Grand Chais France: tutti i vini del gruppo dalla Francia e dal Mondo
di Raffaele Mosca
Prima Bordeaux En Primeur, poi la Borgogna e adesso tutto il resto del mondo. Continua la campagna italiana di Grand Chais de France – il colosso che commercializza 1 bottiglia di vino francese su 4 vendute nel mondo – e questa volta, nella cornice del Palazzo Varignana di Castel San Pietro Terme (BO), vanno in scena tutte le aziende di proprietà della famiglia Hellfrich.
Poche realtà nel mondo possono offrire una panoramica così onnicomprensiva sul vino francese e non solo: dalla Jura alla Linguadoca, passando per Rodano e Loira, il gruppo, che fattura oltre un miliardo di euro l’anno a livello globale, ha un suo avamposto in tutte le grande denominazioni. E i fil rouge che emergono dall’assaggio dei vini sono proprio quelli che cerchiamo – e che, ad essere onesti, non tutti i grandi gruppi riescono ad offrire – ovvero l’aderenza territoriale e un rapporto qualità-prezzo interessante.
Detto questo, il modo migliore per raccontare questo tour è proprio attraverso i vini in degustazione. Ecco le nostre impressioni regione per regione, etichetta per etichetta.
ALSAZIA
L’epopea dalla famiglia Helfrich è partita da qui negli anni 70’, ed è qui che ha sede uno dei fiori all’occhiello del gruppo: Arthur Metz, uno dei più importanti produttori di Cremant D’Alsace.
Arthur Metz – Perlè Brut.
100% Auxerrois – autoctono alsaziano imparentato con lo Chardonnay – che sosta per 24 mesi sui lieviti. Il profumo è di burro e gommapane, pompelmo, ribes bianco ed erbe aromatiche. Il sorso è cremoso e abbastanza pieno, equilibrato e garbato con una chiusura pulita su toni di mandorla tostata e marzapane. Disimpegnato, ma non troppo.
Arthur Metz – Grand Terroir Schiste Brut.
Il top di gamma della linea: gessoso e mentolato, con tracce di bergamotto e mirtillo rosso, erbe aromatiche, nocciola. La parte rocciosa, salmastra traina il sorso sferzante, accattivante, appena vegetale nei rimandi finali che rafforzano la sensazione di freschezza.
Le altre due aziende alsaziane sono la Cave Viticole de Colmar, realtà di riferimento dell’omonima cittadina, tappa obbligatoria di tutti i tour in Alsazia, e la Maison Klipfel, cantina attiva dal 1824 che detiene ben 15 ha di vigneto Grand Cru.
Colmar – Alsace Riesling 2019
Profilo classico, essenziale: mela renetta ed erba limoncella, pera, biancospino, cenni di idrocarburo. Sorso semplice e scattante, nerboruto e rinfrescante. Discreto vino d’entrata che può essere il punto di partenza per chi vuole avvicinarsi ai vini alsaziani.
Klipfel – Riesling Grand Cru Kirchberg de Barr 2016
Austero e sontuoso, un estratto di roccia calcarea con cenni di erbe officinali e lime, idrocarburo e pietra focaia a completare il quadro. E’ abbastanza corposo, leggermente abboccato (come da tradizione alsaziana), ma sempre teso e incalzante, affumicato e salino nel finale di media persistenza.
BORDEAUX
Molte e molto varie le proprietà nel distretto produttivo più importante della Francia (e forse del Mondo). Si va dai vini “base” delle appellazioni satellite a proprietà prestigiose come Bastor Lamontagne nel Sauternais e Clos Beauregard a Pomerol.
L’ Enclos Rotschild – Pusseguin Saint Emilion 2016
Da una denominazione satellite di Saint Emilion, un vino della Riva destra semplice ed essenziale, che profuma di mirtilli neri e caffè, tabacco, terra bagnata. E’ pulito e lineare, poco profondo, ma scorrevole e piacevole. Chiude leggermente ammandorlato.
Chateau du Tertre – Haut Medoc 2016
E’ uno dei nuovi orizzonti del vino bordolese: terra in passato considera troppo umida e fredda per dare vita a vini di prima categoria, oggi viene rivalutata da chi cerca un “claret” che non costi un occhio della testa. Questo in particolare esprime aromi di erbe amare e mirtilli neri, salsa di soia, carcadè. E’ agile, più nervoso e meno corpulento dei vini del Medoc classico, ma equilibrato e coinvolgente, salino, appena vegetale e più fruttato nel finale di buona durata.
Chateau Lestage Simone – Haut Medoc 2016
Impianto simile al precedente, ma la nota verde è più accentuata e fa da cornice a profumi di pepe nero e olive in salamoia, gelsi e more, cioccolato fondente. E’ sempre equilibrato, molto scorrevole, ma più concentrato e più bidimensionale in chiusura di Chateau Du Tertre. Comunque valido.
Petit Faurie de Soutard – Saint Emilion Grand Cru 2018
65% Merlot, con saldo di Cabernet Franc e una piccolissima percentuale di Cabernet Sauvignon. La produzione è supervisionata dal guru del vino bordolese Michel Rolland. Il vino è ricco, moderno: esprime aromi intensi di prugna e composta di more, grafite, sandalo, fiori appassiti e speziatura da rovere. E’ abbondante e avvolgente, tutto giocato sul frutto caldo, maturo, incorniciato da ritorni tostati che allungano un finale appena asciugato dal tannino gallico.
Vieux Chateau des Combes – Saint Emilion Grand Cru 2017
Molto diverso: giocato si sul frutto addolcito dall’annata calda, ma anche su toni più complessi di mentolo e scatola da sigaro, spezie scure ed erbe disidratate. La polpa è succosa, il tannino vellutato, la balsamicità di fondo dà un bel respiro allo sviluppo. Piace per lo stile sobrio, senza legno o struttura in eccesso, che lo rende più vicino alle nostre corde di tanti altri vini della riva destra.
Clos Beauregard – Pomerol 2017
Amarena e cioccolato amaro, rosa rossa, talco e felce a delineare un profilo molto classico. E’ appena compresso dal rovere, ma non troppo concentrato, anzi fine e ritmato da un tannino abbastanza fitto, balsamico e floreale nel finale di bocca suadente, aggraziato. Ottimo in rapporto al prezzo molto ragionevole per gli standard della denominazione.
Chateau Bastor Lamontagne – Sauternes 2013
Da un’annata buona, ma non ottima, per il Sauternes, profuma di mandarino e anice, pere sciroppate, curcuma, pietra focaia, il classico zafferano. In bocca l’acidità mette a bada il residuo zuccherino importante, conducendo un sorso che procede con garbo e pienezza e si fa più dolce nella chiusura mielata. E’ sicuramente molto buono, ma, stilisticamente parlando, ho preferito la nerboruta, scattante versione 2018 assaggiata all’evento di Verona.
BORGOGNA
330 ettari vitati, 660.000 bottiglie. Numeri non enormi in senso assoluto, ma comunque importanti per una regione dove la dimensione media delle aziende è molto ridotta. Ne ho già parlato nell’articolo sull’evento a Santovino a Roma. Aggiungo solo due vini che non erano presenti in quell’occasione.
Chartron et Trebuchet – Vosne Romaneè 2018
Profumatissimo: sa di rosa rossa e creme de cassis, tè nero, sandalo e incenso, ruggine e terra bagnata. In bocca convince un po’ di meno, l’acidità è appena fuori asse, il finale lineare, ma leggermente ostico. Potrebbe migliorare con il tempo.
Marguerite Carillon – Pommard 1er Cru 2018
Esordio classico su toni animali che precede uno sviluppo su sensazioni di pepe rosa e sandalo, tabacco e creme de cassis, cumino, ginseng. E’ vitale ed aggraziato, ferroso sul fondo e scattante, balsamico nel finale di buona durata.
LOIRA
Dalle vigne fronte mare nella zona di Nantes, a Pouilly-Fumè nel centro della Francia, gli appezzamenti di proprietà coprono tutto il corso del fiume. I bianchi sono mediamente i migliori prodotti dal gruppo.
Chateau de Cleray Muscadet de Sevre et Maine 2016
Assolutamente insolito: di solito i Muscadet sono i vini di sottigliezza e di leggerezza; questo, invece, profuma di ananas e crema chantilly, papaya, zafferano, e in bocca offre volume e cremosità, acidità e rintocchi mielati nel finale insolitamente profondo. Eccezionale.
Montgueret – Saumur Brut
Mandorla tostata e pietra focaia, crema di limoni e rintocchi minerali a comporre un quadro piuttosto integrato. Il sorso è ampio e avvolgente, appena monocorde, ma goloso.
De Fesles – La Chapelle Anjou Blanc
Lanolina e miele, erbe officinali, cumino e anice. Acidità e spinta minerale conducono un sorso dritto, accattivante, tutto giocato sull’agrume e sui rimandi rocciosa anche nella chiusura rinfrescante. Uno Chenin classico e molto accattivante.
Montgueret – Saumur Blanc 2018
18 mesi in barrique, ma la traccia del legno è solo una cornice che rinforza gli aromi di mela cotogna e leggero idrocarburo, zafferano e marmellata d’arance, camomilla essiccata. Sorprende in bocca con una spinta acida che smorza i ritorni burrosi e si accoda alla parte minerale nel finale accattivante. Indubbiamente il miglior bianco assaggiato in questa occasione.
SUD DELLA FRANCIA
A Limoux c’è Salazar, azienda dedicata al più antico spumante di Francia: la Blanquette. Poi c’è La Baume nella parte più vicina al mare della Linguadoca e Victor Berard nel Rodano.
Salazar – Blanquette de Limoux
Da uve Mauzac. E’ semplice, rustico, ma non banale. Profuma di limone candito e yogurt alla pesca, acciuga e zenzero candito. E’leggero e scorrevole, con un’effervescenza appena rustica e un finale coerente, pulito.
Victor Berard – Crozes Hermitage 2017
Fragole e giuggiole su sfondo fumé, cenni di garriga e di ruggine. Molto classico e riconoscibile, con tannino delicati e rimandi speziati a non finire, un finale piccante non lunghissimo, ma coerente e preciso.
La Baume Syrah 2020
Classica ricchezza di frutto dei vini del Meridione francese, che sono i più simili ai nostri. Il profumo è di prugna e visciola, cappero in salamoia, oliva al forno. Il sorso e un’esplosione mediterranea mai eccessiva, anzi calibrata dall’acidità che dà slancio e bevibilità allo sviluppo caldo e avvolgente. Un Syrah relativamente semplice, ma sfizioso.
IL RESTO DEL MONDO
Quel che resta della galassia francese sono le due piccole aziende in Jura e nella Savoia. A queste si aggiungono diverse boutique winery sparse tra nuovo e Vecchio Mondo. Tra quelle presenti in degustazione spiccano Abtei Himmerod, nel cuore della Mosella, e Quintessa, azienda situata sulla Silverado Trail, nel cuore della Napa Valley, che produce un vino “francofilo” che cerca di combattere gli stereotipi.
Cabelier – Cremant du Jura 60 Mois
Marzapane e miele d’acacia, mandorle tostate, gesso e sale e un tocco di ossidazione controllata Attacco salato e agrumato, poi emerge la parte ossidativa – di mela cotogna e miele – che stempera la mineralità salivante e dà profondità alla chiusura. Impegnativo, ma di gran fascino.
Danubiana – Gruner Veltliner 2020
Dalla zona dell’Ungheria più vicina all’Austria. Profuma di Chiodo di garofano, fieno, composta di pere, pietra focaia. E’ robusto e agrumato sul fondo, leggermente carente di definizione in chiusura.
Weingut Kitzer – Reinhessen Sylvaner Eiswein 2016
Profumi prorompenti di albicocche sciroppate, poi spezie d’ogni genere e provenienza. Non è un di certo un vino per chi ama i “dolci poco dolci”: l’abbraccio zuccherino è quasi debordante e la spinta acida di fondo riesce a calibrarlo solo in parte. Rimane comunque un buon vino meditativo da sorseggiare lentamente.
Napa Valley – Quintessa 2016
Forse il vino più ambizioso in assoluto prodotto da Grand Chais France: un bordolese a Napa che tira fuori un profluvio di composta di mirtilli e prugna, mentolo, eucalipto, scatola da sigari e legni balsamici, crema di caffè e salsa di soia. Gabriele Gorelli suggerisce giustamente che il livello di maturazione e concentrazione è quello di un vino di Bordeaux in un’annata molto calda. In buona sostanza, il frutto è ricco, avvolgente, il tannino spinge, ma la parte alcolica non è mai sovrabbondante e la traccia del rovere incornicia l’insieme senza sopraffarlo. Non lascia esterrefatti, ma è sicuramente più in linea con il gusto nostrano di molti altri vini del Nuovo Mondo.