Fiano Pietraincatenata: tutti i modi per dire mi piace
di Fabrizio Scarpato
“Ciao Marco, come va?”
La tentazione di rispondere “fatti una padellata di cazzi tuoi” sarebbe stata anche grande, come d’altra parte la stupidità di dare retta e confidenza al nulla, a una fredda pagina di pixel ben ordinati.Seduto al tavolino del bar, Marco pensò, invece, da quanto tempo nessuno gli aveva chiesto come stesse, come si sentisse, cosa facesse di bello: era un’infinità di tempo, in effetti, tanto da provare una sorta di pudore nel leggere le sollecitazioni che il “libro delle facce” gli rivolgeva, con desueta gentilezza. L’aveva visto forse in qualche film, peggio ancora in inguardabili cose in tv, ricordava del senso di insofferenza che provava ogni volta che suo padre si rivolgeva con educazione al vicino di casa, nel breve tragitto dell’ascensore: lui bastava a se stesso e non poteva importargli di meno se, come aveva letto da qualche parte, Ziggy Bauman lamentava la scomparsa delle “amichevoli drogherie all’angolo della strada”, in cui incontrare volti familiari, per fare due chiacchiere. Balle, pensò: anche se il suo iPad acceso su Facebook, sembrava pensarla diversamente, rimbalzando a più non posso quadratini rossi lampeggianti, segnali di fumo di altri disillusi, bisognosi d’affetto come lui.
“Ciao, cosa ti porto?”. La ragazza gli si parò davanti mentre leggeva un commento idiota del suo amico Matteo, e quasi non la guardò. “Avete ancora i vini di Maffini?” “Sì certo” rispose lei, magari con un pizzico di eccessivo entusiasmo. “Abbiamo il Kr…”. “No, Pietraincatenata. Per favore”. “Ah, li conosci… Fantastico”. Marco non rispose e lei se ne andò, a passo svelto, i tacchi rumorosi sul pavimento in legno del bar.
“Ciao Marco, cosa succede di bello?”. Ecco, si domandò se non poteva esserci un modo meno idiota di formulare una domanda, senza quel sorriso ipocrita spiaccicato sulla faccia: ma questa volta, forse perché aveva bisogno di approdare da qualche parte, forse perché davvero la sua esistenza era scandita da contatti e commenti all’interno quel “cerchio caldo” che s’era costruito con dei semplici clic, questa volta decise di scrivere sul suo stato:“Me ne sto qui, davanti a un bicchiere di vino”. Ma cosa ne sapevano quelli del Pietraincatenata… Era bellissimo, di un oro denso e velato, una colata d’altoforno, eppure così tranquillizzante, confortevole. Gli ricordava certe tazze da tè un po’ passate, il bordo dorato elegante seppur attraversato dalla patina del tempo. Erano le tazze del servizio buono, nella casa di campagna. Prese il bicchiere tra le mani, stupendosi un po’ di questi pensieri.
“Mi piace”. Una valanga di “mi piace”. Tutti erano contenti del fatto che lui stesse bevendo un bel bicchiere di vino. O forse che se ne stesse lì da solo, oppure speravano che si ubriacasse, anzi certamente molti pensavano che già lo fosse. Puntare la manina sul “mi piace” in fondo non costava niente, spesso era un gesto inconsulto, lui stesso non si sentiva particolarmente gratificato da tutti quei pollici alzati. Avrebbe preferito una parola, forse. Persino Francesca aveva cliccato, scrollandosi di dosso l’incombenza di una spiegazione, la pesantezza di una scelta sincera. Per la prima volta Marco avvertì quella pagina come una maglia stretta, per molti versi un po’ scolorita, persino puzzolente: di finzione, di opportunismo, di superficialità. Si fissò sulla mappa del suo diario che da mesi era puntata sulla costa dalmata, da quando un suo amico lo taggò in una foto delle vacanze. Lui non c’era mai stato in Croazia, eppure in tanti si erano mostrati compiaciuti della sua scelta inesistente, persino molti dentisti croati gli avevano ripetutamente inviato allucinanti e cruente proposte di implantologia odontoiatrica.
Invece era stato nel Cilento, con Francesca: s’era sdraiato sulla spiaggia di Marina di Camerota, aveva doppiato Capo Palinuro, aveva camminato tanto, tra la macchia, fino al mare. E adesso tutte le erbe del mondo, tutto il balsamo delle spezie, tutti quei fichi, bianchi, erano in quel bicchiere che sapeva di fumo, ricordandogli impietosamente una discesa al mare, lungo un sentiero, mano nella mano.
Avvertì allora un dolore forte, quasi un’ intollerabile incomprensione e aggiornò il suo stato. “Sono solo come un cane”, scrisse e i “mi piace” si moltiplicarono tra gli abitanti del suo piccolo villaggio. Solo Matteo azzardò un commento: “Marco cuore in allarme”. Matteo era un citazionista maniacale, ma era anche un amico, peccato fosse astemio. Francesca questa volta non ebbe il coraggio di metterci la manina: forse anche per lei quell’illusorio effetto placebo del “mi piace” stava mostrando impietosamente la corda, sotto la spinta del cuore.
“Alla salute, teste di cazzo”, pensò, godendosi lentamente un sorso di vino. E lo tenne con sé, tra le mani, davanto agli occhi, ampio e prorompente in bocca, persino sfrontato, tanta era la freschezza, tanta era la pietra, tanta era la bevibilità, fino a schioccare la lingua sul palato, tra spruzzate di frutta matura. Marco guardò il suo tablet e gli sembrò piccolo piccolo, si soffermò ancora una volta sui numerelli rossi in alto a sinistra e realizzò quanto illusoria fosse l’ampiezza dello spazio in rete, se poi si ritrovava nella solita nicchia protettiva e ipocrita, in cui felicità o tristezza riscuotevano medesimo, tranquillizzante successo: “mi piace”. Forse il vino che aveva nel bicchiere gli consentiva di muovere la mente lungo traiettorie più libere e sincere, senza chiedere nulla in cambio, senza porre inutili domande.
“Allora? Ti è piaciuto?”. Marco alzò lo sguardo verso la ragazza che gli sorrideva. “Sì, mi è piaciuto” rispose. Lei fece un gesto con le mani, le braccia tese e i palmi rivolti verso il basso, come per mettere un punto e a capo, come per cominciare da lì. “Bene… Fantastico” e questa volta non se ne andò. Finché non incrociò gli occhi di Marco. Dal bicchiere, il Pietraincatenata diffondeva nell’aria un intrigante, promettente profumo di menta.
Benedetta Tobagi – Siamo sicuri che sia social? – RCult, La Repubblica