Garantito IGP. Camartina 1994: quando il sangiovese teneva ancora banco
No, nessuna polemica, ma solo qualche riflessione su una delle più note realtà vitivinicole toscane e una “prova” di quello che rappresenta da sempre il fiore all’occhiello di Querciabella: il Camartina. Questo rosso fa parte di quei vini battezzati “Super Tuscan” dal giornalismo americano, probabilmente da Robert Parker negli anni ’70, i cui capostipiti sono stati il Sassicaia del Marchese Mario Incisa della Rocchetta e il Tignanello di Antinori (tutti e tre questi vini hanno in comune il contributo dell’enologo Giacomo Tachis). Furono capostipiti anche nelle desinenze dei nomi, tanto è vero che in pochi anni nacque una sequenza infinita di “aia” ed “ello“, quasi a comunicare una qualche forma di parentela acquisita.
Il Camartina nacque più tardi, nell’81, quando a governare l’azienda Querciabella era Giuseppe Castiglioni, e affiancò il Chianti Classico in una terra dove il sangiovese era sempre stato il principale vitigno a bacca rossa – siamo a Greve in Chianti -. L’uvaggio del Camartina ha subìto nel tempo alcune modifiche, fino ad invertire i quantitativi delle due uve da sempre utilizzate: il sangiovese e il cabernet sauvignon. Allora era il primo a dominare sul secondo, oggi la situazione è capovolta.
Querciabella è un’azienda in continua evoluzione, infatti già a fine anni ’80 si lavorava la vigna puntando all’eliminazione della chimica, fino ad arrivare nel 2000 all’agricoltura biodinamica, tenendo sempre attiva la ricerca scientifica per migliorare costantemente il processo produttivo. L’azienda ha anche dato vita nel 1988 ad un bianco da uve chardonnay maturato in legno, il Batard, divenuto poi Batàr (oggi uvaggio paritario di chardonnay e pinot bianco), allora sicuramente atipico per le sue note fortemente boisé e per la sua concezione di vino bianco longevo. Uno di quei vini le cui caratteristiche si esaltano con il passare degli anni.
D’altronde è evidente che l’azienda, oggi di proprietà di Sebastiano Cossia Castiglioni, punta molto al mercato estero, lo dimostra fra l’altro il fatto che gli strumenti di comunicazione utilizzati, si tratti del sito internet, di Facebook o di Twitter, sono sempre e solo in lingua inglese. Anche perché vini come il Camartina o il Batàr hanno dei prezzi non proprio alla portata di tutti, almeno in Italia. Giusto per fare un confronto, il Camartina ’94, quando uscì sul mercato, si trovava a poco meno di 40 mila lire, che era già una bella cifra, oggi con l’annata 2008 si viaggia fra i 70 e gli 80 euro, che fatico a immaginare quanti comuni mortali con cittadinanza italiana siano in grado di sborsare.
Rimane il fatto indiscutibile che il Camartina è un grande rosso toscano, e questo ’94, dopo ben 12 anni dalla sua uscita, ne è testimonianza concreta: granato scuro e profondo, ancora ben concentrato, al bordo si avverte un leggero scivolo verso il mattonato.
Al naso c’è una miscela di frutto scuro maturo, prugna, amarena e ribes nero in primis, ma non è difficile cogliere un sottofondo terroso e ricco di humus, nuances di mirto e chiodo di garofano, a tratti emerge la cenere e il goudron, il tabacco, il cuoio, l’inchiostro. In bocca stupisce per il grande equilibrio in ogni suo aspetto, acidità viva, tannino finissimo e perfettamente integrato, polpa, rotondità, ma nessun, ripeto nessun accenno a pericolose cadute d’energia. E questo lascia ancora più stupiti se si pensa che la ’94 non è stata un’annata grandiosa ma tutt’al più interessante e diversificata, con pochi casi di vera eccellenza.
Ne è la riprova l’alcolicità che emerge nonostante non sia particolarmente alta (13% dichiarato in etichetta) e un centro bocca che “pesa” meno di quanto ci si potrebbe attendere. Quindi un millesimo non massiccio ma nervoso, non facilissimo da interpretare, che in questo caso ha fornito una prova davvero convincente, oltre ogni possibile previsione.
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6 Commenti
I commenti sono chiusi.
Noooooo! Un Supertuscan molto buono? Non è possibile, non ci credo! Per favore Roberto puoi ripeterlo non ho sentito bene, Camartina ’94 “grande rosso Toscano”.
ah ah ah! Raffaele, non avevo letto il tuo commento… beh, non è che supertuscan sia solo sinonimo di schifezza…
esatto, Roberto, esatto. Come tutte le cose della vita…come dice il proverbio: dell’erba non facciamone solo fasci!!!!
Però, caro Roberto, che si debba precisare, anche scherzando, che il Supertuscan non è solo sinonimo di schifezza la dice lunga sulla parabola mediatica che hanno avuto questi vini, almeno in una certa fascia di consumatori.
Infatti, Luciano!!! Nell’accezione comune del termine, o meglio ancora, nell’immaginario collettivo del consumatore medio il termine Supertuscan è riferito a vini densi, molto strutturati, titoli alcolometrici alti, e con passaggi in legno piccolo e spesso provenienti in maggiori percentuali nell’uvaggio o nel blend, da vitigni internazionali. Naturalmente come in tutte le regole ci sono le eccezioni…almeno, questo ho percepito io, dal basso della mia ignoranza…;-))
Appunto… ;)))))