Teverola (Ce). Tabernola Il Clanio. La piccola stanza e la cucina espressiva di Angelo Fabozzo
Via del Lavoro 37
Tel. 0810485497 – 3297779835
www.tabernolailclanio.com
Aperto la sera, a pranzo domenica
Chiuso domenica sera e lunedì
Da 40 a 60 euro
di Tommaso Esposito
Tabernola un tempo fu il nome di Teverola.
Taverna Piccola, cioè, di Aversa, la città normanna che sta lì adagiata sul confine.
Il Clanio era il fiume che attraversava gran parte della Campania Felix, la Liburia, la Terra di Lavoro, per renderla fertile, feconda di messi e ortaggi.
Tabernola è oggi la piccola taverna di Angelo Fabozzo.
Tre tavoli, dodici posti.
Pareti e tavoglie candide.
Un bassorilievo, disegnato dal cuoco, domina la saletta.
E’ la mietitrice della canapa, la pianta che per secoli ha reso ricche le famiglie di qua che la coltivavano, la maciullavano, ne facevano fibra per corde e tessuti.
Poi c’è la bacheca dei rossi e quella dei bianchi.
Pochi vini con una lettura attenta di area e un’elogio dell’ Asprinio.
La vite maritata da queste parti è cultura, allevamento secolare.
Li versa, amorevole, Simona la moglie che ha origini cilentane.
Angelo non ha ancora trenta anni,
Ne aveva dodici quando cominciò a girare tra i fornelli degli zii nella storica trattoria Tre Bastoni, ora Vecchio Monastero, dove si cucina il pesce che arriva ogni giorno.
Cosicché giovinetto si credeva uno chef e parti per Rivignano, dalle parti di Udine, al Morarat.
Lì c’era Filomeno Salerno che gli disse: Ragazzo ricomincia daccapo!
E così fu.
Gavetta, gavetta, gavetta.
Gli servì tanto che Bruno Barbieri lo tenne con sé da capopartita all’Arcade di Villa del Quar a Pedemonte di Verona e poi lo portò a Londra nel Cotidie.
Da lì va con Fabio Baldassarre in Grecia.
E poi eccolo qua in questa sorta di atelier, di food tailoring.
Un sogno, un progetto che diventa provocazione. Quasi.
Vediamo.
Il menu ha proposte di territorio e non disdegna il pescato.
Si comincia con il pane e le sfoglie.
Fatti ora di farina integrale, ora di semola, ora di doppio zero, ora neri, ora bruni, ora dorati.
Vari, insomma, e già buoni.
Scagliozzo di polenta con crema di caciocavallo di Agerola e tartufo bianco del Matese è il benvenuto.
Un ingresso cremoso, all’apparenza rotondo, che però il fritto perfetto di questa farenella grossolana, un po’ di acidità del cacio e il sentore di tartufo rendono stimolante. Bello.
Carpaccio di marchigiana allevata nel Sannio, confettura di olio, insalata di germogli all’aceto di mirtillo e alici di menaica.
Il bello è anche il piatto, enorme , di cristallo.
E il crudo fa la sua smagliante figura, non deluderà le attese del palato.
Tutto gira, oltre la grande materia prima delle carni di Cillo, intorno a questa confettura di olio evo cilentano.
E’ una sorta di maionese invertita (qualche segreto di Barbieri e Baldassare l’avrà pure carpito, no?), in cui il tuorlo d’uovo monta l’olio col glucosio e non viceversa.
Eccola, gustatela, almeno per ora, con gli occhi e poi correte ad assaggiarla.
Fagottini di agnello laticauda e il suo ristretto, stufato di rabarbaro e pistilli di zafferano.
Un primo goloso, profumato di stufato d’agnello racchiuso nello scrigno di pasta tirata a mano con decine di tuorli per kilo di farina.
Bello, calloso e tenace, ma scioglievole, appagante con il lungo protrarsi del fondo tra le papille.
Pasta mista di Vicidomini in zuppa ai fagioli Controne e castagne del Cilento.
Un altro primo goloso.
Ancestrale, quasi.
Appartenuto, cioè, a generazioni di mangiatori di fagioli, tanto per ricordare il dipinto del Carracci, che non conoscevano il pomodoro e che nella minestra bianca calavano un po’ di tutto: dal pane sereticcio alle menuzzaglie di pasta. Alle castagne.
Ottimo, giacché ancora, tuttora piatto moderno.
C’è la faraona dell’aia in carta, ma si opta per le Costine di agnello, carciofo finto arrosto.
Così si resta nella cucina del tempo con questa mammarella violetta che sprigiona sentori di brace e accompagna con la forza della terra, quella polvere di carbone vero dispersa là nell’angolo del piatto, l’agnello.
Infine i dessert. Coccolosi, ma per nulla banali.
C’è il tartufo di gelato al cacao su briciole di babà, un crunch fuori ordinanza dove apprezzi finalmente la bontà di questa pasta senza il rum.
E c’è il Lingotto sale, olio e cioccolato con crema al pistacchio di Bronte.
Immaginatelo, è perfetto dolce, non dolce, dolce salato com’è!
La sfida Angelo l’ha lanciata.
C’è l’elogio di Terra di Lavoro sulla sua piccola tavola, nella sua piccola taverna.
Che tabernola sia e diventi, invece, un’altra grande tavola della Campania.
Lo merita.
Veramente.
3 Commenti
I commenti sono chiusi.
estasi per occhi e papille!
Complimenti Angelo …sei sempre stato in gamba .Ottimi piatti e ben preparati con professionalita.buon lavoro….
Grande angelo hai vinto la tua scommessa complimenti continua così