Don Andrea 36.05 di Santacosta
Nel corso degli anni è si è quasi dispersa la grande storia dei vinificatori impegnati alla periferia di Napoli. Improvvisamente coloro che hanno dominato il mercato del vino per almeno duecento anni sono scomparsi come i Dinosauri dalla scena mediatica.
Dalla scena mediatica, virtuale, ma non da quella reale perché sono quasi tutti in campo con numeri importanti. Il Vesuvio è stata la cantina di Napoli per lungo tempo, i vinificatori compravano uve o vino e lo portavano in città. Una delle famiglie che vanta una storia più che secolare è quella di Andrea Pagano perché già il suo bisnonno Giuseppe faceva questo lavoro quando ancora c’era il Regno delle Due Sicilie a Boscotrecase lasciando poi l’attività a Raffaele e poi ancora ad Andrea che dallo sfuso è passato all’imbottigliamento nel 1968 trasferendosi a San Marzano sul Sarno. Un salto enorme che oggi viene dato per scontato ma che allora giocava d’anticipo sui tempi. I suoi figli anno proseguito l’attività, Raffaele con Joaquin a Montefalcione e Andrea con Santacosta a Torrecuso dove ha acquisito i vigneti. Ma il cuore pulsante di questa storia resta nel paese del pomodoro San Marzano dove si producono circa due milioni di bottiglie. Santacosta è a quota 600mila di cui 100mila circa con la linea Don Andrea, dedicata al padre e alla figlia.
Nella bottiglia di rosso, un blend per metà piedirosso e per due quarti cabernet sauvignon e merlot c’è la mano dell’enologo Sergio Romano, allievo del professore Luigi Moio. Un vino da tavola nato per celebrare i 50 anni di imbottigliamento e che si distingue per un carattere vivo, graffiante, segnato da buona acidità. Un rosso per piatti molto strutturati, dalle carni al classico ragù napoletano. Provare per credere.
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