Sette grandi Champagne che sfidano il tempo
Capita a volte, raramente in effetti, di poter partecipare ad una degustazione dove i protagonisti sono di grande, grandissimo calibro.
A me è capitato recentemente in un’enoteca di Milano, La Cieca Pink, nata dall’idea di un amico follemente appassionato di vino e con idee visionarie: Michi Mamoli, varesotto d’origine e milanese d’adozione fin dall’infanzia, che qualche anno fa ha aperto un’enoteca in Via Vittadini, sempre a Milano: La Cieca e, sull’onda del successo ottenuto, sancito non solo dai santi bevitori più o meno noti, ma dalla grande frequentazione di produttori che per Michi sono grandi amici e compagni di serate all’insegna del buon bere, ne ha aperta una seconda insieme a quattro donne molto determinate e tutte professioniste in settori diversi: Vera Arcari (medico legale), Sara Moro (avvocato), Monica Casiraghi (chirurgo toracico) e Marta Mungo (attrice), le Pink Girls appunto.
La Cieca Pink offre sempre dei grandi vini ma con un’impronta più femminile, per quanto io non apprezzi molto questo tipo di distinzione, forse perché bevo come un alpino (NdA) e nella loro wine list non mancano mai infatti rosati di ogni genere e di ogni regione, italiana e straniera.
La serata è stata organizzata per pochissimi appassionati che, per una cifra che definirei irrisoria davanti a siffatti mostri, hanno potuto godere di alcune rarità fra gli Champagne più preziosi.
Ma i grossi calibri non erano solo i contenuti delle bottiglie, no di certo.
A condurre la degustazione Michi ha chiamato l’amico Luca Gardini che, ovviamente, non ha bisogno di presentazioni.
Ecco il plotone al completo:
Comandante: Luca Gardini
Primo Ufficiale: Michi Mamoli
Le bottiglie in azione:
- Ayala Extra Quality Brut 1965
- Perrier-Jouët Grand Vin Brut 1975
- Louis Roederer Brut 1975
- Bollinger Special Cuvée Brut 1966
- Krug Grande Cuvée 1978
- Krug Private Cuvée 1964
- Billecart-Salmon BdB 1964
Non tutte le cuvèe erano millesimate quindi la data riportata a fianco è relativa al presumibile anno di imbottigliamento , con una certa tolleranza di 1-3 anni, dopo una attenta ricerca fondata sulle notizie date dagli unici proprietari delle bottiglie, al design dell’etichetta e dal nome degli allora distributori (dove presente), alcuni dei quali non esistono nemmeno più.
Luca prende subito il comando della situazione ed enfatizza il fatto che parecchi di quei vini, quasi tutti invero, lui non li ha mai provati, perlomeno non risalenti a quegli anni. Si tratta quindi di un’emozione che andremo a vivere tutti insieme, senza distinzione di ruoli e di appellativi.
Per lui, e per tutti noi, il vino è prima di tutto convivialità, “partage”, condivisione di un grande piacere.
Non si perderà quindi in presentazioni didattiche, terminologie altisonanti e descrittori olfattivi.
Questi vini meritano ben altro!
Tutte le bottiglie sono state messe al fresco in tempo utile e vengono servite in singoli seau à glace per mantenere la temperatura (anche se non serve perché una volta aperte si svuotano in men che non si dica).
Il primo a essere aperto e servito è l’Ayala, 1965.
Il tappo si rompe ma Luca riesce comunque a togliere l’ultima parte rimasta nel collo della bottiglia.
Temo già per la sua integrità!
Lo versiamo nel bicchiere e quel che colpisce immediatamente è la sua limpidezza, profonda ed estrema.
Nessun perlage, nessuna ombra di “train de bulles”, come ci aspettavamo del resto, ma la luminosità di un colore dorato carico e pieno, come se si volessero concentrare tutti i carati in un solo bicchiere.
L’impatto olfattivo è di distillato e oltre, un vino un po’ cotto, forse non più godibile. Ma lasciamolo respirare…
Dopo tutti quegli anni in bottiglia sarà un po’ anchilosato, no?
Il palato invece è sorprendentemente fresco, piacevole, immediato.
Le note iniziali di brandy si fondono con quelle di crosta di pane tostata, crema pasticcera, tabacco dolce e miele, con qualche spunto di albicocca candita.
E’ talmente sorprendente che devo chiudere gli occhi per cercare di gustarmelo ancora di più.
Luca intanto, stupito tanto quanto noi dalla ancora fremente bellezza di questo vino, si appresta ad aprire la seconda bottiglia, il Perrier-Jouët 1975, che però non ha la stessa sorte fortunata della prima.
In effetti anche se il naso poteva condurre il pensiero ad una replica del primo bicchiere la speranza non si è tramutata in realtà e il vino, definito stanco e proveniente da una annata non particolarmente felice, si rivela un semplice soldato in congedo forzato.
Purtroppo con il Bollinger la valutazione è stata pressoché impossibile perché “le bouchon” ha lasciato traccia nel vino e i profumi, così come il gusto, ne sono stati fortemente penalizzati.
Viene subito versato il Roederer, sempre 1975, che però, in comune con il precedente, ha solo la presunta data di imbottigliamento.
Anche in questo caso colpisce la trasparenza e luminosità nel bicchiere. Giallo oro carico, stracarico e tanto confortante e maturo.
Sentori di caramello, arancia candita, persino curcuma e tanto tanto lime.
E’ sapido questo Champagne, anzi questo vino.
E’ una magnifica prova di quanto possa essere adatto ad un lungo invecchiamento, in barba a tutti i luoghi comuni.
Una riconferma, semmai ve ne fosse bisogno, che è il vino più buono del mondo, quello di cui non posso fare a meno, quello che cerco tutte le volte che mi siedo a tavola, sia a casa che fuori, quello che mi tiene compagnia anche se non sono a tavola e che mi fa sognare appena riesco a liberare la gabbietta di metallo dalla “coiffe” che la riveste.
Arriva anche il tempo di Sua Maestà Krug, con la Private Cuvée, con elegantissima etichetta bianca, presumibilmente degli anni ’60, e la Grande Cuvée, con etichetta oro e amaranto, risalente alla fine degli anni ’70.
La Private Cuvée è la tipologia che ebbe origine dall’antesignana Cuvée N. 1 e che precede la Grande Cuvée, quella che tutti ormai conosciamo.
Per me, e sono sicura di non essere l’unica, la Grande Cuvée, rappresenta in modo preciso e cesellato la quintessenza della filosofia Krug.
In un unico contenitore si congiungono, in modo armonioso, non solo una serie di vini innumerevoli, provenienti dai migliori Cru delle vigne Krug, anche sino a 120, che vanno indietro fino a 12 e più anni, ma anche la filosofia di una famiglia di produttori, la famiglia Krug per l’appunto, che rivendica in ogni singola bottiglia l’unicità di uno Champagne fatto per piacere, per sorprendere, per durare nel tempo e dove la qualità è l’unico obiettivo possibile e perseguibile.
E la coppia d’assi rivela ben presto la sua “grande bellezza”.
Oro colato nel bicchiere, miele e nespola fusi dolcemente nell’aria, sorso pieno di tanta materia croccante. Aristocratica semplicità.
Li guardo e riguardo, annuso, sorseggio. Variazioni percettibili in un battito di ciglia.
Meraviglia, rispetto, emozione. Penso alla storia, penso alla fatica, penso a quanto sono stata fortunata ad averne anche solo una infinitesima parte.
Conscia di quanto sarà difficile surclassare i due capolavori appena bevuti (ma ancora gelosamente conservati nel bicchiere per “sentirne” l’evoluzione), Luca apre l’ultima bottiglia: Billecart Salmon Blanc de Blancs1964.
Questo è un millesimato vero. E che millesimo caspita!
Annata straordinaria in Champagne, une vendange à 5 étoiles.
Appena lo verso nel bicchiere il colore mi sorprende. Non è così ambrato come gli altri.
Ritorna la grande limpidezza che invece è stato il minimo comune denominatore di tutti gli Champagne della serata.
Il profumo invece mi fa sobbalzare. Non vi trovo nessuno dei sentori che mi sarei aspettata e che avevo sentito negli altri.
Scopro invece una grande e sorprendente finezza. Profumi di pesca sciroppata e di cedro, di confettini zuccherati e di mimosa.
Il sorso è snello, vibrante, piacevole con una freschezza senza pari che prende al centro della bocca per spostarsi più ai lati con una persistenza affascinante.
Classe vera, pura. Eleganza senza tempo.
Avete presente Grace Kelly in “Caccia al ladro”?
Questo solo per darvi una minima idea dell’immagine immediata che mi è sopravvenuta bevendo questo Champagne, sicuramente fra i migliori assaggi della mia vita.
E penso che in questo momento non avrei voluto essere da nessun’altra parte se non esattamente in quel posto, con quegli amici e con quei vini che sono, senza minima ombra di dubbio, apprezzati dai palati più allenati.
Gli uomini creano storie e le raccontano. I vini le ricordano e le perpetuano.
I grandi vini la fanno la storia, e non hanno bisogno di uomini che ne parlano, o che ne scrivono, anche se a noi piace questo esercizio per avere una testimonianza da condividere e da lasciare a chi verrà.
I grandi vini non temono il tempo perché diventa il loro alleato più prezioso e una prova evidente che il presente si costruisce sul passato, quello fatto dai grandi uomini.
Grazie Michi, grazie Luca. Questo è un pezzo di vita che custodirò per sempre.
37 Commenti
I commenti sono chiusi.
La classe non è acqua,ma champagne e non ,come ama ripetere il buon Luca,Francicorta (con buona pace degli amici che pure lavorano con impegno e serietà in curtefranca).La presenza poi del nostro Gardini internazionale assicura divertimento e convivialità nonostante un piccolo scotto da pagare alle sue avance a volte un po spinte verso le signore presenti.Complimenti vivissimi con un pizzico d’invidia da Francesco Mondelli.
Sentori di caramello, di distillato, di brandy? Ma ci state e vi state prendendo per il culo? Io quando apro uno champagne marsalato bestemmio in aramaico e voi vi beate ossidati e soddisfatti. La vostra e’ necrofilia enologica, e forse Antonio Albanese non ha tutti i torti quando dice che avete qualche rotella fuori posto.
Necrofilia enologica è bella, ma non mi spingerei fino a quel punto. Credo nel senso di privilegio descritto nel post, così come nella curiosità appassionata che guida l’esperto, il collezionista, l’amatore. Ma c’è una frase che mi colpisce: “è sapido questo Champagne, anzi questo vino”. Non è così ovvia, ché uno Champagne altro non è che vino, ma tradisce una distinzione inconscia, una mutazione subliminale nel sentimento, direi nella urgenza psicologica che accompagna un bicchiere di Champagne. Forse si voleva dire “vino fermo” ? E’ un piano inclinato pericoloso quello per cui Champagne anche non così maturi (ah ma lo Champagne non è già maturo alla nascita? e dopo cos’è?) tendono già nella vinificazione e nella preparazione della cuvée, a essere o sembrare vini fermi, abdicando all’acidità e all’effervescenza, cercando miele e morbidezza, venendo meno non solo alla propria identità, ma anche a un sentimento primario e primitivo, per nulla secondario, per cui si beve Champagne: la gioia, lo sprofondo onnipotente del tutto e subito. Di Champagne e di vita.
Grazie Dame del racconto: nitido, scandito, dinamico, assolutamente chiaro e leggiadro: come un superbo Champagne!
Buongiorno Fabrizio,
nella vinificazione e nell’assemblaggio gli Champagne non “tendono” a sembrare vini fermi. Lo sono.
E sono vini che hanno subito la prima fermentazione, ossia l’unica che interviene nei vini fermi.
Sono quindi vini giovani, figli, ad eccezione dei vini di riserva che interverranno, della vendemmia di qualche mese precedente.
Ecco perché lo Champagne prima di essere tale é vino.
E ritorna vino nella sua interezza e nella sua grandezza anche in tempi di maturitá, intesa in senso positivo, quando si tratta di grandi Champagne fatti per sostenere il tempo e i cambiamenti che porta con sé.
L’identitá dello Champagne non é unica e non é il concetto standard e popolare di vino frizzante immediato. É un vino che esprime maggiore profonditá e rispetto..
Carissimo Veleno,
Con un nickname del genere mi pare superfluo argomentare di Champagne. E abbia pazienza, avremmo di meglio da fare che prenderla per il…naso.
Un cordiale saluto.
grazie Fabio,
detto da un grande conoscitore come te é un onore.
La chiave del problema e` lessicale o psicolessicale: voi scrivete Champagne ed io champagne. Voi siete i Sacerdoti di un Dio. Io solo un eretico.
Gentile Livia, ho scritto “già” nella vinificazione, intendendo che sin da queste fasi (o ancor prima, con vendemmie tardive), attraverso per esempio lunghi passaggi in legno, si concepiscono quelli che alla seconda fermentazione saranno comunque Champagne (lo scrivo maiuscolo perché è un vino e non un vitigno) più carichi di colore, addirittura ambrati, più morbidi, meno effervescenti, con complessità più esoteriche, quali quelle che per forza di cose, lei ci ha così ben descritto nel suo post. Che, ripeto, è assolutamente comprensibile, vista l’età dei vini, ma non totalmente condivisibile se attraverso quelle stesse sensazioni volessimo creare un paradigma di Champagne. Credo che questo non debba accadere, pur nella consapevolezza che ogni tempo ha i suoi riferimenti (basti pensare che cento anni fa lo Champagne era di fatto dolce) e che il nostro vino ha in sé i mezzi storici e culturali per mostrare infinite sfaccettature attraverso le infinite variabili e varianti che il metodo stesso consente. Il problema che volevo sollevare è la tendenza a scivolare verso un vino fermo con tratti che allo Champagne non dovrebbero appartenere, perché allora bevo un Borgogna, per dire. Questo non significa affatto che io non comprenda la grandezza e la profondità del nostro vino, anzi, la vorrei cercare e trovare senza eccessi di sovrastrutture modaiole, e tanto meno che io cerchi in uno Champagne “il concetto standard e popolare di vino frizzante immediato”: il vino non lo merita e non lo merito io ( a meno che non abbia casualmente letto da qualche parte, magari nello scambiar pareri con Albert Sapere, tweet in cui belle bottiglie di Champagne vengono amorevolmente definite “prosecchini”) ;-)
Vediamo se ho capito bene, allora praticamente in tutti gli “champagne” degustati non si parla di bollicine/perlage, il che mi fa intuire che di bolle non ve ne fosse più traccia. il secondo mi pare fosse poco bevibile anche come vino fermo, il terzo sapeva di tappo. dai colori che si vedono nelle foto è chiaro, ma è ovvio anche solo per il tempo trascorso dal degorgement,, che si trattasse di champagne che non erano più bevibili, quantomeno come tali. poi se ci vogliamo raccontare la storia che prima di tutto sono vini fermi, che è un’esperienza sublime bere qualcosa che da tempo non è più come dovrebbe essere, per carità facciamo pure. ognuno è libero di divertirsi come crede. l’unica cosa che trovo davvero stonata è che tutto ciò sia stato organizzato non come serata tra amici che hanno trovato in qualche scantinato delle bottiglie dimenticate del nonno ma addirittura come degustazione a pagamento. faccio davvero fatica a pensare come si possa chiedere a qualcuno di pagare per bere le bottiglie sopra descritte…
L’ultimo commento mi sembra molto sensato.
Champagne senza bolle (dunque di cosa parliamo?), sentori di brandy e distallati, colori che ricordano l’amaranto. vini “cotti” “non più godibili” uno con il difetto del tappo.
Il tutto a pagamento.
Ma perchè? cosa si vuole esaltare?
Mi sembra una tavolata con dei vini dimenticati, tenuti chissà dove e con sboccature non citate (almeno nell’articolo).
Mi sembra un evento che crea molta immagine e poca sostanza critica della materia, anzi cerca di valorizzare lo champagne laddove non lo si può valorizzare.
Buon distillato a tutti
Signora Riva, potrebbe argomentare di champagne con Massimo e Tommaso, che con altra forma e parole hanno sollevato le mie stesse obiezioni, ma non hanno nickname impresentabili. Cordiali saluti.
Buonasera Fabrizio,
amo i prosecchini di cui Albert Sapere ci parla spesso e che ha il piacere di mescere nel suo bicchiere. A volte lo invidio molto!
Sono anche d’accordo con lei che con la mia degustazione e descrizione di tali Champagne (e lei ha perfettamente ragione quando scrive che ci vuole la maiuscola in quanto nome proprio di vino, e non di vitigno, cosa evidenziata in modo perfetto quando esisteva ancora il Prosecco prodotto con il vitigno prosecco, ora divenuto glera), non volevo assolutamente creare un paradigma di Champagne che fosse in antitesi a quello ben consolidato e corretto secondo cui questo vino abbia nelle bollicine una delle sue caratteristiche principali. Tutt’altro.
Dovessero servirmi uno Champagne di annate attualmente in commercio e che avesse perso il suo perlage, lo rimanderei indietro senza alcun dubbio sulla sua pessima tenuta.
Quello che invece volevo sottolineare con la mia descrizione (e la ringrazio per il complimento) è che nonostante il tempo abbia influito sull’effervescenza degli Champagne in modo piuttosto evidente, facendo perdere quindi ogni traccia di “train de bulles”, il vino fosse completamente integro, con i segni evidenti di maturità che hanno trasformato i profumi e gli aromi in un ventaglio estremamente più complesso e, sicuramente, più difficile da comprendere nella sua immediatezza.
Ciononostante la freschezza e la sapidità degli Champagne era estremamente presente e viva dando, ancora una volta, testimonianza di quanto possa essere grande questo vino e di quanto il tempo possa comunque mantenere integre (con le dovute eccezioni che ho citato) le sue qualità originali.
Certo, non si tratta di Champagne facilmente approcciabili, ma per un palato allenato e desideroso di andare oltre gli standard conosciuti, le posso garantire che si è trattato di un’esperienza al di sopra delle mie aspettative.
Ogni Chef de Cave con cui avrà parlato, o avrà modo di parlare, le dirà che prima di essere Champagne uno Champagne è vino e che quindi, oltre alle bollicine, che corrono il rischio di svanire a causa del tempo, dovrà presentare le stesse caratteristiche.
E quindi si, a volte è come bere un Borgogna. Ben fatto ovviamente.
io credo che continuerò a bere questi “Prosecchini” :-)
Massimo buonasera, Tommaso buonasera, Veleno buonasera,
parte delle vostre perplessità credo siano state da me spiegate nella risposta a Fabrizio.
Lo Champagne, quello in commercio, quello che trovate al ristorante e sugli scaffali delle enoteche, ha e deve avere le bollicine, non c’è dubbio. Se non le trovate rimandate la bottiglia al mittente, ve l’ha data sbagliata.
Gli Champagne in questione invece, che sono destinati ad un pubblico allenato e per palati che vogliono capire fino in fondo la possibile evoluzione e mantenimento di un vino, non sono più in commercio.
E se lo sono i prezzi richiesti (fate un giro su WineSearcher) sono quasi proibitivi.
La data di dégorgement non era indicata. Allora non veniva mai messa sulla bottiglia, e anche ora non sempre vi è questa indicazione sulla retro etichetta.
A uno Champagne che ha 40/50 anni si può “perdonare” il fatto che non abbia più le bollicine, e per chi conosce gli Champagne non è una sorpresa.
Ma l’anima del vino, la sua freschezza e la sua spalla acida, quella che fa salivare e che mantiene viva la bocca all’assaggio, è rimasta immutata (con le dovute eccezioni che ho citato).
E questo è frutto di una grandissima materia prima, di un perfetto affinamento e invecchiamento del vino.
Ho parlato poi di colori ambrati, come sarebbe naturale che un vino diventasse per effetto dell’ossigeno intervenuto nel tempo. Il colore amaranto era riferito all’etichetta della Grande Cuvée di Krug, ma forse la lettura è stata troppo veloce :-)
Nessun sentore di ossidazione anzi, ho più volte usato le parole freschezza, sapidità, lime…
Il vino che apparentemente era “cotto” alla prima olfazione, dopo aver respirato nel bicchiere, ha ripreso la sua splendida forma e di cotto c’era solo il mio sguardo di sorpresa riassaggiandolo dopo 10 minuti.
Massimo, un appunto: come dicevo prima non ho parlato di date di dégorgement perché non erano disponibili, ma lei crede che dopo la sboccatura lo Champagne abbia poca vita?
Se così fosse mi saprebbe spiegare perché Krug vende il suo Krug Collection 1985 ad esempio, con sboccatura risalente anche al 1995 e mantenuto in cantina successivamente per altri 20 anni, a circa 700€
E ancora, perché Dom Pérignon è uscito con il DP P3 che sosta come minimo da 20 a 30 anni sui lieviti prima di essere sboccato e, dopo un altro periodo di attesa in cantina, essere messo in commercio a circa 300€.
Forse sono tutti impazziti, e magari potremmo proporre loro di fornire queste bottiglie gratis (tanto sono scadute) per le nostre bevute fra amici nostalgici!
Il fatto che poi questa degustazione fosse a pagamento credo che prima di tutto non debba sorprendere considerando la rarità degli Champagne e, in secondo luogo, penso che ognuno di noi sia libero di destinare la propria pecunia in amenità che ritiene più confacenti alla sue passioni.
Immagino, a questo punto, che Grace Kelly non fosse la donna dei vostri sogni.
Un caro saluto.
Infatti Livia io non ho mai messo in dubbio il senso e la profondità della degustazione, specie perché almeno nei cinque casi integri lei non ha mancato di esaltare sapidità e freschezza, quindi la assoluta bevibilitá. Ho solo espresso un timore, chè anche a me piaceva scoprire certe sfumature da vino fermo, fino a quando non ho avuto sentore di un vestito prestabilito, di un gusto in modificazione, in uno scarto simile alla barrique anni 90. Di per sé non disprezzo e anzi accolgo con favore nuovi punti di vista, ma questo mi lascia perplesso e son contento di aver stimolato una discussione e letto il suo parere. Invidiandola ovviamente per l’opportunità che le è stata concessa. Saluti
,
Fabrizio,
apprezzo sempre molto queste discussioni che permettono di confrontarsi in modo piacevole sulle diverse esperienze vissute con il vino.
Perché mi scrive di vestito prestabilito? di un gusto in modificazione?
Il gusto, quello personale, cambia, per lo meno per quel che mi riguarda da vicino.
Il gusto, del vino, si trasforma anch’esso. Il vino vive, comunque, anche in bottiglia, e magari anche per lungo tempo.
Una buona serata.
Sig.ra Riva, cosa fa, cerca di prendere per i fondelli pensando di essere l’unica a intendermene di vino? DP P3 esce dopo 20/30 anni sui lieviti, non dopo 20/30 anni in bottiglia, nel qual caso sarebbe difficilmente bevibile. E krug colle tuoi esce dopo ben più di 10 in bottiglia (forse lo confonde con il vintage) perciò dubito che l’85 abbia sboccatura ’95.
Dai, su facciamo i bravi…
E comunque è chiaro che ognuno è libero di gettare al vento i propri quattrini come crede, ma è altrettanto chiaro che poca e’ la serietà di Proporre una degustazione del genere a pagamento.
A quando una bella degustazione, a pagamento data la rarità, di rosati salentini degli anni ’80?
Massimo,
certo che no. Devo ancora studiare ed imparare e non voglio insegnare nulla a nessuno.
Secondo lei quando uno Champagne passa 20/30 anni sui lieviti dove crede che li passi? In autoclave?? o nelle botti? o nelle cisterne d’acciaio?
Credo lei abbia bisogno di un ripassino :-)
Non ho scritto che il Krug Collection esce dopo 10 anni di bottiglia, rilegga e presti maggiore attenzione a quanto ho scritto.
Non abbia timori, non confondo il Collection con il Vintage, ne ho bevuti a sufficienza per saperli distinguere (fosse anche solo per l’etichetta). La sboccatura, nel caso del Collection, non è sintomatica dell’uscita in commercio del vino, come invece succede per il Vintage.
Faccia lei il bravino e ripassi anche in questo caso, ma dalle fonti giuste però!!
Se dovesse organizzare una bella serata con i rosati salentini degli anni ’80 sarò la prima ad iscrivermi e a pagare (in anticipo) la mia quota di partecipazione. A patto che le bottiglie abbiano la data di dégorgement e a presentarle sia Albano Carrisi in persona.
Le auguro una frizzante giornata.
ps: A proposito: ieri sera mi sono gustata un Krug 1995 che aveva ancora le bollicine. L’ho pensata sa? ;-)
Sig.ra Riva, lei continua a scrivere cose un po’ confuse in modo che il lettore disattento magari ci casca pure. Io non devo fare nessun ripassino fortunatamente perché di champagne ne so a sufficienza, quantomeno per sapere distinguere il tempo passato in bottiglia sui lieviti da quello che trascorre dopo il degorgement….
Per quanto riguarda krug 95 ci mancherebbe che non fosse più che buono contando che è una sboccatura di pochi anni fa, non certo di 30 o 40 come le bottiglie della degustazione in questione.
Dame credo che Lei stia rispondendo in maniera sbagliata, non affrontando direttamente i quesiti che Le vengono posti.
1) un esercizio pubblico è libero di fare degustazioni ma accettare denaro per servire una bevanda che non è definibile champagne non è corretto. Lo champagne ha determinate caratteristiche che ben si conoscono.
Poco o nulla di ciò è venuto fuori dal suo esaltante racconto. quello non era Champagne.
Fosse stata una serata tra amici, privata, dove per scherzo si aprono le bottiglie dimenticate in cantina avrei capito.
Accettare denaro per servire Champagne non più “godibile” o “cotto” mi sembra un’azione di basso stile per non dire altro.
2)la seconda critica riguarda il suo articolo che come dicevo esalta i calici assaggiati e fa della filosofia sul vino che diventa champagne e poi torna vino. Lei continua con la filosofia condendo il tutto attraverso dettagli sul tempo e il romanticismo di avere bottiglie non reperibili sul mercato ordinario.
Questa esaltazione di Champagne NON buono, è un brutto biglietto da visita per l’informazione che questo sito e Lei dovresti fare. Ciò che ha bevuto era da assaggiare e buttare nel lavandino.
Poi se vogliamo cadere in discorsi da bar su cosa ha bevuto ieri sera o su altre etichette che nulla hanno a che fare con l’articolo continuate pure, io me ne tiro educatamente fuori.
Gentile signora Riva, la Grace Kelly della foto potrebbe benissimo essere la donna dei miei sogni, ma tutta la classe e l’eleganza non basterebbero ad una Grace Kelly diciamo ottantenne per entrare nei miei sogni…
Mi sembra che la questione stia prendendo una piega manichea, con sbandieramento di verità assolute che non prevedono variazione e sfumature, tanto meno che ognuno di noi possa avere gusti e idee diverse ( e spendere denaro per assecondarli). Per parte mia mi sembra chiaro che, prendendo spunto dal pezzo, ho posto un problema di modificazione del gusto e della costruzione di alcuni Champagne, anche di prima uscita: lo ritengo pericoloso, modaiolo (sulla spinta del vino naturale, che già sta scemando) ma è una mia idea. Certamente, se qualcuno ha mai bevuto qualcosa di simile a quelle bottiglie, dovrebbe accettare e capire che sono bicchieri assolutamente in piedi, pienamente bevibili, profondamente intriganti (come peraltro sottolineato nel post) per chi vuole approfondire, avendo gli strumenti culturali e tecnici per farlo, e conoscere, seguendo la propria sana curiosità. Parlare di lavandini è una cazzata, così come ironizzare sulla filosofia e su un approccio umanistico al vino. Può stare o meno bene ciò che ha scritto Livia, si può cercare di mettere paletti tra affinamento sui lieviti e sboccatura, si può aprire un mondo sulla fruizione dello Champagne dopo il degorgement ( e forse sì che si farebbe informazione) ma certamente non si può accettare un approccio talebano, volutamente scostante, integralista per partito preso. Sembra quello che di fronte a un piatto di Bottura dice la fatidica frase “ma vuoi mettere uno spaghetto aio e oio…?”. Questo sì che è un modo di pensare morto e sepolto.
Buonasera Signori,
grazie ancora per i Vostri commenti.
Massimo, lei non è un lettore disattento. Lei è un lettore proprio disinformato. E la differenza è sostanziale.
Tommaso lei continui a credere quello che più le fa piacere. Io continuo a bere gli Champagne che lei butta nel lavandino.
Io eludo le domande? Quali?
Le vostre non sono domande sono un puro e gratuito “j’accuse” che non dà modo di dialogare e confrontarsi su questioni che potrebbero fare scaturire informazioni utili a tutti (tanto per mutuare la sua espressione).
E non abbia pena: questo sito, e il suo gestore, conoscono la mia penna e conoscono la mia preparazione su questa materia.
Veleno, gli Champagne bevuti potrebbero essere paragonati ad una cinquantenne ancora piacevole e affascinante anche se sicuramente non più agile come una ragazzina.
Fabrizio ho apprezzato il nostro scambio di idee, anche se abbiamo vedute diverse.
E non perda troppo tempo, dubito molto che le persone in questione possano anche solo intuire la differenza fra Bottura e la trattoria delle pensioni Garni sparse un po’ in tutta Italia.
Le auguro una piacevole serata.
Livia, la prego.
Non perda tempo con i provocatori. Bla bla bla…bla, bla bla… Se solo le persone scrivessero meno e bevessero più Champagne…. anziché Procecco…Il grande vino non è per tutti, lo è solo per i sapienti…per fortuna.
Una discussione molto interessante, a parte i toni troppo accesi di qualcuno. Se ci capissi di più sarei intervenuto anch’io. Complimenti a Livia e a Fabrizio per i loro dettagliati commenti.
Ecco, abbiamo fatto incazzare i Sacerdoti del Dio Champagne. I Sapienti hanno decretato la nostra ignoranza, solo Essi possono accostare le labbra al prezioso nettare e sentenziare la Verità. Nella mia umile condizione di eretico, però, vorrei consigliare a Fabio di assaggiare il prosecco millesimato di Nino Franco. Lungi fa ma fare paragoni irriverenti, ma così, giusto per fargli far pace col prosecco
Comunque una piccola annotazione posso farla pure io: un paio di anni fa abbiamo aperto una magnum di Krug anzianotta in un noto ristorante versiliese :-) ed era diventata vino; un’altra magnum della stessa partita, aperta un paio di mesi dopo al Four Seasons, era invece perfetta. Avercene di bòcce così…
Beh…. che dire…. io c’ero… ho pagato…..e vi posso garantire che, di sicuro non mi aspettavo le bolle, ma neppure di trovare dei vini che avevano ancora qualcosa da poter raccontare e condividere.
Se fossero stati altri vini e non Champagne blasonati, probabilmente non mi avrebbero incuriosito più di tanto, però è stata una bellissima esperienza che mi è servita a capire qualcosa in più.
Comunque Livia….. io sono d’accordo con te….. e probabilmente, chi non era presente, non potrà mai capire……..
Allora: c’era Gardini, le grandi marche di champagne, l’enoteca giusta, l’atmosfera giusta e chi era presente ha vissuto una serata particolare, e ciò che si è degustato non poteva essere da meno. Ora mi resta una curiosità che purtroppo non potrà essere soddisfatta: far degustare a ognuno dei presenti, allla cieca, in una normale degustazione uno degli champagne assagggiati durante la serata ed ascoltarne il commento. Sarebbe lo stesso? Io qualche dubbio ce l’ho.
Scusa Veleno…..ma se tu sai a priori di fare una degustazione con degli champagne che hanno dai 40 ai 60 anni non puoi di certo aspettarti,di trovarti nel bicchiere le migliori “bollicine” della tua vita……però io sono rimasto comunque impressionato dalla potenzialità di questi vini, anche dopo così tanto tempo. Anche perché ti posso garantire che ho buttato via vini e bolle con molti meno anni….poi… sulla degustazione alla cieca….. eravamo già li….ah..ah..ah..ah….. A parte gli scherzi….degustati alla cieca sicuramente avrei cannato il tipo di vino, ma sicuramente non li avrei disprezzati….sarebbe stato impossibile…..purtroppo, ripeto, chi non c’era non potrà mai capire….
Ma se era una serata su vini, molto maturi, probabilmente chi e’ andato lo ha fatto anche, se non priprio per provare ahalcosa differente, magari sensazioni gustolfattive mai provate orina.
E’naturale siano “prodotti”che hanno qualche difettuccio iniziale alla stappatura, qualche bottiglia era magari da buttare o quasi, ma questo
(scusate e’partita mail mentre scrivo con telelef.) qualcuna si, ma quante volte son da buttare bottiglie recenti( e mica so a gratis).
Capisco cbe ad alcuni, possa sembrare pure un po’ troppo snob spendere soldi per ” vecchie” bottiglie, ma chi ci va cerca proprio di avere qualche nuovo elemento bella propria memoria gustolfattiva, bottiglie mai assaggiate prima nemmeno da uno cone Gardini che stara’ bevendo di tutto e di piu’ specie da quando e’ amcora piu’ noto( e onnipresente ovunque si e’ un po gonfiato anche lui),
Ora sara’ che vi stara’ antipatico il Luca, forse pure la lady, sara’ che vi soffermate un po troppo sull’aspetto tecnico e sui cosiddetti difetti, sra’ che anch’io potrei opinare sull’ effettivo valore ( ma chi le ha mai bevute, neanche sapevo esistessero ancora) ma mi sembrste un po troppo sbilanciati sui difetti tecnici dei vini, ma provate un po a pensare che pur aver perso l’effervescenza quelle bottiglie hanno dato sensazioni, aromi, sapori , ( e colori) che non si trovano facilmente in nessun bicchiere pure se vi degustate dai 3000 vini all’anno in su. Non so quanto sia costata, ma secondo me se fosse stata dalle vostre patti, alla fegustazione, per attrazione diretta o indiretta, per curiosita’ o solo per rompere, magari ci sareste andati puhre voi pur preferendo vini agli antipodi avreste pagato, si pagato pure per “snadare”un difetto nuovo, di 30 o 40 anni, fondersi con altri arom.A qualcuno piace, non penso vendano solo chiacchiere, ma descrivono un esperienza non facilmente replicabile.Quest’e’ secondo me.Bonanott’,
magari nel testo o nei commenti le informazioni che vado a chiedere ci sono già ma leggendo velocemente non le ho viste
Dove sono state reperite le bottiglie bevute?
Quanto il costo della degustazione a testa?
Grazie
Sono un altro Alberto
Buonasera Livia
E possibile avere risposta alle domande che ho fatto?
Grazie
sicuramente non da uno scantinato dimenticato del nonno.
sicuramente una cifra simbolica tipo il prezzo di un caffè perchè, non è possibile dare un valore a queste bottiglie.
sicuramente è meglio bere champagne senza bolle anzichè vini fermi (penso ai grandi francesi o piemontesi) di 40-60 anni.
salvo la curiosità personale ma tutto il resto mi sembra roba da ridere.
se la dame du vin fosse disposta a dirci anche privatamente prezzo della degustazione e provenienza delle bottiglie non ci offendiamo.
altrimenti rimaniamo con questo magnifico articolo.