Di Meo, i vini della Sibilla


8 maggio 2003

Vicino la misteriosa Sibilla Cumana, nuvole sulfuree da terra gonfia di fuoco e di credenze, tra il mare acheo e i crateri dei vulcani finalmente spenti, la falanghina e il piedirosso esprimono l’incanto del tempo immobile che ritorna. Alle spalle l’epoca, ma c’è chi molto stupidamente insiste tenace, dell’imbottigliamento indistinto di liquidi dalla parvenza vinosa ecco spuntare coraggiosi viticoltori decisi a seguire l’esempio di Grotta del Sole a Quarto.
E allora Luigi Di Meo con la moglie Tina hanno ripreso la tradizione iniziata dal nonno all’inizio del Novecento e con l’aiuto dell’enologo Maurizio De Simone provano versioni meno scontate di vitigni rari ma inflazionati.
La Falanghina dei Campi Flegrei de I vini della Sibilla a Bacoli (telefono 081.8688778) fermentata e maturata semplicemente in acciaio è sicuramente un classico, tra l’altro a prezzo ragionevolissimo: non si può dire di conoscere questo vino bianco campano senza averla bevuta. Luigi ne propone una variante maturata in legno di rovere, Sebiulla, e un’altra passita, l’Aureum.
Parliamo pure del rosso, il «per’e palummo», dove sicuramente la freschezza prevale sulla morbidezza, ma è questo tratto tipico, arrogante e poco moderno, a consentirgli abbinamenti altrimenti negati ai vini-frutto. Di Meo lo consiglia con la zuppa di fave baiane con pappacelle o con la zuppa di cicerchie al guanciale. Ma le possibilità sui piatti di mare, come spesso succede ai rossi tipici, sono praticamente infinite, tutte possibili.
Meno di 50mila bottiglie, una goccia nella produzione regionale, ma importanti per incoraggiare anche altri produttori al lavoro vicino il grande mercato del pesce di Pozzuoli come le Cantine Babbo, Carputo e Matilde Zasso.
Non sempre e solo il cemento produce reddito, ché i Campi Flegrei rialzano la testa con una produzione di nicchia capace però meglio di ogni altro di difendere due beni tipici in una zona massacrata dall’insipienza amministrativa: il territorio e il palato.