Sangiovese Purosangue: il Seminario didattico
di Antonio Di Spirito
Roma è la capitale d’Italia: politica, amministrativa, culturale, turistica, ecc., ecc.
Ma Roma è anche lo snodo più importante del vino italiano: non c’è vino italiano che non passa per Roma per essere presentato al grande pubblico; non c’è evento importante ed anteprima che non vengano replicati a Roma; non c’è produttore di vino che non abbia voglia di partecipare ad eventi enologici a Roma.
Ci sono, addirittura, alcuni tipi di eventi che si svolgono solo a Roma.
Sangiovese Purosangue è un evento che è arrivato alla 5^ edizione; nacque infatti nel gennaio 2012 come “Rosso di Montalcino” e trasformatosi via via in “Brunello di Montalcino” nel novembre dello stesso anno; poi in “Sangiovese Toscano” a gennaio 2013; “Sangiovese d’Italia” nel novembre 2013, esteso alle regioni che vanno dall’Emilia Romagna al Lazio che producono vini a base sangiovese. Quest’anno, il 17 e 18 gennaio, si è ripetuto questo evento dedicato ad uno dei vitigni principe dell’enologia italiana, “Sangiovese Purosangue”, con sottotitolo “Vini e Vignaioli d’Italia”. Gli eventi sono caratterizzati non solo dal vitigno e dai vini, ma anche da eventi collaterali e, soprattutto, dai seminari che vengono proposti e dalle storie dei personaggi che hanno aiutato e favorito la crescita di questo vitigno. E qui viene fuori tutta la profonda conoscenza del territorio, l’attenzione e la sensibilità di Davide Bonucci, organizzatore, insieme a Marco Cum per la parte logistica di questi eventi, nell’operare le scelte dei produttori e dei personaggi più importanti legati a questo vitigno. Poetico e toccante fu uno dei seminari proposti nel novembre 2012, dedicato alla figura di Giulio Gambelli, a pochi mesi della sua scomparsa.
In quest’ultimo evento ho partecipato ad un seminario dedicato proprio a figure sconosciute, a personaggi del passato che hanno fatto grande un territorio; che lo hanno sostenuto e “restaurato”, quando ce n’è stato bisogno; e qualche volta sono passati, poi, nel dimenticatoio; fino a parlare di piccoli produttori di oggi con una aspettativa di futuro importante. Ne è venuto fuori un racconto un po’ lungo, ma molto interessante e la cui conoscenza, credo, sia importante per tutti.
Le prime quattro storie rievocano quattro figure del passato e ad ognuna è stato abbinato un vino che in qualche modo vi si ricollega.
La prima figura rievocata è stata quella di Riccardo Paccagnini. Visse ed operò proprio nel periodo in cui Clemente Santi ebbe la felice intuizione di produrre vino da un solo clone di sangiovese ed impose il “Brunello” all’attenzione del mondo enologico. Non erano in molti a produrre quel vino; si ricorda la Fattoria Barbi, la famiglia Padelletti e qualche altro piccolo produttore. Eppure Paccagnini vinse tanti premi e medaglie tra gli anni 1895 e 1905, anche a Bordeaux. Non era un contadino semplice; aveva studiato a Bari ed a Roma; era un enologo molto preparato; ma era un personaggio molto discusso per la sua vita sregolata che, nel 1915, dovette fuggire da Montalcino, abbandonando le vigne. Dopo circa 80 anni di abbandono, Enzo Tiezzi ha rilevato la “Vigna del Soccorso”.
Ed è proprio in relazione a questi fatti, assaggiamo il Vigna Soccorso 2008, un vino che ha ancora tanta vita davanti! Al naso è ciliegioso con degli sbuffi di canfora ed una gradevole ed intensa nota di lauro, che lo rende giovanile. Frutta rossa succosa in bocca; è secco, speziato, tannico ed armonico.
La seconda storia è dedicata alla vita rurale d’altri tempi, anche se non molto remoti; a tutte quelle persone (invisibili) che hanno lavorato duramente le terre del Chianti, hanno mantenuto e migliorato le colture tradizionali pur non essendone i legittimi proprietari. Ed è stato singolare ed affascinante che a raccontarci questo spaccato di vita rurale, sia stato Niccolò Capponi, un membro della famiglia dei conti Capponi, proprietari di Villa Calcinaia, discendente di Niccolò Machiavelli e di Pier Capponi.
Verso la metà degli anni del 1800 i “Signori” presero il vezzo (definita “spocchia romantica” dal buon Niccolò) che non dovessero curare i loro affari (cose troppo effimere) in prima persona; la qual cosa produsse notevoli danni. Nacque così la figura del “fattore”, il quale dirigeva tutte le operazioni legate all’azienda agricola, ivi compreso il rapporto con i mezzadri. Questa figura, durata fino alla eliminazione della mezzadria, determinava la qualità del vino prodotto e ad ogni avvicendamento si determinava una inevitabile cambiamento della qualità.
Il Villa Calcinaia 1969 “è una vecchia cocotte in pensione: ti sa intrattenere mirabilmente, ma ha bisogno di molto tempo per imbellettarsi”; è questa la definizione che ne ha dato Niccolò. Il colore è granato, ma conserva ancora riflessi rubino! Al naso si presenta con frutta rossa in confettura, note ematiche e fumè ed, infine, sbuffi di rose rosse appassite. Al palato è fruttato e fresco, con melograno e ciliegie stramature, ma ancora tutto in equilibrio. Commuove il gradevole ed intenso tannino dopo così tanti anni!
A cavallo degli anni ’60 e ’70 si formò una coppia di “specialisti” nel chiantigiano ed a Montalcino, che fu soprannominata “il sordo ed il muto”; Giulio Gambelli era il “sordo” e si esprimeva a mugugni; ma nessuno mai ha capito bene quanto lo fosse realmente e quanto, invece, lo facesse. Mario Cortevesio era, invece il “muto”: parlava molto poco ed in maniera sforzata per un grosso problema alla gola.
Ambedue erano grandi “palatisti”; sapevano “leggere” perfettamente un vino: sia dal punto di vista analitico (quando mettevano in discussione i valori di acidità e/o gradazione alcolica risultanti dalle analisi, avevano sempre ragione), sia dal punto di vista della composizione del blend: riuscivano a determinare, anche quantitativamente, vitigni e provenienza dei vini di “rinforzo”. Cortevesio nacque ad Alba nel 1928, si diplomò in agronomia e iniziò a lavorare come enologo nella zona del Chianti Classico. Insieme a Gambelli faceva parte della commissione che concedeva le fascette del “Gallo Nero”. Negli anni ’80 e fino al 1994 si occupò dei vini de Il Marroneto. A quel tempo erano ancora pochi i produttori di Brunello affermati a livello internazionale e, grazie a quei personaggi, sono cresciuti tantissimo. Il Marroneto fu acquistata nel 1974 e crebbe in maniera progressiva fino al 1980, l’anno dell’uscita della prima etichetta di brunello!
E il terzo vino è proprio Il Marroneto 2010, un’anteprima assoluta. Ha un bellissimo color rubino intenso; ciliegia e lauro al naso, poi arrivano melograno, note minerali e tabacco. Al palato si alternano i piccoli frutti rossi, terra e grafite; la freschezza e la sapidità si avvertono subito dopo aver assaporato un tannino avvolgente di gran classe. La speziatura che sopraggiunge mi fa capire che il sorso è andato giù: tocca riportare il calice alla bocca.
Bruno Bini, nato a Radda – Loc. Montevertine e recentemente scomparso, è stato cantiniere di Montevertine, il perfetto esecutore di cotanto Chianti Classico ed il cui enologo “collaudatore” era Giulio Gambelli; ancora lui! Questi due signori erano così importanti che i loro nomi erano riportati in etichetta: “Con la collaborazione del cantiniere Bruno Bini e del maestro assaggiatore Giulio Gambelli”.
Il Montevertine 2008 è opera del duo Bini-Gambelli; ha un bellissimo color rubino intenso e caldo; sin dal naso ti dà l’idea del velluto; ricorda la ciliegia matura ed i petali appassiti della rosa “Papa Meilland”: carnosi ed intensamente profumati. Il sorso è dinamico, non ne basta uno per annotare tutte le sensazioni che ti provoca: frutta rossa, una intensa acidità, un tannino vellutato, una buona sapidità … ed un grande equilibrio.
I successivi quattro vini rappresentano quattro produttori emergenti, che già fanno grandi cose, ma hanno pochi mezzi per imporsi all’attenzione del mercato nazionale. Sono gli invisibili di oggi; sono quei produttori fuori dal cono luminoso dei riflettori; produttori molto piccoli, che lavorano con umiltà, spesso in difficoltà perché non hanno risorse umane a sufficienza, non possono acquistare manodopera esterna, non hanno una struttura commerciale e di marketing per affermarsi sul mercato. Almeno, alcuni di loro, operano in luoghi già noti al mondo del vino; altri, invece, non godono ancora di denominazioni prestigiose. Molti di questi hanno fatto in origine la scelta di condurre i vigneti in regime biologico.
La prima storia riguarda l’azienda Il Pratello di Emilio Placci. Le vigne sono state impiantate nel 1991 su un terreno collinare a circa 600 metri d’altezza, su roccia ricoperta da uno strato di marne ed arenarie. Siamo a Modigliana, sull’Appennino Romagnolo quando degrada verso Castrocaro Terme. Tre anni in barriques di terzo e quarto passaggio ed un anno in bottiglia prima della commercializzazione per il Montignano 2002.
Nel calice si presenta in una smagliante ed intensa tonalità di rubino. Al naso ricorda, oltre alla frutta rossa tipica del vitigno, i ramoscelli verdi del sambuco. Al palato è succoso e fresco e, con quel buon tannino intenso e levigato, non accusa certo gli anni dichiarati.
Per la storia successiva si torna in Toscana, nella zona senese del Chianti Classico e precisamente a Castelnuovo Berardenga. E si continua un po’ la storia della mezzadria interrotta poc’anzi. Con la riforma agraria degli anni ’50, ci fu la progressiva eliminazione della mezzadria molti giovani; molti contadini continuarono a lavorare nei poderi come fittavoli o salariati. I loro figli fecero altre scelte: si sono trasferiti in città per svolgere lavori più “sicuri” in fabbriche o in uffici.
A volte, però, ritornano! Ed è questo il caso di Luciano Pagni che, insieme alla moglie Maria Rosaria Guarini, agronomo, hanno acquistato un podere di circa quattro ettari sul torrente Scheggiola, da cui prende il nome (Podere Scheggiola), nel comune di Castelnuovo Berardenga. Lui è l’enologo, e lo fa come ha imparato dal nonno e dal padre: conduzione in regime biologico, lieviti autoctoni e nessuna tecnica particolare in cantina; producono due vini per circa 10.000 bottiglie in tre etichette e meno di 1.000 bottiglie da mezzo litro di olio evo.
Il vino presentato è il Chianti Classico Riserva 2009; nel calice si presenta in veste rubino cupo con qualche riflesso granato. Naso complesso: la frutta rossa e la foglia di lauro sono accompagnate da molti sentori terziari. Il sorso porta al palato tanti piccoli frutti rossi; il tannino è imponente, ma dolce e secco; c’è, poi, un ritorno di frutta e di spezie che, insieme all’acidità, lo rende molto persistente.
Per qualche verso la storia successiva è simile, anzi, parallela alla precedente; e non solo perché i terreni di Cantina Le Trosce sono in Castelnuovo Berardenga, ma perchè il podere fu acquistato nel 1956 con il mezzadro “operativo”. Attualmente è Maurizio Nuti, che ha ereditato quel podere dal padre, a condurre la piccola azienda. Nel tempo sono stati acquistati altri terreni, fino agli attuali sei ettari, di cui tre a vigneti; ma il vecchio podere è rimasto com’era allora: promiscuo, un seminativo vitato con i filari, impiantati oltre cinquanta anni fa, intervallati da una striscia coltivata a grano, poi una fila di olivi. I vitigni utilizzati sono sangiovese al 90% più altri vitigni autoctoni. Non vengono utilizzati prodotti chimici né in vigna, né in cantina, né si usa aggiungere lieviti in fermentazione.
Abbiamo assaggiato il Chianti Classico Le Trosce 2011; è profumato di viole e frutti rossi su note di foglia di lauro. Al palato è fruttato e saporito, fresco e piacevole; ha un tannino imponente, dolce e secco, ma il tutto ben bilanciato ed abbastanza persistente.
Saverio Basagni è il titolare di una piccola e giovane azienda, Monterotondo, di circa 5 ettari di vigneti condotti in regime biologico, situati sui 550 metri di altitudine in Gaiole in Chianti. E’ consapevole delle grandi difficoltà che ha davanti per affermarsi sul mercato con un prodotto come il Chianti Classico, la cui tipicità è a rischio, visto l’invasione dei tanti vitigni internazionali. Il suo Chianti Classico Vaggiolata 2011 ha un classico color rubino intenso; offre profumi di frutta rossa ed una leggera nota erbacea al naso. La bocca si riempie di frutta rossa matura quasi in confettura, ha un tannino avvolgente; è fresco, secco e lungo.
Annibale Parisi e la moglie Elena nel 1970 acquistarono una proprietà tra Montalcino e l’Abbazia di Sant’Antimo e lì costruirono la loro dimora e crearono la loro Azienda NostraVita. Annibale è un uomo “rinascimentale”, una di quelle persone che sa fare di tutto e l’azienda è diventata un luogo dove vino, arte, storia, cultura e natura convivono ad alti livelli; spazia da pittura , scultura, restauro di vecchi manoscritti, riciclo di parti meccaniche di vecchie macchine per inventarne di nuove secondo l’odierna esigenza. Nel 2000 hanno impiantato 2 ettari di vigneto a circa 450 metri di altitudine; tutti i lavori di vigna e cantina sono eseguiti manualmente ed esclusivamente da loro e dalle tre figlie. Il primo Brunello, l’annata 2006, è stata immessa in commercio nel 2011.
Il NostraVita 2007 è rubino con riflessi granato; regala profumi fruttati e dolci e poi foglia di lauro. Al palato è fruttato e secco, il tannino è molto intenso e dolce; e fresco, lungo e speziato. Neanche a dirlo: le etichette sono singolarmente dipinte ed incollate a mano!
Un commento
I commenti sono chiusi.
Grazie Antonio, hai scritto davvero una bella pagina a sulla storia del Sangiovese.
Grazie davvero
Alessandro