Fiumè, il piatto della memoria di Arcangelo Dandini


Il fiumè di Arcangelo Dandini

di Arcangelo Dandini

Questo è certamente il piatto piu’ evocativo della mia memoria rispetto al territorio e alla famiglia perchè’ è dedicato a mia madre, nel richiamo …fiume’ c’e’ tutta l’autorità, la forza e la dolcezza che un genitore puo’ trasmetterti.
Mia madre e mamma Roma, entrambe ti cullano nel loro affetto e nelle braccia forti e dolci del richiamo del cibo: ti nutrono di amore e di elementi della terra di appartenenza.
In sottofondo il Tevere canta la nenia cullando la tua memoria…

Il mio” Fiume'”che e’ l’acronimo di tre parole, la prima e’ il fiume Tevere di cui l’animella ne e ‘ il simbolo come quinto quarto della cucina. Poi fiume’ come affumicato per la presenza dell’aringa ed infine fiume’ come richiamo del mio dialetto di origine dove sta per” figlio mio “data la presenza del Buondì Motta… Dunque : animelle di gola di vitello appena scottate, pistilli di zafferano, aringa affumicata e Buondì Motta.

Arcangelo Dandini

Per 4 persone
250 gr circa di animelle di gola di vitello già pulite.
1 lt di latte.
4 foglie di alloro.
pepe bianco di Sarawach in grani.
30 gr di aringa affumicata e sfilettata.
2 pistilli di zafferano.
brodo di verdure.
2 buondi’ Motta.
100 gr di burro.
4 foglie di salvia.
sale di Cervia.
Preparazione.
In una padella far sciogliere il burro e non appena inizia a colorare mettere le foglie di salvia strappate a mano, aggiustare di sale e pepare dopo aver tostato il pepe.
Togliere le animelle che avrete messo nel latte insieme all’alloro e all’aringa, scalopparle a circa 4 cm l’una.
Asciugarle bene e metterle in padella a fuoco vivo per 3 min . Abbassare al minimo la fiamma per altri 3 minuti e lasciate cuocere.
Fate un brodo di sedano carota e cipolla. Appena pronto filtrate il tutto e rimettete sul fuoco. A primo bollore aggiungete lo zafferano. Spegnete il fuoco e lasciate freddare.
Aggiungete un mestolo di zafferano alle animelle e chiudete con un coperchio per 1 minuto.
Mettere nel piatto le animelle, il buondi’ appena tostato e l’aringa…

 

Ricetta raccolta da Marina Alaimo

3 Commenti

  1. Bello. Dandini ci regala questi quadri che raccolgono suggestioni e le raccontano, se vogliamo in modo didascalico (penso anche a Ritorno a Roccapriora, mi scuso se sbaglio), ma forse proprio per questo immediati e sinceri. Non vorrei, ma credo che tutto questo sia fare tradizione: “fare”, perché la tradizione non è codificabile nelle tavole della legge, non è un riferimento immobile, ma la si nutre, la si semina, attraverso la memoria, la parola, il confronto, la chiacchiera, il ricordo, il battibecco. La tradizione è cosa viva e come tale sempre nuova, sempre diversa. Arcangelo ci parla di tradizione, raccontando e scartando di lato con l’uso del Buondì (per quanto ormai anche lui, il buondì, di anni ne abbia parecchi), cullandosi nella suggestione della memoria. Mai fermo. Non parlatemi di rivisitazione (ohibò) perché il piatto ha il tempo in sé. Rivisitazione è percorrere pedissequamente una ricetta depositata in qualche museo camerale per turisti.

    1. Grazie mille, mi piace la traduzione del “fare”. Non esiste tradizione senza fare che si traduce in dinamismo , in spinta verso qualcosa. La memoria e’ il motore della tradizione .

  2. Come dice Fabrizio, la memoria è motore della tradizione. E’ vero, e visto che la tradizione gastronomica italiana è ricchissima, non si sbaglia mai quando viene rievocata. Per piatto della memoria intendo sopratutto un pretesto per scavare tra i ricordi strettamente personali. Un excursus nell’intimo delle emozioni che si accendono quando odoriamo e poi assaporiamo quella tal cosa che ci fa ricordare momenti ed emozioni ai quali siamo fortemente legati. Un po’ come accade quando ascoltiamo certe brani musicali, o sentiamo certi odori, o ritroviamo vecchie foto dimenticate.

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