A Cap’alice la festa dei 20 anni della DOC Campi Flegrei – il vignato a piede franco
di Marina Alaimo
La serata di ”Storie di vini e vigne” a Cap’alice dedicata al ventesimo compleanno della doc Campi Flegrei è stato un momento celebrativo sentito e importante, ma anche di riflessione su quanto si è riusciti a fare in questo arco di tempo e quanto sia preoccupante per il futuro l’assenza di iniziative mirate a tutelare il territorio. E’ nota la bellezza straordinaria di questa terra vulcanica caratterizzata dalla presenza di più di venti crateri che tutti insieme formano un’unica grande caldera. Goethe disse: è qui che si resta sbalorditi tra gli avvenimenti della storia e della natura. I greci, e poi i romani, erano profondamente affascinati da questo territorio che, unitamente alle colline di Napoli, disegnava un grande vigneto prosperoso. Il suolo vulcanico e sabbioso qui ha sempre impedito alla fillossera di attecchire e quindi molti dei vigneti sono a piede franco, particolare che segna fortemente l’identità dei vini flegrei.
Poi venne il cemento, la moltitudine selvaggia di case e costruzioni di ogni tipo che con arroganza ottusa ed ignorante hanno compromesso lo splendore dei paesaggi che qui cambiano di continuo nell’arco di spazi molto ravvicinati, come del resto accade nelle terre vulcaniche che si rinnovano e mutano di continuo. Tutto ciò ha sottratto spazio alla viticoltura, ed all’agricoltura in generale, riducendo sempre più la possibilità di godere di vini dall’identità così piena e profonda.
Ecco perché è importante riunire in questa serata, ed in altre occasioni, produttori appassionati ed impegnati nella difesa del territorio come sono la famiglia Martusciello, i De Meo, Raffaele Moccia e Giuseppe Fortunato. Rosario Mattera, fondatore del sogno Malazè, il mega evento mirato a promuovere il turismo in questa terra incantata, introduce la serata, ma è Francesco Martusciello a tenere alta l’attenzione raccontando i tanti aneddoti ed episodi legati alla sua famiglia impegnata per prima nel rilancio della viticoltura flegrea e nella fondazione della doc. Sono diversi tra loro i quattro produttori protagonisti della serata, ma tutti massime espressioni di vini straordinari e dall’identità territoriale ben affermata. Con Vincenzo De Meo dell’azienda La Sibilla si fa un salto generazionale notevole, ha 27 anni, è enologo e induce certamente alla speranza con l’alta qualità dei suoi vini. Giuseppe Fortunato di Contrada Salandra si è avventurato di recente nella produzione vitivinicola e velocemente si è affermato sul mercato e tra gli eno appassionati con i suoi vini profondi e particolarmente espressivi. Raffaele Moccia ha i suoi 4,5 ettari di vigneto proprio sul cratere di Agnano, ha il viso abbronzato perché la sua giornata si svolge soprattutto in vigna dove il suolo particolarmente friabile ha bisogno di continua manutenzione per evitare frane e dissesti.
Ognuno di loro ha portato delle vecchie annate di falanghina e piedirosso per festeggiare con gli ospiti di Cap’alice questo compleanno speciale ed il percorso tracciato è stato sensibilmente entusiasmante e a tratti carico di emozione. Falanghina Coste di Cuma 2007 e piedirosso riserva Montegauro 2001 di Grotta del Sole: la conferma del grande impegno di questa famiglia nel ricercato riscatto del territorio che solo chi abita questi luoghi può capire ed apprezzare fino in fondo. Falanghina Vigna del Pino 2003 e Piedirosso Vigna delle Volpi 2007: eleganza ed emozione. Piedirosso 2005 (prima annata in produzione) di Contrada Salandra: sincerità profonda e poesia della natura. Falanghina Cruna Delago 2008: grande energia e capacità di inseguire i propri sogni con fiducia.
2 Commenti
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La serata è stata particolarmente significativa perchè, a mio avviso, ha contribuito, in primis, a sfatare un luogo comune che, dall’assaggio dei Piedirosso presentati (magnifico il Montegauro 2001, dai sentori quasi “bordolesi”!) si è manifestato come infondato, e cioè che l’unico vitigno campano da invecchiamento sia l’Aglianico: il Piedirosso flegreo, infatti, ha espresso una grande duttilità ed una notevole capacità di sfidare il tempo, pur essendo, come ha giustamente rilevato Francesco Martusciello, un vino che, in gioventù, è in grado di rallegrare, fresco di frigo, le serate estive a base di pomodoro, cui si sposa in modo egregio.
Per di più, ma lo sapevamo, il caleidoscopio di emozioni regalate dalla Falanghina (penso in particolare al commovente 2003 di Raffaele Moccia) è stato un’ulteriore riprova che i vitigni campani a bacca bianca non temono confronti a livello planetario quanto a capacità di emozionare anche dopo molti, molti anni.
Luca grazie per essere venuto e per aver apprezzato l’iniziativa. La nostra Campania ha talmente tanto da dire e da offrire in fatto di vini che potrebbe vivere principalmente di questo. Alla prossima.