L’Osteria dell’Orologio a Fiumicino: l’incanto del mare a tavola. La cucina di Marco Claroni
di Floriana Barone
Trentanove anni, un talento fuori discussione e un legame viscerale con il mare: quindici anni fa, Marco Claroni ha aperto L’Osteria dell’Orologio a Fiumicino, insieme alla moglie Gerarda Fine. Nel 2009 l’offerta era molto semplice: la selezione accurata delle materie prime e il pescato esclusivamente locale costituivano la base del progetto. Due elementi cardine che, ancora oggi, caratterizzano il lavoro all’Osteria.
Dopo il restyling del ristorante del 2014, circa sei anni fa, Marco e Gerarda hanno iniziato un nuovo percorso. E hanno cambiato passo. “A muoverci è stata la passione per la cucina, la voglia di rivoluzionare l’idea di partenza, di metterci in gioco”, racconta Claroni. Ha lavorato con costanza e determinazione per elevare la sua visione di osteria, senza stravolgere l’anima del progetto: oggi Marco Claroni è un narratore coinvolgente e un interprete autentico della cucina di mare a Fiumicino. Marco ha ereditato l’amore per il mare dal papà, grande appassionato di pesca sportiva. “Uscivo in barca con lui da bambino, insieme al suo gruppo di amici – racconta lo chef –. Osservavo Fiumicino dagli scogli”.
Dopo il liceo e dopo la prima stagione sul litorale, grazie alla complicità di alcuni amici, Marco Claroni ha frequentato un corso presso la Federazione Italiana Cuochi, approdando, così, all’interno di importanti strutture alberghiere e proseguendo la sua carriera in due noti ristoranti di Fiumicino: da Bastianelli e da Gina al Porto Romano. A 26 anni, poi, l’incontro con Antonio Chiappini presso il Ristorante Vineria Tre Bicchieri a Ostia, dove ha conosciuto la sua futura moglie, Gerarda Fine, all’epoca già Sommelier, che era lì per uno stage.
L’Osteria dell’Orologio
Sesto posto nella Guida 50 Top Italy 2024 su I Migliori Ristoranti Di Pesce in Italia – Latteria Sorrentina Award, attualmente l’Osteria dell’Orologio è uno degli indirizzi di spicco del litorale laziale. Il locale può ospitare circa una cinquantina di coperti ed è diviso in due ambienti attigui: una saletta interna e una veranda molto luminosa, anche se estremamente calda verso l’ora di pranzo, con una vista suggestiva sui pescherecci locali.
La mise en place è minimal, ma con una funzione specifica: è un “libro bianco”, pronto ad accogliere il racconto dello chef, l’amuse-bouche, la sua “copertina”. La sua è una tavola che sorprende l’ospite per la padronanza tecnica e per le emozioni che suscita ogni singola portata. A tavola arriva l’incanto del mare e il tempo si ferma. In ogni piatto è protagonista un elemento vegetale del territorio, particolarmente ricco e vasto: “Fiumicino dalla terra al mare”, come si legge sul menu. Il 90 percento degli ortaggi e delle verdure, infatti, è locale, considerata la presenza di una tradizione contadina ben radicata: Claroni si rifornisce da diverse realtà, come i Fratelli Renzi, l’azienda agricola Adua e l’Allegro Coniglio e l’azienda agricola biologica Ammano per i formaggi. Il pesce viene acquistato dai pescatori, all’Asta di Fiumicino e dai Fratelli De Crescenzo. Merluzzo, palamita, lustrino e alici: Claroni lavora prevalentemente il pesce povero ed è molto attento a limitare il più possibile gli scarti in cucina. “Utilizziamo il pesce nella sua interezza: lo trattiamo come fosse carne – spiega lo chef –. Buttiamo solo branchie e squame. E poi realizziamo brodi, fumetti e fondi bruni con ogni pesce. Estraiamo il sapore del mare: tonni, mollame, seppie, calamaretti e crostacei”. La riduzione degli sprechi in cucina si collega con il progetto della “La Macelleria di Mare”, avviato nel 2018.
Lo chef produce artigianalmente sul posto bottarghe, salumi e stagionati di mare, lavorando con tecniche di salatura, maturazione ed essicazione che portano alla produzione di salsicce, prosciutti, bresaole, speck, lardi e altri prodotti di rilievo. “Ogni pesce è diverso dall’altro – prosegue Claroni –, per esempio, per la pezzatura o la massa grassa: cambia il mio lavoro sul bilanciamento del sale o sulla parte dell’affumicatura”.
Il menu degustazione da sei portate
La cucina tradizionale è ancora oggi al centro della proposta dell’Osteria, cambiata, in questi anni, nella presentazione, elegante e armoniosa, ma non nel sapore, distinto, che arriva dritto al palato. Marco Claroni non ha stravolto l’essenza della sua cucina, che rimane accessibile, con evidenti richiami alla Capitale.
Uno dei piatti più confortevoli in carta è lo Spaghetto Mancini ai lupini locali (18€), che può essere ordinato anche con aggiunta di bottarga (22€).
Il primo menu degustazione è composto da sei portate (65€, per tutto il tavolo), ma si può scegliere anche il “Libera-mente” o il menu “Macelleria di Mare” (90€). I percorsi cambiano spesso, seguendo la stagionalità delle materie prime e, soprattutto, la disponibilità del mare.
Il benvenuto dello chef è il colpo d’occhio più intenso, che emoziona e diverte l’ospite, attraverso cui racconta i piatti della tradizione marinara a Fiumicino: burro e acciughe fatto in casa, alice affumicata con gel di aceto e prezzemolo, tris di finger food con chips di pasta con i lupini, bomba alla crema di scampi e impepata di cozze. A tavola arrivano anche i grissini al burro fatti in casa, il pane nero di seppia e quello di noci, entrambi a lievitazione naturale, come la focaccia di Claroni. Eccezionali i salumi autoprodotti: palamita affumicata, salame di tonno, whisky torbato, arancia e nocciola e prosciutto di pesce spada.
Si inizia con tre antipasti: dopo lo Spiedo di polpo e patate, BBQ, senape e misticanza, il percorso prosegue con il Baccalà, pane, bieta e fagioli. Questa proposta omaggia una ricetta tipica ciociara: la zuppa fagioli e pane, con l’aggiunta del baccalà, unico prodotto non locale, cotto nell’olio aromatizzato. L’Alice e provola in tempura è avvolta da una pastella di farina di riso e acqua frizzante e accompagnata da puntarelle e salsa di acciughe.
Il primo è una pasta fresca fatta in casa al finocchio di mare: il Tortello di arzilla e broccolo romano è un richiamo alla minestra povera della tradizione capitolina, perfetto in questo periodo, in carta da sempre e che adesso viene proposto con carote e mandorle di Maccarese e guazzetto di lupini. In estate, Marco cucina anche l’aletta fritta di arzilla o alla cacciatora nel tegame.
La Zuppa di pesce alla brace e verdure croccanti è scenografica e accogliente. Il fondo di zuppa di pesce viene servito all’interno di una piccola brocca.
L’esperienza si conclude con un dessert fresco e inaspettato: la Zuppetta di frutta e verdura con sorbetto al lampone e spuma di yogurt di Ammano.
La cantina dei vini è di prestigio: è curata da Gerarda e ospita circa 250 etichette, frutto delle sue esperienze professionali e personali. Una carta dinamica e in continuo aggiornamento, con un’attenzione particolare sia all’Italia che alla Francia e con una parte di riservata ai Riesling e un’altra, più piccola, ai vini rossi. Gerarda, inoltre, ha creato un focus interessante sui vini biologici e biodinamici. Di spessore, infine, l’elenco dei distillati, che comprende 80 bottiglie, a cui si aggiungono diversi vini da dessert.
L’Osteria dell’Orologio
via di Torre Clementina, 114
00054 Fiumicino(RM)
Tel: +39 06 6505251
Scheda del 28 ottobre 2019
OSTERIA DELL’OROLOGIO A FIUMICINO
Via Torre Clementina, 114
Tel. 06.6505251 – 347.5179051
Aperto: pranzo dal giovedì alla domenica e a cena dal martedì alla domenica.
Chiuso: lunedì
www.osteriadellorologio.net
di Virginia Di Falco
Osteria dell’Orologio a Fiumicino. Questa volta cominciamo dalla fine: la cucina di Marco Claroni è un’esperienza da non mancare se amate il mare. Davvero una delle migliori tavole del Lazio.
Una saletta con pochi coperti che si fanno spazio in una ex stalla dell’800 recentemente ristrutturata, con un suggestivo soffitto a volta in mattoncini che rendono più caldi i colori degli arredi. Fuori invece tavoli e sedie in bianco si affacciano sulla passeggiata affollata (e trafficata) con l’orologio monumentale che dà il nome al locale.
E’ qui che circa dieci anni fa lo chef Marco Claroni e sua moglie Gerarda Fine, sommelier e responsabile della sala, hanno cominciato. Pochi mezzi ma forte determinazione e idee chiarissime: mettere a frutto le rispettive esperienze per proporre un ristorantino di mare con una propria personalità, che si distinguesse dall’offerta a dir poco omologata dei locali vicini.
Una cucina in cui tecnica e scuola non perdono tuttavia i riferimenti popolari, quelli delle ricette di casa e del pesce povero. E neppure quelli del pranzo familiare fuori porta per definizione: spaghetti con le vongole & frittura – che infatti qui in carta troverete sempre, insieme ai jolly come polpo alla Luciana o alla genovese di tonno.
Un menu dunque double face, dove poter scegliere tra diverse proposte degustazione oppure ‘pescare’ – è il caso di dire – à la carte.
L’impostazione dello chef è chiara sin dal benvenuto, completamente dedicato all’alice, della quale si propone tutto, dalla lisca alla testa utilizzata per il brodo. Un inizio divertente e stuzzicante sul pesce più povero del nostro mare.
L’assaggio di un ottimo olio extra vergine di oliva, insieme al burro alla paprika (decisamente meno interessante) proposto con una tiepida pagnottella fatta in proprio ci permette di soffermarci brevemente sul capitolo ‘pane’, anche perché qui lo troverete tra le voci del conto (tre euro a persona).
In generale, far pagare il pane a parte – spesso solo per mascherare l’odiosa gabella del coperto – è una pratica che abbiamo più volte stigmatizzato. Così come quella di presentare un cestino di anonimi panini colorati non si sa bene con cosa, spesso insipidi, come «i nostri pani».
Bene. Non è questo il caso. All’Osteria dell’Orologio abbiamo trovato dei pani davvero notevoli, tutti fatti in proprio, ben eseguiti e, soprattutto, pensati per le diverse portate. Dalle farine ai semi, dai condimenti alla cottura: il pan brioche tostato, il cornetto salato, la focaccia, ma anche i crackers e i grissini.
Tra gli antipasti il consiglio è partire (in realtà potrebbe anche esser preso come un piatto unico) con la meravigliosa selezione di bottarghe e ventresche stagionate, esperienza davvero unica, che vale il viaggio (e anche la coda di auto, se è domenica). Dal prosciutto e ventresca di tonno alle bottarghe di diversi pesci, fino al cuore. Il mare in tutto il suo sapore. E nella sua essenza. Con una decina di ciotoline il cui contenuto serve a smorzare sale e fuoco sulle papille, ma anche a farle divertire: dal carpaccio di rapa rossa alla scapece di zucca, dalla robiola al burro, dalle nocciole tostate alle cipolle di Tropea in agrodolce, e poi ancora, la confettura di fichi, la salsa di frutti rossi, la julienne di sedano, le carote e gli agrumi. Piatto strepitoso, senza se e senza ma.
Tra i primi, una ricca, quasi ruspante, minestra di pasta mista con fagioli, cozze e pesce di fondale che ricorda molto il sapore della classica zuppa di pesce, confortevole e appagante. Delicati e allo stesso tempo incisivi i tortelli con gamberi, caviale in un delizioso dashi di mela.
Abbinamento ormai classico nel polpo con crema di ceci e broccoletti, ma la cottura è davvero degna di nota.
Vi sembrerà di stare in un ristorante francese, invece, con l’arzilla (la razza), sia per il doppio servizio, al piatto e al tavolo, sia per la cottura, con un fondo importante e uno studiato accompagnamento vegetale.
Quattro o cinque ragazzi preparati e gentili tengono testa a tutti i tavoli, sia dentro che fuori, con una buona organizzazione del lavoro e un livello di pathos che fa sempre piacere riscontrare in sala. La carta dei vini di Gerarda Fine segue il suo percorso professionale e personale, cercando di accontentare chi non vuole allontanarsi dalla regione ma anche chi ama bolle e vini d’Oltralpe.
Si chiude con una lista dei dessert che predilige il cucchiaio, dalla quale abbiamo scelto un cremoso di cioccolato e salsa di more, con gelato al latte di capra. Ancora una volta, sapori decisi ma in equilibrio, con la giusta dolcezza che si chiede alla fine di un pasto.
Conto medio sui 60 euro (N.B. previste in carta anche le mezze porzioni).
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QUI DI SEGUITO LA NOSTRA PRIMA RECENSIONE, NEL 2016
Osteria dell’Orologio a Fiumicino
Via Torre Clementina 114
Tel. 06.6505251, 347.517905
sempre aperti dal martedì alla domenica
www.osteriadellorologio.net
Sempre più interessante il litorale laziale degli ultimi anni. Non solo Pascucci, ma tante novità degne di nota che finalmente ci liberano dalla banalità e dalla noia di una cucina spesso talmente ripetitiva da non essere neanche più rassicurante.
Un bel faro a Fiumicino è costituito dall’Osteria dell’Orologio di Marco Claroni, poco più che trentenne chef e patròn di questo locale rilevato qualche anno fa e che, passo dopo passo, ha scelto la via delle proposte originali e basate una grandissima conoscenza della materia prima. La sala, cortese, veloce e molto motivata, gira davvero una bellezza.
Il benvenuto è una parodia della prima colazione, magari un po’ greve come entrata ma molto divertente e saporita.
Ma quello che va davvero sottolineato è la capacità del cuoco di abbinare crudi e cotti di mare in maniera decisamente efficace e senza sbavature.
Ci sono le citazioni, come questo carpaccio al sugo di pomodoro ben estratto e saporito.
Ma non è il caso: praticamente la batteria di antipasti non ha una sbavatura.
Decisamente da applauso è la ceviche di fragolino marinata al lime. L’occhio della cucina è sempre e comunque puntato sulla freschezza.
Anche il carpaccio di tonnno in brodo di spuntature è da applauso.
Unico appunto, una frittura affogata in una salsa. Meglio proporla a parte e intingere.
Dopo la batteria un paio di primi, uno di pasta lumga e uno ripieno.
Infine all’Osteria dell’Orologio i dolci sono decisamente cosigliabili.
CONCLUSIONI
Osteria dell’Oroloio a Fiumicino. Un fuoriporta marinaro assolutamente da consigliare. L’idea di fondo è prendere la batteria di antipasti cotti e crudi e poi passare a un primo o un secondo. Lo stile dello chef rispetta molto la materia prima che conosce nei dettagli anche perchè partecipa alle aste e ha un rapporto con i pescatori sin da ragazzino. Il risultato si vede nel piatto come spesso scriviamo, tra questa generazione la differenza non la fa la tecnica ma il mercato. I margini di miglioramento ci sono ancora soprattutto nei primi. Buona e divertente la carta dei vini con ricarichi onesti.