Top Ten. Undici dolci italiani da provare almeno una volta nella vita
Tutta la loro raffinatezza si coglie solo quando non li mangiamo (i dolci) per placare la fame, solo quando l’orgia di dolcezza zuccherina non soddisfa un bisogno primario, ma ci ricopre il palato di tutta la benevolenza del mondo” Così parla dei dolci Pierre Arthens il critico gastronomico protagonista del romanzo “Estasi Culinarie” di Muriel Barbery.
Il dessert entra a tutti gli effetti a far parte del pasto occidentale in tempi relativamente recenti. Prima del XIX secolo, che ha portato l’ascesa della classe media e la meccanizzazione nell’industria dello zucchero, i dolci erano un privilegio dell’aristocrazia o un raro diversivo riservato alle feste. Quando lo zucchero diventa più economico e maggiormente disponibile cresce parallelamente lo sviluppo e la popolarità del dessert.
La pasticceria è una scienza esatta, si sa, peccato che di dolci buoni non se ne trovano spesso, colpa della banalizzazione e della standardizzazione a tutti i costi, cioè all’utilizzo di basi pronte e semilavorati. Mi viene fortemente il sospetto che il ricorso a questi prodotti industriali non sia tanto, come ci vogliono far credere un’esigenza per limitare i costi ma un’espediente per mascherare a volte l’incapacità tecnica e le conoscenze di base.
Mi viene da domandarmi come mai un uso smodato di glasse al cioccolato industriali (non certo economiche) quando ad esempio una glassa si prepara rapidamente ed è d’impiego versatile? Il ragionamento potrebbe continuare a lungo, penso anche alla crema pasticcera ed a tante altre preparazioni base. Oramai i gusti delle creme e non solo sono gli stessi ovunque, possibile? Neanche una scorzetta d’arancia fresca a personalizzarle? Per non parlare dell’aroma di vaniglia spesso sintetico e dallo sgradevole retrogusto amaro, oramai ovunque. Ed a questo punto perché non parlare della panna vegetale che entra una ventina di anni fa sul mercato e che da allora regna incontrastata nelle preparazioni casalinghe e non solo?
La ricchezza di un patrimonio di dolcezze che va fortemente a connotare ogni singolo territorio italiano, e quando si tratta di preparazioni golose, consentitemelo, della Campania e della Sicilia, resta identificabile solo nelle ricette di grande matrice tradizionale mentre le vetrine delle pasticcerie sono piene di mignon “chou” alla crema anemica, “zuppette” solo pan simil di spagna e farcitura insipiente o “deliziose” in cui la crema al burro è qualcosa di mitologico alla stregua di “Gandalf il Grigio”.
Immune da questa deriva dolciaria, solo pochi grandi artigiani di cui fortunatamente spesso si parla e magari anche di altri non conosciutissimi al di fuori dei loro territori e sicuramente meritevoli di ogni lode.
Nell’alta ristorazione la pasticceria è trattata con grande riguardo fino a raggiungere risultati paradisiaci. Come a voler mantenere il punto di ricerca, innovazione, tecnica e gusto di un settore che resta paradossalmente indietro nella grande offerta enogastronomica artigianale italiana.
Un rischio di standardizzazione e di decadentismo, che dalla mia esperienza, non corre la cucina d’autore, ecco allora undici dolci assolutamente da provare.
Camouflage: caccia alla lepre
Un dolce celebrale, ogni cucchiaiata una sensazione diversa, geniale.
Spettacolare la consistenza della spugna, nocciola all’ennesima potenza.
Tonino viene dal mondo della pasticceria e si vede, tremendamente elegante e goloso.
Un super classico in una esecuzione da manuale.
Molto bravo Mario Pequini, golosità e toni acidi.
Le sensazioni della pastiera Napoletana in un boccone, essenziale e lussuriosa.
Senza l’ansia dello zucchero, molto complesso e molto buono.
Versione personale di un grande classico, grande brio e cambi di ritmo, sinuoso .
La Sicilia quella della grande tradizione pasticciera, ingentilita e alleggerita.
Due babà, leggermente diversi tra cui non saprei scegliere, al top entrambi
Super classico, eseguito magistralmente.
Le tre lievitazioni il segreto del babà, soffice ed elastico, il mio preferito.