Diario gastro-politico di Santiago del Cile
di Annarita Pignataro
Mia moglie Annarita è stata una decina di giorni a Santiago del Cile per un impegno universitario legato ai suoi insegnamenti di Scienza della Politica. Oltre a bere orribili vini cocacolizzati cileni, ha anche deciso che fosse un buon motivo per irrompere su questa scena. Con il permesso di Rosario Scarpato, potevo dirle no?
Le cinque cose da non perdere:
• il pasticcio di granchio di El Toro
• una sniffata di Merquén, presidio Slow Food
• una visita al Museo Precolombino
• le mimose selvatiche in fiore sulla strada per Valparaiso
• un discorso politico – qualsiasi – della Presidenta Michelle Bacheletr
Le cinque cose da evitare:
• le macchinette che emettono milioni di nescafè
• l’acqua minerale gasificada
• i ristoranti per turisti del Mercado Central
• il pisco a fine pasto
• l’alpaca cinese
Cinque milioni di abitanti. Quanti in tutta la Finlandia. Quasi quanti in tutta la Campania. Strade larghissime, palazzi di vetro modernissimi e case scalcinate, lo skyline conteso ai grattacieli dallo smog onnipresente. Eppure il centro di Santiago si può attraversare anche in inverno a piedi, in lungo e in largo, sempre abbracciati e protetti dalle Ande innevate, fino alla suggestiva Plaza de Armas con i suoi magnifici edifici coloniali e la cattedrale neoclassica miracolosamente scampata ai colpi del terremoto e a quelli dell’armata militare del ’73. Difficile però fermarsi a prendere un caffè: bisogna tenersi allenati sin dal primo giorno ad evitare le migliaia di macchinette che emettono solo nescafè.
Seguendo il percorso del Rio Mapocho (i cui dati sull’inquinamento elevano il Lambro e il Sarno a due ruscelletti di acqua pura) si arriva in Barrio Bellavista, uno dei quartieri più vivaci della città. Qui si può – si deve – mangiare a El Toro, ritrovo trendy giovanile e pittoresco. Tavolacci di legno per quattro, fogli da disegno in carta riciclata come tovaglie (i gessetti colorati per liberare il proprio estro creativo durante il pasto fanno parte dell’hotellerie minimale) ricordi e foto appesi ovunque in un ricercatissimo disordine. Un menu semplice semplice, ma straordinario. Da non perdere il pasticcio di jaiba (granchio), servito in un tipico tegamino di rame, sapore delicato ma deciso al tempo stesso, pulito e ingentilito da spezie indecifrabili; con un effetto gratin in superficie che fa godere di più la parte succosa del fondo. E poi insalata di cous cous e gamberi, corvina al curry con patate, calamari di tutte le dimensioni e in tutte le salse, gamberetti mantecati e piccanti. I vini in lista sono quelli più conosciuti, soprattutto da uve Carmenère, e non mancano alcune etichette di aziende biodinamiche che stanno facendo la loro fortuna anche qui. L’ambiente è molto giovane e simpatico, il conto anche: ottimo rapporto qualità prezzo.
A fine pasto vi verrà proposto un bicchierino di pisco, la bevanda alcolica più amata dai cileni, ricavata dalla distillazione di uva al alto contenuto zuccherino e quindi, proprio come il nostro limoncello, non proprio un coadiuvante della digestione… Qui come altrove raccomandiamo di bere solo vino: mai acqua. In bottiglia costa più di ogni altro liquido potabile (in Cile, a differenza che da noi in Italia, hanno capito che è inutilmente costoso imbottigliare quello che esce a prezzi contenuti dal rubinetto). E infatti si trova soprattutto acqua minerale gasificada, cioè con (molte) bollicine aggiunte: non agitate prima dell’uso, rischiate l’esplosione.
D’obbligo, per chi resta a Santiago solo qualche giorno, una visita mattuttina al mercato del pesce. Vedrete le cozze e i calamari più giganti della vostra vita, bancarelle traboccanti di straordinarie varietà di mariscos e filetti di salmone venduti a 3 euro al chilo! Assolutamente da evitare, invece, i ristoranti in zona: i buttadentro sono bravi ad accalappiare turisti, ma nessuno vale una sosta. Invece i (pochi) ambulanti di spezie del Mercado Central meritano senz’altro una visita. Non fosse altro per cercare, annusare e sniffare il Merquén, magica miscela a base di peperoncino (aji) portata giustamente agli altari di Presidio Slow Food grazie alla straordinaria avventura di Terra Madre. Il peperoncino prima essiccato al sole subisce un’affumicatura di circa mezz’ora, esposto sopra il fuoco dentro cesti di vimini. Dopo un’ulteriore breve essiccazione al sole, gli aji vengono finemente macinati e si aggiungono gli altri ingredienti: coriandolo e sale marino. All’olfatto, prima che al palato, è inconfondibile e lo ritroverete in molte ricette cilene sia di carne che di pesce.
Altra visita obbligata il Museo cileno di arte precolombiana. Per chi pensa che in America Latina ci siano stati solo Maya ed Aztechi. In un allestimento molto curato ed elegante vengono raccontati 4.500 anni di ceramiche, sculture, incisioni, tessuti, gioielli di tutta l’America del Sud. Se dopo il museo siete pronti per un salto nel futuro senza ausilio di macchina del tempo arrivate nel nuovissimo quartiere di Vitacura, percorrendo, anche a piedi, Nueva Costanera. E non certo per i griffatissimi negozi ma per le case futuristiche partorite da architetti megalomani e straordinari. Caffè alternativi e ristoranti lussuosi sembrano calati dall’alto, tanto sono fuori contesto, ma tutti affollati e ben frequentati. Uno tra tutti, consigliato ai carnivori, è OX, da molti considerato il miglior ristorante nuovo di Santiago. Ambiente raffinato, carta dei vini sconfinata, servizio impeccabile. Scegliete dal menu il pezzo di carne – e la cottura – che preferite e accompagnatelo con un “risotto alle tre cipolle” che difficilmente dimenticherete. Mise en place magistrale e dessert fantasiosi. Da provare.
Con un giorno in più a disposizione si può scegliere di prendere un autobus per Valparaiso, la città degli ascensori e delle case colorate, godendosi la strada poco trafficata e le meravigliose piante di mimose selvatiche appena sbocciate (in inverno!). Rifugio per artisti bohemien emuli di Pablo Neruda ma anche meta di turisti locali usa e getta, Valpo – come la chiamano qui – sta soffocando purtroppo sotto centinaia di negozietti di paccottiglia cinese, a partire dalla finta alpaca. Non illudetevi di trovare quella vera e di qualità a pochi pesos: lana di alpaca e vigogna vanno acquistate, anche a Santiago, in negozi di fiducia e i prezzi non sono quasi mai da affare.
Michelle Bachelet, primo ministro donna del paese è diventata presidente – anzi Presidenta, come qui la chiamano – in un paese supercattolico, ultraconservatore. Con un uso sapiente di sondaggi per un anno intero prima delle elezioni, ha vinto contro un avversario multimilionario proprietario della compagnia aerea nazionale LAN e di una rete televisiva (!). Popolare senza essere populista – come lei stessa ha ribadito più volte – sta cambiando il volto del Paese a colpi di politiche sociali e di riconoscimento dei diritti delle donne e della libertà di espressione. I suoi discorsi nei luoghi istituzionali come quelli brevi concessi ai mezzi di comunicazione sono equilibrati e misurati senza essere noiosi, trasmettono il contenuto della decisione politica senza il ricorso alla oratoria plebiscitaria alla quale molti presidenti ci hanno purtroppo abituati. La difesa strenua della democrazia vera, reale, quella empirica che si sa misurare soprattutto dove la si è persa per diversi anni, è alla base di ogni passaggio argomentativo. Una lezione di stile i suoi discorsi, oltre che di scienza politica. Da esportare.