Francesco Martucci, un triplete e la fantastica olio e pomodoro
Abbiamo scritto più volte di Francesco Martucci, ci torniamo perchè ogni volta ci sta una novità. Il tema non sono tanto le pizze ma come riesca a portare sul cerchio magico la cucina come un cuoco. Le pizze mangiate in questa serata mi ricordano il primo Gennaro Esposito, la capacità di attingere alla tradizione e di tradurla in modo moderno e non scolastico basandosi sullo studio delle componenti e non con colpi basati solo su aspetti estetici. Sotto questo aspetto, solo Simone Padovan e, tra i giovani, Ciccio Vitiello e Simone De Gregorio (per i dolci) in questo momento riescono a portare la pizza al confine della cucina gastronomica.
Meglio ripetersi: no sto dicendo che sono le migliori pizze in assoluto: personalmente continuo ad amare la margherita a ruota di carro sopra ogni cosa e deve ancora nascere qualcosa di più buono in una pizzeria. Dico che quando parliamo di cucina sulla pizza, questo è il livello più alto che abbiamo in Italia in questo momento.
Martucci viene dalla gavetta vera, a dieci anni ha iniziato a lavorare, è partito con una pizzeria da asporto e il suo vissuto ben lo conoscono i suoi colleghi pizzaioli che gli riconoscono il ruolo leader che ad altri è riconosciuto solo da esterni al mondo pizza, al circolino in declino (rima baciata).
Ma vediamo le pizze in questione
Cosa c’è di più conosciuto del vitello tonnato? Una ricetta, tra le prime e le poche, che in Italia unisce terra e mare come le cucine orientali. Qui la bravura di Martucci che lo rende unico è il fritto, leggero come una piuma, che media fra la carne, presa dal suo macellaio di fiducia sin da bambino) e il cuore di crema di acciuga che esplode nel palato come il famoso tortello alla carbinara creato vent’anni fa da Heinz Beck. Il meccanismo di transizione fra il passato e il presente è lo stesso.
Secondo step, la carne a bagnomaria che lui ha chiamato Una Volta. Si tratta di una cottura della fettina di carne al vapore poggiando una padella su una pentola con lìacqua in ebolizzione. Dentro, oltre la carne, un po’ di aglio, prezzemolo e olio d’oliva. Un ricordo per me da bambino quando questo modo di fare la carne, allora preziosa e non figlia di allevamenti intensivi, aveva un altro sapore. L’aglio qui è in forma di maionese. Equiibrio perfetto, un boccone che mi ha ricordato mia madre.
Terzo step, il ripieno di erbe spontanee cotte al forno, mousse di ricotta di bufala ed erborinato. Una versione moderna sul calzone al forno su cui nessuno sta ragionando perché fermi sulle pizze, a parte Franco Gallifuoco con le sue Grotte
Qui il passo in avanti non è solo nella scelta del vegetale, ma nel morso complessivo che mette alla pari l’impasto con il ripieno. Buonissimo
Chiusura, ma questa la conosciamo già, con Olio e Pomodoro, una tre cotture al vapore, fritta e al forno che valorizza i pomodori campani in tutte le consistenze e nelle diverse varietà
Straordinaria, una delle più più buone di sempre.
Non amo il termine gourmet vicino alla pizza perchè è solo una trovata commerciale. Amo queste preparazioni perché per noi super anta sono un ritorno al passato di bambini, per le giovani generazioni una scoperta.Non c’è bisogno di andare in Giappone per scoprire sapori nuovi, basta scavare nel nostro passati per trovare un giacimento di idee e di passione inesauribile.