Garantito IGP | La beata solitudine di Podernuovo a Palazzone
di Stefano Tesi
Ci sono casi in cui essere geograficamente “fuori da tutto” o quasi (nel senso di denominazioni di origine e non) può costituire un vantaggio e dare la libertà di fare scelte altrove impensabili o impraticabili. Se poi questa eccentricità si pone pure all’incrocio, anzi a cavallo tra regioni storicamente e culturalmente diverse, è anche meglio.
Il caso di Podernuovo a Palazzone, la cantina che Giovanni Bulgari (ha lavorato a lungo come gemmologo nell’azienda di famiglia, prima di dedicarsi al vino) possiede tra Cetona e San Casciano dei Bagni, è proprio questo: estremo sud della provincia di Siena, con l’Umbria a meno di un km in linea d’aria e il Lazio a meno di otto. Alcuni dei salotti buoni del vino italiano, da Montalcino a Montefalco, dal Chianti alla Valdorcia, sono a un’ora d’auto: “se sia una distanza grande o piccola, e quindi danno o un’opportunità, è una valutazione soggettiva“, dicono.
Quel che è certo è che, in zona, Podernuovo è una realtà pressochè unica. La comprò nel 2004 Paolo Bulgari, il padre di Giovanni, facendo reinnestare le vecchie vigne abbandonate degli anni ’70 con Sangiovese, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot e Petit Verdot.
Oggi l’azienda ricadrebbe in zona Chianti Colli Senesi, che però ma non mai stata rivendicato, nè pare se ne abbia intenzione.
L’abbondanza di mezzi, inutile nascondersi dietro a un dito, qui è evidente.
Al centro dei 50 ettari della proprietà, di cui 26 vitati (cinque, con Chardonnay e Grechetto, sono sul lago di Corbara, in comune di Orvieto), sta la grande cantina progettata e realizzata nel 2012 dallo studio Alvisi-Kirimoto, un’enorme struttura in cemento, legno, acciaio e vetro (“gli stessi materiali usati per la produzione del vino“, fanno notare) immersa quasi completamente nella collina e mimetizzata nel paesaggio, con una centrale geotermica e pannelli solari che garantiscono, giorni di vendemmia esclusi, la quasi totale autonomia energetica. Ci sono uno chef interno, visite guidate (possibili solo su prenotazione), e una struttura ad hoc per questo tipo di accoglienza. Un resort è in arrivo. Ed è in corso la conversione biologica.
Tutto lineare, dunque? No.
Intanto le etichette sono solo quattro: Nicoleo (vino da tavola, Grechetto e Chardonnay al 50%), Therra (Igt Toscana, Merlot, Cabernet Sauvignon e Sangiovese in parti uguali), Sotirio (Igt Toscana, cru aziendale, Sangiovese 100%) e Argirio (Igt Toscana, Cabernet Franc 100%). E le bottiglie prodotte sono poche (tra 80 e 100mila l’anno) a fronte a un potenziale triplo.
Le ragioni sono molte.
La principale è che l’azienda, prima di espandere il volume produttivo, vuole portare a termine il complesso lavoro di riassetto stilistico cominciato con la dipartita di Riccardo Cotarella, enologo a Podernuovo dal 2004 al 2009, e che dovrebbe concludersi quest’anno con l’ingresso permanente di Jacopo Felici. L’obbiettivo dichiarato è riallineare i vini al mercato e dotarli di una identità più distinta, per farne un punto di riferimento qualitativo dell’area. I segnali si vedono a occhio nudo (in cantina la barriccaia è quasi vuota, mentre cresce il numero dei legni grandi) e cominciano a sentirsi anche nel bicchiere.
La seconda è che Giovanni Bulgari preferisce procedere nel rinnovamento con cautela e prudenza, passo dopo passo, valorizzando il vino senza salti troppo bruschi.
E’ in questo senso che si può parlare di wines in progress.
E l’assaggio dei quattro vini attualmente in commercio lo dimostra, col contributo di un campione di G33 2018, un rosso ancora inedito a base di Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Merlot.
L’impressione generale è che la stoffa ci sia e che la strada sia quella giusta: va ora intrapresa con la massima decisione, mettendo a punto un modello di sobrietà compatibile da un lato con le particolari caratteristiche del terroir, dall’altro con la richiesta del mercato.
Nicoleo 2020.
Prodotto in circa 20mila bottiglie con uve Grechetto e Chardonnay al 50% provenienti dai vigneti sul lago di Corbara. E’ fatto in acciaio e per il 30% in barrique nuove, con un successivo passaggio in cemento (che fanno tutti i vini aziendali).
All’occhio è di un colore dorato pieno e vivio, con riflessi verdastri. Al naso, piuttosto intenso, la nota floreale è secondaria rispetto a quella varietale del Grechetto. L’olfatto poi si allungain una coda fine, elegante, con un accenno di sabbia e di sassi. Al palato è sapido e diretto, molto piacevole, con un ritorno di legno piuttosto marcato, ma non invasivo, che fa del campione forse il più definito del lotto.
Therra 2019.
E’ il rosso “base” dell’azienda, prodotto in circa 40mila bottiglie da uve di Sangiovese al 60%, Merlot e Cabernet Sauvignon al 20%. E’ fatto in acciao e poi in botte da 30 qli.
Di colore rubino carico con qualche riflesso violaceo, al naso è concentrato, pieno, ricco di profumi di frutti rossi maturi, con le note speziate e calde che si ritrovano anche in bocca, dove il vino si fa penetrante e un po’ ruvido, con tannini in evidenza. A mio modesto parere, è un vino a cui dare almeno un altro anno di vita per goderselo appieno.
Argirio 2017.
E’ prodotto dal 2009 con il 100% di Cabernet Franc proveniente da terreni argillosi, lavorato in botti tronco coniche e poi in barrique, con passaggio finale in cemento.
Di colore rubino-granato molto scuro e carico, al naso è di grande intensità olfattiva, caldo, con profumi espliciti di frutti rossi ipermaturi, di confettura e ciliegia sotto spirito. Legno e note varietali in grande evidenza. Quest’impressione si prolunga in bocca: è un vino importante, di struttura importante, tannico, molto coerente al proprio stile e, pertanto, anche un po’ ingombrante. Pure questo è da aspettare (e non è un difetto!).
Sotirio 2017.
E’ un vino speciale, il top della gamma aziendale, prodotto in memoria del bisnonno Sotirio Bulgari, fondatore della dinastia. E prodotto con uve 100% Sangiovese provenienti esclusivamente dalla vigna detta “del Moro” (insomma è un cru) e lavorate in botti da 10 quintali.
Di un colore rubino pieno e robusto, all’olfatto si rivela subito di grande eleganza, con un marchio varietale che si apre a ventaglio in un bei sentori di ciliegia, vibrante e avvolgente. L’annata difficile, calda e siccitosa, emerge maggiormente in bocca, rivelando con una nota un po’ asciugante che tende a sopraffare la tendenziale gentilezza. Ma forse, ancora una volta, è solo una questione di tempo.
G33 2018.
Vino non ancora in commercio, fatto per ora in sole 800 bottiglie con uguali percentuali di Sangiovese, Merlo e Petit Verdot.
Ha un bel colore rubino intenso e caldo. Al naso mantiene ancora qualche sentore di legno ma è composto, compatto ed elegante, venato di speziature e di frutto maturo. Come i campioni precedenti in bocca è ben più acerbo, concentrato e ridondante che al naso. Da aspettare, con molta curiosità, più a lungo degli altri.
In conclusione: siamo appunto in itinere.
Sarà un piacere, per tirare le somme, fare la verticale di vecchie annate che ci è stata promessa e sulla quale certamente vi sarà riferito su queste pagine. Credo riserverà qualche sorpresa.