Fulvio PieranGELINAZzando! Gelinaz! 2019
di Giulia Gavagnin
Prende il nome proprio da lui “Gelinaz!”, crasi tra i Gorillaz di Damon Albarn e Pierangelini, il (più) grande chef italiano degli anni Novanta che non voleva concedersi troppo in pubblico per timore che le sue ricette venissero copiate. Era il 2005, e con Andrea Petrini decise che sarebbe stato decisamente cool volare a San Sebastian, proporre una ricetta, e vedere come gli altri cuochi l’avrebbero replicata, come una cover band che vuole metterci del suo. Quello fu l’inizio, Gelinaz plays Fulvio Pierangelini, e quattordici anni dopo Fulvio Pierangelini has played someone else tra le mura dell’Hotel de la Ville, sponda Trinità dei Monti. Per la precisione, the significant other è stato Mingoo Kang di Mingles, località Seul, nome e fornello che -ahinoi- per imperdonabile ignoranza ci è risultato sconosciuto, ma a onor del vero anche Pierangelini ha avuto bisogno di una piccola bussola coreana. Il mix&match quest’anno non ha contemplato il carrozzone itinerante degli chef nelle cucine altrui, ma il progetto più stanziale dell’”ognuno a casa propria” a reinterpretare otto ricette studiate per l’evento da un partecipante estratto più o meno a caso, con l’incognita del Kulturkampf in caso di remix con chef e cucina di un paese lontanissimo. Come in questo caso. Provate a immaginare uno dei più grandi interpreti della cucina italiana ante-sifoni ante-Adrià ante-fermentazioni, insomma: ante, alle prese con kimchi, prugne fermentate e umami spinto. Noi non saremmo stati capaci di contemplare una pierangelizzazione dell’altro mondo: bisognava esserci. Quando a metà serata viene dato l’annuncio del nome misterioso, ci informiamo: cuoco avanguardista coreano, imprescindibile in patria, folgorato sulla via di San Sebastian e riportato al misticismo della cucina templare. Pierangelini lo italianizza senza “se” e senza “ma”: “Burrata, vanilla, tomato and caviar” è un’insalata di carciofi, burrata e caviale a dare quell’umami, “asparagus, salted pollack roe and Calamari” oltre alla bottarga acquista il gambero rosa; lo sgombro marinato prevede poco kimchi e molta insalata di cavolo cappuccio dalle note familiari, quasi rassicuranti.
E’ stato poco Pierangelini dove ha inteso eseguire un noodle di riso con ventresca di tonno, tartufo nero e ganjang (salsa di soia fermentata) lo è stato molto nella spigola con cicoria, una modesta quantità di fagioli fermentati e una di quelle imbattibili salse all’olio che ci riportano indietro nel tempo, quando (alcuni) cuochi erano anche grandissimi “saucier”, parola che oggi sembra stata cancellata dal Dizionario Minimo dello Chef.
La versione originale prevedeva una spigola bollita con una salsa fermentata e nient’altro, decisamente incompatibile con il DNA di Pierangelini. A seguire, un acuto assoluto, ravioli di zucca, spugnole, tartufo nero, fondo di cottura a sparigliare la ricetta originale che sarebbe stato un dumpling alle spugnole: quella sfoglia impeccabile di cui tanto si è parlato negli anni del Gambero Rosso era di nuovo tra noi, e nulla potrà essere uguale a prima, per intensità e compiutezza. L’altro colpo magnificamente attestato è stato l’agnello rosa con una sfoglia di patata sottilissima e croccante, di rara perfezione. “Ero qui stamattina presto a tagliare le patate, molti giovani non lo fanno più”. E la differenza si sente. Non è un caso che fossero presenti alcuni giovani e promettenti chef che hanno chiesto a Pierangelini di personalizzare le loro copie de “Il grande solista della cucina italiana”, il volume uscito nel 2004 che ha illuminato molti giovani cuochi. Rendiamo quindi omaggio al Gelinaz! per averci restituito attimi di Pierangelini, rendiamo grazie a Pierangelini per la provvidenziale apparizione.