Delivery Igp| Intervista a Marilena Barbera
di Andrea Petrini
Per il mio primo articolo dedicato alla rubrica Delivery IGP non potevo non intervistare una delle vignaiole più intelligenti e social che conosca: Marilena Barbera. Con lei abbiamo parlato, ovviamente, di Covid e di come le piccole aziende vitivinicole come la sua hanno affrontato l’emergenza anche da un punto di vista commerciale.
Ciao Marilena, anzitutto una domanda personale: come stai affrontando questa emergenza?
Ti dirò, tutto sommato bene. In Sicilia siamo stati fortunati dal punto di vista epidemiologico, e vivere a Menfi, un piccolo paese di campagna, aiuta anche psicologicamente. C’è tutta la natura intorno, un paesaggio meraviglioso, il mare a pochi passi, condizioni climatiche straordinarie che ci permettono di vivere all’aperto praticamente 12 mesi all’anno. E’ un contesto che, mi rendo conto, consente di affrontare la pandemia con una serenità molto maggiore rispetto a chi vive in città, o in regioni
dove il clima ti impone di rinchiuderti in casa durante l’inverno.
Veniamo ora al tuo mestiere di vignaiola. Mi puoi dire come hai affrontato aziendalmente la situazione e quali sono state le ripercussioni?
All’inizio ovviamente siamo stati colti di sorpresa: il primo lockdown è stato durissimo. La paura di una malattia sconosciuta, l’incertezza economica, la frustrazione di assistere alla totale incapacità gestionale di una classe dirigente profondamente inadeguata. Noi abbiamo chiuso subito, per proteggere noi stessi e le nostre famiglie. Dal 3 marzo e fino alla fine di luglio abbiamo gestito l’ufficio in smart working e, naturalmente, abbiamo adottato tutte le precauzioni necessarie per il lavoro di campagna. Per fortuna in cantina di lavoro rimasto ce n’era poco, perché la maggior parte degli imbottigliamenti era già stata completata tra gennaio e febbraio.
Immagino che la parte più dura sia stata quella commerciale…
E’ stata ovviamente una situazione estremamente delicata. Voglio dire: tutti i nostri clienti sono stati chiusi d’imperio da un giorno all’altro, con nessuna prospettiva se non l’attesa pomeridiana dei bollettini medici televisivi. Terrificante, a ripensarci.
Come l’hai gestita?
Mi sono dunque mossa su due fronti: Italia ed Estero. L’estero, quasi tutto, ha continuato a lavorare. Per me, che esporto molto, è stato un grande sollievo. Il problema era continuare a vederci senza poterci fisicamente incontrare, dato che i viaggi sono stati sospesi (e ancora lo sono). Quindi ho organizzato una hot line con gli importatori, abbiamo condiviso le rispettive reti di relazioni, abbiamo organizzato interviste su IGTV, degustazioni su zoom, abbiamo prodotto video e mandato videomessaggi personalizzati ai clienti che ci garantivano continuità di lavoro. Abbiamo messo a sistema un patrimonio di relazioni che esistevano, ma che non erano mai state gestite in maniera sinergica. E questo, credo, ha fatto la differenza, garantendo non solo il rispetto dei budget concordati a inizio d’anno, ma in alcuni casi e per alcuni vini anche il loro superamento. In questo momento il mio fatturato estero supera del 20% quello del 2019, e non mi stupirei se crescesse ancora un pochino da qui a Natale.
Nel nostro Paese è andata uguale?
Tutt’altra musica invece si suona qui in Italia. Perché siamo più lenti e perché siamo tendenzialmente degli analfabeti informatici. Il sito ce l’ha fatto nostro cugino, le mail le guardiamo se c’è tempo, i social servono per condividere gattini o, peggio, i meme su Salvini. Negli Stati Uniti in una settimana hanno cambiato la legge che per 100 anni ha impedito ai ristoratori di vendere le bottiglie di vino all’asporto, mentre qui in Italia stiamo ancora a discutere se sia etico che un produttore abbia un e-commerce “perché farebbe concorrenza alle enoteche”. Quello che ho fatto io, che poi è quello che faccio da 7 anni, è stato potenziare proprio il canale diretto. Che non copre ancora la perdita di fatturato del canale tradizionale, ma offre una bella rete di sicurezza. Al mio shop storico su Vinix, che quest’anno ha movimentato più di 4.800 bottiglie, ho affiancato un ulteriore marketplace: un sistema innovativo basato su una piattaforma logistica integrata che consente di acquistare online e di ricevere, in un’unica spedizione, le bottiglie di oltre 100 vignaioli italiani senza minimi d’ordine né vincoli nella composizione dell’acquisto. Un sistema che garantisce, fra l’altro, le consegne a privati in tutta Europa e nel Nord America ). Risultati? Quest’anno il canale telematico per me vale il 42% del fatturato Italia. Questo è stato possibile grazie ai social, sui quali ho impostato delle promozioni mirate con una buona segmentazione, e alle newsletter – che prendono tanto tempo, ma sono convinta diventeranno sempre di più un canale insuperabile per la gestione delle relazioni e la costruzione della fiducia.
In quei primi mesi di pandemia sei stata anche una dei dei punti di riferimento del movimento “il vino non si ferma”. Puoi spiegarmi di cosa si tratta?
Credo che “il vino non si ferma” sia nato dallo sgomento di cui parlavo all’inizio, quel trovarsi di fronte a qualcosa di cui non si percepivano i contorni e di cui non si ipotizzava l’esito. Nasceva come un think tank, un modo per mettere insieme le energie e per elaborare proposte da inoltrare a chi avrebbe dovuto ascoltare le istanze che nascevano nel mondo della produzione. Un modo per affrontare insieme i problemi della filiera, e per mettere insieme i piccoli produttori, i ristoratori, gli enotecari, i distributori, i sommelier, tutti quelli che vivono di vino insomma. Ci proponevamo di essere d’aiuto, fiduciosi che dall’altra parte (la parte della politica, per capirci) ci fosse qualcuno interessato ad ascoltarci. Che cosa abbiamo trovato dall’altra parte?
Disorganizzazione, spesso inettitudine, ancora più spesso attenzione ai particolarismi, narcisismi ed ego smisurati, spartizione di risorse senza alcuna trasparenza, promesse di risorse che non ci sono mai state, inefficienze di sistema, ritardi burocratici, mancanza di risposte.
Quello che ho visto con estrema chiarezza è che il nostro è un sistema irriformabile, impossibile da penetrare o da migliorare. A queste condizioni non voglio più perderci tempo!
Ti aspettavi questa seconda ondata di epidemia? Come la stai affrontando?
Certo che me l’aspettavo, e ho sempre pensato che la prima ondata fosse solo un assaggio di quello che sarebbe accaduto in seguito, non foss’altro perché stavamo andando incontro all’estate, mentre adesso stiamo solo in autunno, ed è ancora lunghissima. La sto affrontando con la consapevolezza di avere impostato delle strategie commerciali e di posizionamento che hanno già iniziato a produrre i loro frutti, e quindi con molta più serenità.
Certo, mi mancano i viaggi, mi manca il contatto personale con i clienti e con gli importatori, mi mancano le degustazioni e le piccole fiere dove i rapporti umani sono diretti ed emozionanti. Dedichiamo il tempo che abbiamo a coltivare le relazioni con i nostri clienti, prestando la massima attenzione alle loro richieste, alle esigenze che dovessero manifestarci, fornendo loro supporto e valore tutte le volte che possiamo. Dedichiamo le nostre energie ad investire: che sia un nuovo vino, un restyling delle etichette, una giovane vigna o magari una vecchia (magari), ricordandoci sempre che fare il vino è un mestiere bellissimo, e che siamo davvero fortunati ad essere parte di questo mondo.
Si è parlato in passato che l’emergenza Covid, per le aziende che hanno le cantine piene di vino che non sono riuscite a vendere, possa essere affrontata con la distillazione di emergenza. Tu pensi sia una soluzione?
Beh, come sai, la distillazione è diventata realtà con il DM 6705 e un finanziamento iniziale di 50 milioni di euro, a cui si sono aggiunti altri 28 milioni lo scorso settembre. Guardiamola in dettaglio questa misura, per capire di cosa stiamo parlando: un prezzo di 2,75 euro ad ettogrado con base 10% di alcol, che si traduce in circa 30 centesimi al litro dai quali devono ancora essere detratti i costi di denaturazione e di trasporto in distilleria. Pensiamo davvero che questi 30 centesimi lordi coprano le spese sostenute dai produttori per la coltivazione, raccolta e trasformazione dell’uva, oltre a quelle di almeno un anno di affinamento? Non solo questa misura non interessa ai vignaioli, ma sottrae loro risorse che potrebbero essere utilizzate, come dicevo prima, per valorizzare il vino anziché distruggerlo.
In quest’ottica, che è poi l’ottica del vignaiolo, il consiglio che mi sento oggi di dare ai miei colleghi – e a me stessa – è di investire quante più risorse possibili in marketing e strategia commerciale, e di impostare una buona programmazione per la produzione dei prossimi anni.
Fammi un esempio…
Impostare al meglio la vendemmia appena conclusa e la prossima: ad entrambe dovremmo chiedere vini che ci permettano una più rapida rotazione del magazzino, vini facili da bere e che possano essere offerti a prezzi in grado di farci ammortizzare le sofferenze di questo difficile 2020, e del prossimo difficilissimo 2021. Una strada possibile, ad esempio, può essere quella di produrre un “vino speciale”, un’edizione più maneggevole di un vino che è già nella nostra gamma oppure proprio un vino del tutto nuovo, funzionale a sostenere il nostro reddito e, in un’ottica di filiera, ad aiutare un po’ anche la marginalità dei nostri clienti ho.re.ca. Non dovremo farlo per sempre, se in futuro non ci sarà più utile, ma non dovremmo neanche vergognarci di proporlo se dovessimo averne bisogno. Sui mercati esteri, parliamo apertamente con i nostri importatori: vi assicuro che la maggior parte di loro sarà felice di partecipare ad un progetto smart che può aiutare sia noi che loro a far girare le nostre etichette.
Ultima domanda: come vedi la comunicazione del vignaiolo nel prossimo futuro?
Dobbiamo tutti lavorarci di più: questo è il tempo di dedicarci al nostro sito web, a renderlo più ricco e funzionale; comunichiamo di più con i nostri agenti e distributori, anche loro stanno soffrendo come noi e più informazioni, più flessibilità, più innovazione possono aiutare anche loro. Non abbiamo ancora un database dei clienti o è fermo all’anno 1000? Bene, rimettiamoci mano, rendiamolo completo e aggiornato: servirà da piattaforma per inviare delle newsletter o delle semplici email di saluto. Aiutano, eccome. Sembra strano dirlo, ma questo è un periodo di trasformazione, non di blocco. E ogni trasformazione porta con sé delle opportunità, che possono diventare delle grandi opportunità se non ci lasciamo scoraggiare dalle difficoltà che sono inevitabilmente ad esse collegate!