di melanzane e mortadella di Norcia ed una piccola parmigiana di alici. Un braccio di ferro? senz’altro! ma l’abbinamento si può dire essere stato risolto comunque con grande perizia. Secondo giro: René Cuvée (una Gueuze vecchio stile prodotta da Lindemans), bella schiuma persistente; naso fruttato e di cartone bagnato; l’elegante carbonica cremosità accompagna un’acidità sostenuta ma appagante. L’abbinamento? Estremo e perfetto: risotto (di riso Venere) con salsa alle noci, radicchio e gocce di colatura di alici. Terzo calice, la Vigneronne (un Lambic che Cantillon fa macerare, in botte, con uve Moscato siciliane): ambrata ma velata di fecce fini in sospensione; apre al naso con note animali nettissime, poi grande, legnosa, fenolicità che dona vaniglia e spessore al sorso. Acido citrico puro sulla lingua, retrolfatto fruttato. Abbinata con calamari ripieni di pane nero, noci ed uva passa, e patate allo zafferano. La chiusura? Un abbinamento per cromatismo ci fa da dessert: una Kriek è nel calice, una composizione di confetture di frutti di bosco è nel piatto. Questa Kriek della Cantillon è una Lambic 100% a cui viene tradizionalmente aggiunta una piccola quantità di marasche selvatiche che le conferiscono sia lo splendido colore rosa, buccia di cipolla, brillante, che una dose massiccia di note fruttate, avvertibili in retrolfatto. Mi è parsa meno strutturata delle altre, ma pur sempre estrema sia al naso, ove ha evidenziato note minerali non dissimili da alcuni grandi Sauvignon francesi, che al palato, ovviamente acidulo. L’abbinamento è stato fatto con un biscotto scozzese (pasta frolla poco zuccherata) con ribes, confettura di more boreali e un trittico di quenelles di ricotta di pecora locale (al naturale, con cous cous di ciliegia e con aceto di mele invecchiato 20 anni).
Quest’estate, se volete strabiliare le vostre papille gustative, chiedete un Lambic e poi ditemi com’è andata…