Gennaro Esposito ai giovani cuochi: vince chi smette di copiare e torna ad essere italiano
Gennaro Esposito è uno dei pochi bistellati italiani aperto undici mesi l’anno. Una scelta non facile ma che lo mette però in una condizione di vantaggio alla ripartenza: la sua non è solo clientela straniera, ma anche italiana. Un ristorante simbolo come la Torre del Saracino a Vico Equense, la recente apertura a Milano di IT che subito ha avuto il riconoscimento della stella.
Qual è la prima riflessione che ti viene ora che sei in una chiusura obbligata, mai così lunga da quando lavori?
“La prima cosa che mi ha colpito è stata la confusione dei messaggi: ricordo che prima della chiusura ero a Milano, si lavorava bene e tutti sembravano impegnati nel sostenere l’hashtag #milanononsiferma. Si pensava solo ad una influenza più forte. Del resto questo non è avvenuto solo in Italia, ma in tutti i Paesi investiti dalla pandemia, anche se all’inizio ci hanno dipinto come degli untori. Poi i fatti hanno dimostrato che è un male comune e che, anzi, tutti ci stanno seguendo”.
E adesso?
“Il governo ha deciso un linea, dobbiamo seguirla. Tuttavia è importante non dare segnali contraddittori. Questo vale anche per le attività economiche e non solo per l’emergenza sanitaria. Quando si potrà passare alla prossima fase, è giusto attendersi decisioni chiare e politiche di sostegno al nostro settore che, insieme al turismo, copre circa il 20% del PIL”.
Quale lezione dobbiamo imparare da quello che sta succedendo?
“Lo scenario è apocalittico, senza una cura preventiva sarà difficile uscirne veramente. Forse non dovremmo più delegare a singoli Paesi la produzione di cose essenziali, come le mascherine o i respiratori. Vale per tutte le produzioni strategiche nonché per il cibo ovviamente”.
C’è qualcosa di positivo?
“Un nuovo orgoglio nazionale, la consapevolezza che quando facciamo le cose seriamente siamo un grande Paese. Poi la necessità di un’Europa più coesa perché le difficoltà non si affrontano da soli. Senza l’Italia l’Europa è più debole, senza l’Europa l’Italia è più debole.
E nella ristorazione cosa pensi succederà?
“Nel breve ci saranno cambiamenti, un pò come abbiamo cambiato modo di prendere l’aereo dopo l’11 settembre. Potrebbero essere diverse le modalità di servizio che verranno a crearsi con le nuove disposizioni che arriveranno e che, in parte, stiamo già recependo nella vita di tutti i giorni. Di conseguenza, la scelta di un ristorante avverrà anche seguendo criteri quali la sicurezza che è in grado di garantire, la possibilità di mantenere un certo distanziamento. Chi da tempo garantisce particolari standard di comfort e di servizio sarà avvantaggiato, gli altri dovranno adeguarsi”.
E nel piatto?
“Le persone continueranno a frequentare i ristoranti, ma emergenza a parte, le cose sono destinate a cambiare. Questa crisi ha fatto riemergere i valori più importanti tra cui la nostra identità. Questo non vale solo per i prodotti, di cui noi siamo ricchissimi, soprattutto al Sud, ma anche per le presentazioni pensate per stupire.
L’offerta gastronomica potrebbe variare i modo da dover tener conto delle nuove regole di fruizione dei servizi ristorativi.
La cucina d’autore continuerà a esistere, ma solo se rispettosa del modo italiano di vivere il cibo e se capace di interpretare il futuro. Questa visione prospettica mi piace condividerla con i miei “Brother in Food”, amici, colleghi, produttori, ospiti con i quali condivido, anche attraverso i miei canali di comunicazione, idee e percorsi. Ne dovremo tracciare di nuovi adesso, ma ci faremo trovare pronti.
Un commento
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Una visione obiettiva e pacata da parte di un grande chef sempre pacato e mai fuori misura che riflette a 360 gradi sulla situazione drammatica che ci sta sconvolgendo. Parole non banali che si contrappongono al tanto fumo e alle mille banalità propinateci dagli innumerevoli opinionisti tuttologi.
Carpe Diem