Fiano di Avellino 2004 docg Ciro Picariello | Voto 92/100
Uva: fiano di Avellino
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio
Vista 5/5. Naso 28/30. Palato 28/30. Non Omologazione: 31/35
L’invito è a Firenze, bottiglie pret a porter. Cosa prendo? Sicuramente un bianco perché vado in terra di rossi, rossi poi molto diversi stilisticamente da quelli del Sud e la comparazione sarebbe immediata.
Sul bianco, invece, vado tranquillo, non solo perché in Toscana non ce ne sono poi tanti memorabili, ma soprattutto perché l’Irpinia è soprattutto grande terra di bianchi.
In una madia della mia casa di città becco questa vecchia bottiglia, la prima etichettata da Rita e Ciro Picariello. Ha vissuto le caldi estati 2007 e 2011 senza alcuna precauzione se non quella di riposare al buio totale.
Rileggendo le prime note su questo vino, vedo che avevo previsto una vita decennale. Mi ero sbagliato: nonostante le condizioni non ottimali di conservazione, la semplicità di questa esecuzione rende ragione di una frutta esplosiva e indomita, molto bella.
Al vino, stressato anche dal viaggio, servono giusto un paio di minuti per assestarsi e iniziare a generare forti sensazioni olfattive come une geyser islandese: molto sinteticamente parlando, si potrebbe dire che al naso prevale la quota di uve di Summonte, quelle vicino l’azienda (frutta bianca matura, note fumé quasi lattica, tipo buccia di provola per capirci, sensazioni di funghi e sottobosco, corredo finale aggrumato e balsamico molto rinfrancante).
In bocca, invece, spicca Montefredane con una spinta acida giovanile e impetuosa, che ben si abbina ai piatti di trippa proposti da Luca Cai: il vino e il cibo sembrano nati l’uno per l’altro.
La bottiglia è lunga, infinita, semplice: sembra incredibile che tutto sia nato con una vinificazione da autodidatta in acciaio, senza particolari accorgimenti.
Questa è davvero l’enorme forza del territorio irpino e dell’uva fiano, una tra le più nobili in assoluto del patrimonio genetico italiano.
A differenza di altri bianchi, il Fiano continua l’evoluzione con il passare degli anni accentuando la complessità e mantenendo intatta la freschezza, lo scheletro del vino.
Ecco perché ogni bottiglia, siamo intorno ai sei euro franco cantina iva esclusa, è un piccolo capolavoro da poter proporre anche quando a tavola ci sono esperti e appassionati colti.
Un vino che spiazza, che capovolge completamente l’idea dei vini del Sud ai quali non si pensa mai come bottiglie del freddo. Ma è proprio il freddo il segreto di queste terre fertilizzate dalle eruzioni vesuviane.
Ce ne saranno ancora altre in giro? Spero proprio di si. Conservate gente, conservate.
Scheda del 12 dicembre 2009. Il governo conservatore della Mignottocrazia, invece di pensare a minchiate come frenare la vendita della pillola RU486, farebbe bene ad approvare per decreto l’impossibilità di vendere Fiano di Avellino prima dei cinque anni dalla vendemmia. Queste sono cose serie.
Paradossi a parte, più passa il tempo e sempre più mi rodono le bottiglie messe in commercio prima del Vinitaly, quelle stappate così presto: trovo sia un atteggiamento assolutamente irrazionale e incolto, come costruire su una spiaggia, puntare sugli Ogm in Italia, essere intervistati da Max Laudadio di Striscia la Notizia sulla cucina molecolare, eccetera.
Sono ormai innumerevoli e promiscui gli assaggi ove si dimostra la necessità dell’attesa per godere di questo bianco straordinario, sicuramente tra i migliori al mondo. Dico, nel frattempo ce n’è da bere: asprinio, falanghina, biancolella, forastera.
Ma non c’è nulla da fare: l’ignoranza delle persone non ha limiti, quella della maggior parte dei ristoratori pure, i produttori le assecondano per fare cash pensando sia meglio diventare milionari oggi piuttosto che miliardari domani. In democrazia contano i numeri, del resto Hitler vinse le elezioni.
Non resta dunque ai sani di mente con giudizio che smarcarsi e percorrere strade solitarie e condivise con le persone giuste, proprio come fecero i monaci di fronte alle invasioni barbariche.
Ciro Picariello ha seguito questo percorso e noi speriamo lo mantenga: in commercio non va mai prima di un anno dalla vendemmia ed è già una cosa ragionevole. Il passo successivo sarebbe fare due cru diversi, Montefredane e Summonte, ma produrre un Fiano buono e uno più buono è vissuto come un limite e non come una opportunità per il consumatore. Del resto di un’altra cosa sono ormai ben <imparato> dopo tanti anni: i consigli gratis non vengono mai seguiti.
Va bene, ci contentiamo dello spunto, non secondario comunque, sul tempo e ritorniamo per caso in una domenica sul porto di Pozzuoli, Dal Tarantino per la precisione dove dalla carta si vede subito che Viviana, la moglie di Gennaro, ha fatto il corso di sommelier. Ci siamo, di fronte al 2004, primo millesimo della cantina, da sole uve di Summonte.
Non so se sia suggestione, ma il descrittore olfattivo dei funghi e l’affumicato, tipico dei Fiano del vicino Marsella, sono identici, sia pure meno intensi, ma comunque persistenti.
Il fascino dell’artigianato è la diversità: rileggendo le note precedenti, sul naso quasi non mi ritrovo. Probabilmente ciò è anche dovuto alle modalità con cui conservai quella bottiglia, semplicemente in casa al buio ma non a temperatura controllata.
Infatti il 2004 mi ha colpito per la sua estrema freschezza e maturità, non ho memoria di trama ossidativa e neanche di frutta troppo matura, bensì, ripeto, di questi funghi e nuances di sottobosco, certo ancora frutta ben evoluta, ma soprattutto di un insieme in assoluto equilibrio, che si sistema nel palato proprio un cassetto nella sua cassettiera, senza eccessi ma con perfezione tranquillizzante. Alcol e struttura sono infatti presenti ma non in eccesso, mentre la freschezza è ancora la prima cifra della beva che non ha alcun attacco ruffiano e dolce, anzi, ha impatto immediato e senza sconti.
Nel corso di questi anni il vino, che al primo assaggio era sembrato piuttosto semplice, ha invece acquisito buona complessità: il naso si diverte perché cangiante, in bocca il supporto è sempre solido e convinto.
Buon esempio di artigianato irpino, allora. Sicuramente nelle corde della nuova guida dei vini Slow Food che andremo a costruire a partire da domani.
Un vino da comprare a cassette e conservare per la vita.
Assaggio del 10 giugno 2008. E’ stato questo l’altro bianco di autore della cena di benvenuto per le commissioni di Vini Buoni d’Italia per Campania, Basilicata e Calabria in corso al Savoy di Paestum. Si cercava anche in questo caso una conferma per un’annata che sicuramente non passerà alla storia ma di cui è interessante scoprire l’evoluzione. A circa quattro anni il bicchiere si presenta al naso un filo ossidato per poi riprendersi e regalare molto dolci sensazioni di frutta matura, miele, note balsamiche e una resistenza agrumata magari un po’ candita. In bocca, invece, è assolutamente integro secondo la regola per la quale c’è sempre un doppio tempo fra naso e palato soprattutto quando beviamo in Irpinia. Beva autorevole, complessa, ben strutturata, fresca e in equilibrio fra tutte le componenti, l’alcol presente non sovrasta il vino nel suo complesso ma ne costituisce la piattaforma appagante indispensabile su cui costruire il resto in bocca. Chiusura sapida, lunga, intensa, più dello stesso ingresso inizialmente un po’ timido, come è sempre il Fiano che, a differenza della Falanghina, non ama scoprirsi subito.
Assaggio del 19 febbraio 2007. Decisamente questo bianco sembra essersi incamminato per una lunga, lunghissima, strada ricca di successi olfattivi e papillosi. Diciamolo subito, non ha la profondità necessaria per far gridare al miracolo, ma è un vino pieno di carattere con tutti i fondamentali ben a posto: il colore è giallo paglierino, al naso rileviamo stavolta anche un po’ di frutta bianca tra i descrittori, in bocca sono stati fatti notevoli progressi, il vino è sicuramente meno aspro e spuntuto, entra abbastanza morbido, avvolgente, ben strutturato conquista subito tutto il palato avvolgendo la lingua sino in fondo preparando ad un finale lungo, pulito, netto, appagante. Il classico vino di territorio, allora, fatto in acciaio e atteso per un anno in vasca di acciaio prima dell’imbottigliamento e la commercializzazione, così some fa il suo vicino Marsella. Così deve lavorare una piccola azienda senza grilli per la testa. Gli prevedo una storia decennale.
Sede a Capriglia Irpina, via S. Felice.
Tel e fax 0825 702516. cell. 3478885625.
Enologo: Ciro Picariello. Ettari di proprietà: 5 ettari.
Bottiglie prodotte: 15.000.
Vitigno: Fiano; vitigni: fiano di Avellino.