Fiano di Avellino: confronto a tre sul 2006
di Michela Guadagno
Appunti di una mini-orizzontale di Fiano di Avellino docg 2006, a confronto tre aziende espressive del territorio irpino più vocato: nell’ordine di degustazione Guido Marsella, Ciro Picariello, Colli di Lapio Clelia Romano.
Il Fiano di Marsella colpisce subito alla vista per il colore dell’oro vivo, brillante, la stoffa alla roteazione del bicchiere è compatta, sinuosa, viva di materia. Il naso ferma la considerazione più dibattuta: fa legno? No, nemmeno l’ombra: vinificazione del vitigno in purezza, coltivato a Summonte. Note boisè, in ogni caso, e dalla complessa mineralità si susseguono dopo i fruttati, i floreali e le note di vaniglia; a bicchiere semivuoto si esprimono i tostati, delicati aromi affumicati di caffè, tabacco. Alla beva torna la sapidità minerale, fresco, e mi piacerebbe dire, se non fosse errore da matita blu, anche tannico, masticabile. Bevuto su un piatto di calamarelle su letto di crema di patate, attenua la tendenza dolce amidosa, e concorda con la sapidità del mollusco, forse troppo. Ci assale il dubbio perfino che una parte sia stata passata in legno ma Guido, interpellato il giorno dopo, lo nega con decisione.
Il Fiano di Ciro Picariello conferma, di nuovo se ce ne fosse bisogno, la mia personale preferenza, anche in altre annate: è un vino che mi piace, e molto. E’ luminoso, riflette e rifrange la luce, mille bagliori si esaltano dal bicchiere in controluce, consistenza scattante, veloce, agile. Naso agrumato, floreale di zagare, di mimose, di arancia di giardino, anche leggermente mielato, vivace la freschezza ammandorlata al palato, rinfresca la bocca e l’avvolge lungamente, lunghissimo e piacevole, da conservare nel bicchiere fino alla fine del pasto, per rientrare a casa con le sensazioni giuste.
Clelia Romano, la Signora dei Colli di Lapio, ha il Fiano classico, composto, di riferimento. Il colore è paglierino dorato suadente, profumato di fiori di biancospino, ricorda note provenzali, di macchia mediterranea, la freschezza delicata al naso compare soave alla beva, poi la noce, il burro cremoso, la nocciola. Pulisce la bocca e la lascia intatta, direbbero i francesi che “prepara al bacio”. Accompagna la rivisitazione del cocktail di gamberi e julienne di finocchi con salsa maionese all’aglio.
La conferma, ennesima, di un grandissimo vitigno e della sua longevità per cui adesso tre anni dalla vendemmia appaiono persino pochi. In occasione di un buon pranzo domenicale con amici, dalla bella carta del Pompeo Magno a Pompei. Dopo Vesuvinum