Perché i dolci dei ristoranti top non sono all’altezza del salato oltre che del prezzo?
Pensavo di essere un’aliena ( e forse, tutto sommato, lo sono) ma è bastato un commento lasciato a caso su fb, dove scrivevo che la parte del dolce nei grandi ristoranti stellati italiani, mi aveva sempre lasciato molta delusione, per avere tanti commenti e tutti sullo stesso tono. E se c’è un numero di persone che rileva il problema, come lo rilevo io, forse val la pena parlarne.
Che io sia un’amante della pasticceria, è un fatto. Ormai veramente vado a Parigi solo per fare il tour dei dolci che mi deve bastare per un anno o fino al prossimo ritorno. Li amo, li studio, se posso li rifaccio a casa mia senza avere alle basi nessun corso, per il solo piacere di provare a ripetere quei piccoli capolavori. La cosa bella è che ormai apro i vari social e resto a bocca aperta per quello che gli amanti/amatoriali della pasticceria riescono a riprodurre a casa loro, senza macchinari particolari, ma solo nelle loro comunissime cucine. Basta girare on line per credere. C’è gente bravissima, che nella vita fa tutt’altro.
Poi però succede che ogni tanto voglio andare a mangiare fuori, da dei professionisti, perché il mestiere è quello che è, la conoscenza non si mette in dubbio.
E parliamo allora dei ristoranti e anche di una cosa che odio: fare un discorso sul prezzo, ma francamente mi sento di farlo.
Se vado in una trattoria, pago 30 euro e alla fine mi portano una panna cotta o una crema catalana: va bene, ci sta ed esco anche contenta.
Se vado in un ristorante dove comincio a pagare 50-60 euro e il dolce è una coppa di tiramisù sifonata, mi viene di storcere la bocca.
Arriviamo poi alla grande ristorazione, quella che sta dando tanta soddisfazione all’Italia. Perché è vero, sono bravi e sono bravi in tanti. Si parla in continuazione, più che di pranzo e di cena, di esperienza sensoriale, di viaggio nel gusto, di esperienza mistica, forse proprio a voler chiarire il concetto di quello che i nostri chef riescono a farci provare con la loro cucina.
Prendiamo ad esempio i ristoranti bistellati. Normalmente un pranzo a persona può venire fra i 100 e i 200 euro a seconda di dove si va (un po’ più o meno dipende anche da numero delle portate ma facciamo un discorso di media). Dall’antipasto al secondo, normalmente sono veramente da applaudire.
Poi arriva il pre dessert, il dessert al piatto e anche l’immancabile piccola pasticceria. Diciamo che prende almeno un quarto del viaggio sensoriale di cui sopra e che ognuno di noi spende fra i 20 e i 40 euro per la parte dolce.
E io non sono quella che critica i prezzi dell’alta ristorazione, anzi, ritengo che a quel livello un piatto non costi ma valga. Ma allora il discorso deve valere per tutto. E invece i dolci in Italia non sono ben trattati.
Ormai siamo ingabbiati fra due parole: territorio e tradizione. Se sulla cucina riescono, a partire da questi due termini, a venire fuori cose egregie, sulla pasticceria no.
In Italia abbiamo una pasticceria di tradizione ottima e, quando la voglio, so dove andare a cercarla:a Napoli, personalmente per la sfogliatella vado da Attanasio e Pintauro, per il Babà vado da Meri, per la Pastiera vado da Sirica, a Roma per la gratta checca vado dalla sora Maria in via Trionfale e così via.
Ma se vado in un ristorante importante, mi aspetto che il dolce sia al livello di tutto ciò che ho mangiato prima, che sia complesso, strutturato, che mi sorprenda, che sia qualcosa che difficilmente posso ripetere a casa mia (o quanto meno che non ho mai fatto prima)
Certamente non ho esaurito il numero di ristoranti stellati italiani e quando troverò quello che fa i dolci da lasciarmi stupita, farò proclami. Il problema è che a me personalmente è capitato di arrivare a fine pranzo e di mangiare:
semifreddo alla fragola con cardamomo (cardamomo is the new black)
cannolo siciliano a modo mio
pastiera destrutturata
macaron alla mandorla.
Evoluzione di Babà
Etc etc.
Manca solo il tortino al cioccolato dal cuore morbido con gelato al fiordilatte e poi ci siamo tutti.
Basta mettere uno streusel o un crumble in un piatto, con una quenelle di gelato e qualche semisfera di altra mousse per farne un dolce al piatto degno di questo nome e soprattutto degno dell’alta ristorazione? Il libro di Bachour, Chocolate, che ho in biblioteca, dice di no. Crostate, di Gianluca Fusto, conferma. L’ultimo di Felder-Lesecq e della Heitzler non li guardo proprio, che potrebbero reagire male.
Il problema è che i dolci che ho mangiato erano buoni. Buoni e basta. E non va bene. O sono banali o sono già visti e rivisti. E l’estetica di Francia, Giappone e oramai anche Stati Uniti ce la sogniamo.
Avete presente i fuochi che fanno nei paesi a fine della festa d’estate? E’ un crescendo in colori, rumori e fantasia, e come finiscono? Sempre col botto, quello intenso e prolungato, che ti fa rimbombare il cuore.
Ebbene, certi pranzi nei ristoranti italiani sono come i fuochi, solo che, invece di finire col botto, finiscono con la scintilla che si dà ai bambini durante il capodanno. E questo mi spiace. Io voglio il botto.
E non voglio dover andare nei ristoranti francesi per dover sobbalzare ogni volta di fronte al dessert.
Basta, tanto per fare un nome, pensare a Cedric Grolet al Le Meurice. O anche Francois Daubinet , quando lavorava al Le Taillevent. Ma ci sono tanti altri che viaggiano su quel livello.
E dire che in Italia grandi professionisti ci sono: Massari, Biasetto, Santin, Fusto, DI Carlo..
Sul livello medio delle pasticcerie italiane mi taccio, perché se ho la sindrome di Stendhal quando vado da Massari o Biasetto, nelle pasticcerie “normali” siamo riusciti a mettere il pan di stelle sul babà. Il Pan di stelle sul babà. Ci meritiamo il nono girone infernale.
Siccome però, sono un’inguaribile ottimista nonché inguaribile golosa, al primo dessert che mi sorprenderà, sarò lieta di farne un annuncio. Il problema è che non può e non deve essere quel singolo ristorante ma dovrebbe essere allargato a tutti quelli che hanno da una stella in su.
2 Commenti
I commenti sono chiusi.
Lei ha perfettamente ragione!
sono anni che cerco una pasticceria post cena degna di tale nome, in qualsiasi locale (per intendere la più ampia gamma di soluzioni) si vada, la scelta è monotona e stantia; oltre che spesso imbarazzante (e quest’ultima situazione mi è capitata spesso). Capita di imbattersi in posti rinomati o promettenti e trovarsi davanti, è vero, una crema pasticcera che tutto era tranne che crema pasticcera e un tortino al cioccolato (non richiesto ma offerto dalla cucina). mi domando che fine abbia fatto la fantasia, temevo di essere stata l’unica a notare una simile mancanza, ora almeno non mi sento sola…
Buongiorno. Condivido totalmente !
Se posso, direi che oltre ai difetti da Lei elencati i dolci in questione ne hanno ancora un altro (secondo me): sono “troppo”.
Probabilmente, la ragione è il famoso “costo” che Lei citava … se devo far pagare un dolce 20 o 30 euro, allora ne metto nel piatto una quantità esagerata … che sta’ allo stomaco e alle papille gustative (fino a quel punto deliziate) come un cazzotto ben assestato, che – in genere – lascia la bocca e la lingua impastate di dolce per qualche ora.
Per non parlare poi della moderna tendenza, imperante a Roma, del dolce non dolce … se deve essere così allora rinuncio e prendo un altro piatto salato …
Vorrei però raccontarLe di una piacevole personale esperienza siciliana: quella del Caffè Sicilia a Noto, teatro delle gesta del Maestro Corrado Assenza … week end dell’Immacolata, ho pranzato con una verticale di dolci e champagne che ancora mi fa “sognare” ad occhi aperti (tra quelli provati, forse il miglior dolce da me assaggiato, in assoluto, nella vita … un bianchissimo sorbetto alla mandorla, semplicemente perfetto !).
Ancor più bello è stato scoprire che il Maestro Assenza ha studiato la linea dei dessert di un piccolo loft gastonomico a Catania, il QQucina Qui di Bianca Celano e Fabio Gulino: se passa da quelle parti ci faccia un pensierino, avrà una bella sorpresa e … a pasto completo, non fino ai “tre quarti”. Saluti.